Capitolo XXV

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Lakeworth, 1645

Erano passati già più di quarant'anni da quando Jennifer si era trasferita definitivamente e la sua vita stava procedendo nel migliore dei modi. Il suo sogno di diventare madre non si sarebbe mai avverato ma con la presenza dei bambini affidati a lei dall'orfanotrofio aveva riempito la sua vita di gioia e serenità.
Con il tempo e con l'aiuto di Vivianne e Thomas aveva fatto una specie di incantesimo sulla città così chiunque sarebbe andato e venuto finché lei fosse rimasta lì non avrebbe mai fatto caso al fatto che non invecchiasse di un giorno. I rapporti con i due ragazzi si erano consolidati con il tempo, erano diventati amici e passavano molto tempo insieme ma qualche anno dopo il suo arrivo avevano deciso di sposarsi e di trasferirsi in una piccola cittadina in una delle colonie a Nord, in Virginia. Era felice per loro e non aveva esitato un attimo a congratularsi quando le dissero che se ne andavano, era bello che si fossero trovati e le scrivevano spesso aggiornandola su come stava procedendo la loro vita, tra l'altro avevano avuto due bellissimi bambini che ormai erano adulti.
Ma la sua vita a Lakeworth le piaceva, stava crescendo anche lei due ragazzini fantastici: un maschio Dominic che ormai aveva già dodici anni e una bambina, Laura, di otto. Aveva l'abitudine di non avere segreti con loro, non gli nascondeva la sua vera natura e loro erano cresciuti con l'idea che il sovrannaturale fosse una cosa normale (ma comunque pericolosa) anche se loro non facevano parte di quel mondo.
Quella mattina aveva deciso di far fare ai bambini una passeggiata a cavallo, per fortuna con gli anni non aveva più avuto problemi con gli animali. Quando arrivarono davanti alle stalle Simon, lo stalliere non che fratello di Thomas, aveva già preparato e sellato i cavalli. Simon, che ormai aveva superato i quarant'anni, aveva sposato una delle cameriere della villa Penelope e avevano avuto tre splendidi figli.
"Ginger!" urlò Laura correndo verso il suo cavallo preferito, un bellissimo esemplare dal manto bianco con piccole macchie rossastre sul dorso, era molto dolce e paziente con i bambini, ovviamente Laura sarebbe montata insieme a Jennifer era troppo piccola per poter cavalcare da sola.
"Grazie infinite Simon, potresti aiutare gentilmente Dominic a montare in sella?" gli sorrise e l'uomo annuì
"Ma certo milady" la faccia del bambino si incupì
"Sono capace di farlo da solo Jenny" si portò le braccia al petto imbronciando il viso in modo dolcissimo, la ragazza rise
"Lo so benissimo Dom ma lo sgabello che usi di solito si è rotto e non ne abbiamo uno di scorta, fatti aiutare per questa volta" il bimbo scrollò le spalle e si fece aiutare senza fiatare.
Dominic aveva avuto qualche problema ad ambientarsi rispetto agli altri bambini, era arrivato all'orfanotrofio ad otto anni dopo che i suoi genitori vennero uccisi da dei criminali che volevano derubarli, Jennifer lo accolse nella sua casa un anno dopo ma lui non ci voleva andare. A quei tempi era un bambino molto chiuso e dall'umore nero come i suoi capelli, le aveva fatto patire le pene dell'Inferno, continuava a scappare e per un periodo aveva smesso anche di mangiare ma poi con un po' di cure e olio di gomito riuscì ad ambientarsi ed a considerarla casa sua.
Laura al contrario era arrivata a casa a tre anni, era un batuffolino dai riccioli biondi e gli occhi chiari che al contrario di Dominic non le aveva dato nessun tipo di problema, era una bimba tranquilla e serena probabilmente perché non aveva nessun ricordo dell'abbandono della madre ed era sempre stata abituata alla sola presenza di Jennifer. Era stata molto cordiale anche dopo l'arrivo di Dominic, gran parte del lavoro lo aveva fatto lei cercando di farlo integrare con l'innocienza che solo una bambina di cinque anni poteva avere.
Una volta pronti partirono per una bellissima passeggiata nelle immense praterie intorno alla loro piccola cittadina.

