Find My Way Back

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"Dove le hai prese?". Chiedo, guardando le chiavi che Tom ha in mano.

Siamo davanti alla Ferrari Roma che Zendaya guidava poco fa, e la curiosità sulla nostra destinazione non fa che assalirmi.

"Zendaya mi ha dato le chiavi".

Ma quando? Non l'ho quasi perso di vista da quando l'ho visto in quella stanza e poi è andato con i miei amici a parlare in privato. Cos'è, un mago? Lo guardo sospettosa ma lui fa spallucce, completamente rilassato.

"Allora, dove stiamo andando?".

Fa di nuovo spallucce, prima di entrare in macchina. Quando apro lo sportello davanti, l'emozione mi assale per un attimo; poi, mi ricordo dei miei amici lasciati a sé stessi di sopra.

"Ma gli altri? Come faranno a tornare a casa?".

"Zendaya will take a car from the hotel". Dice lui con nonchalance.

"Davvero?".

"Yeah, it's simple". Fa lui, mentre mette in moto. Ora che ci penso... è legale che guidino qui in Italia? Cioè, non dovrebbero avere un permesso o qualcosa del genere?

"Ma puoi guidare? Anche qui in Italia?".

"Yes, I have... ho do you mean you... translation... traduzione? Giurata. Traduzione giurata of the patent".

"Ok". Dico, pur non capendo di cosa stia parlando; ma se sa di poter guidare, per me va bene.

Restiamo per qualche momento in silenzio mentre lui si immette sulla strada, con una smorfia in volto probabilmente dovuta al cambio s'abitudine del guidatore a destra, e prima che io ricominci con la mia sfilza di domande, lui prende parola.

"So, cosa hai fatto in questi giorni?". L'accento mi fa ancora un po' ridere, ma la domanda per niente; cosa pensa che abbia fatto? È stupido?

"Mi sono preoccupata per te, ecco cosa ho fatto- incrocio le braccia- Credevo che potessi fare essere uno dei feriti della bomba, per non parlare dell'inizio, quando pensavo che addirittura il morto...". Lo guardo, lasciando la frase in sospeso.

Non so quante me ne ha fatte passare da quando lo conosco, ma questo periodo lontana da lui senza sua notizie e con la costante preoccupazione che potrebbe essergli successo qualcosa, mi ha fatto quasi impazzire.

"I'm sorry". Ripete, forse per la centesima volta da quando ci siamo rivisti.

"Perché non mi hai risposto?".

"Il telefono... as Stranger I used one another. And that broken up, so I don't know how to listen you. Sorry". Oh, allora era per questo.

"Dispiace anche a me. Avevo paura, che potesse esserti successo qualcosa, che non mi volessi più sentire... che avessi dato ascolto a tuo fratello e ti fossi allontanato da me, nonostante l'esito negativo delle analisi". E non solo.

Avevo paura di essere riuscita ad allontanarlo, dopo quello che mi aveva detto. Le parole a volte non fanno male solo a chi le riceve, ma anche a chi le pronuncia; ci si pente di queste, si vogliono portare indietro le lancette dell'orologio, ma non si può fare niente. E l'orgoglio, poi, manda tutto a quel paese.

Ci sorridiamo a vicenda, e nelle nostre espressioni troviamo tutto ciò che non riusciamo ad esprimere a parole.

"Hai ancora dubbi su di me?".

"No".

"Ora ti fidi?". Chiedo ancora, guardando il suo profilo e l'espressione concentrata sull'autostrada, sebbene sappia di essere la colpevole per quel sorrisetto da sbruffone appena spuntato sulle sue labbra.

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