Colonia inglese della Virginia, 1645.

Dai Mikaelson nel contempo le cose erano un po' cambiate: Elijah e Rebekah erano molto più uniti e avevano condiviso il dolore per anni ritrovando finalmente la pace. Klaus al contrario dei suoi fratelli non aveva affrontato la sofferenza, come al suo solito l'aveva accantonata e aveva lasciato che alimentasse la fiamma di rabbia e solitudine che bruciava il suo cuore e la sua anima. L'indifferenza era l'unica soluzione secondo lui, così nessuno l'avrebbe più fatto soffrire. Mentre Kol era sparito appena avevano messo piede in quel posto, aveva bisogno di allontanarsi dalla sua famiglia per metabolizzare e andare avanti con la sua vita. Aveva questa insaziabile sete di vendetta e di sangue che non riusciva a trattenere, probabimente la frustrazione ma in quarant'anni aveva disseminato molti cadaveri in giro riempiendo il vuoto che gli era rimasto annientando sempre di più la sua umanità. La famiglia aveva ripreso i suoi affari oscuri con il mondo sovrannaturale, avevano ripreso a terrorizzare il mondo o meglio in questo caso il Nuovo Mondo.
Avevano trovato una vecchia magione abbandonata dispersa tra i boschi, l'avevano fatta risistemare a loro gusto e si erano trasferiti poco dopo. La Virginia era diventata quasi ospitale per loro, le persone li rispettavano ed erano talmente isolati dalle grandi cittadine che nessuno li avrebbe potuti trovare, neanche Mikael.

Klaus era nel suo ufficio sommerso di fogli, pergamene e missive oltre che alle sue varie opere appese qua e là per la stanza, stava cercando di fare ordine. Aprì uno degli ultimi cassetti della scrivania tirando fuori un ulteriore pila di scartoffie sbuffando, però un rumore lieve attirò la sua attenzione, una busta ingiallita era caduta a terra, riconobbe la sua scrittura nella parola sul dorso "Jennifer". Sorrise leggermente prima di prenderla in mano e girarsela tra le dita, sapeva perfettamente che cos'era e perché si trovava lì, la curiosità di aprirla e rivederne il contenuto fece capolino nella sua testa così estrasse i due fogli contenuti all'interno: una lettera e un ritratto a carboncino, quello che le aveva fatto quando viaggiavano sulla Golden Key. Posò il disegno sulla scrivania prima di aprire la lettera e iniziare la leggerla

23 dicembre 1603

Mia amata Jennifer,
sono già due mesi che non sei più con noi e non mi sono ancora abituato all'idea, aspetto ancora che tu varchi la soglia della mia camera con il tuo bellissimo e contagioso sorriso dicendomi che sei tornata da me ogni notte e ogni mattina.
Mi manca tutto di te: il tuo corpo, la tua anima, i tuoi modi di fare e di essere, la tua risata ma soprattutto il modo in cui mi facevi sentire. Mi mancano i tuoi capelli di seta sul viso la mattina appena sveglio, i tuoi occhi che mi studiano incuriositi come se fossi la persona più interessante del mondo, la tua voce dolce e confortante, il tuo profumo così buono da diventare una droga, potrei continuare per ore.
Non penso che riuscirò mai ad amare qualcuno come ho amato te, sì perche io ti amo Jennifer, non te l'ho mai detto ma ti amo.
Ho provato a disegnarti così tante volte da quando non ci sei più, ma ogni volta finiscono nel camino perché nessuno di quegli scarabocchi uscirà mai bello come te. Nessuno ti rendeva giustizia.
Ho ripreso la mia vecchia vita di guerra e sangue perché una nuova senza di te sarebbe stata una cosa troppo grande, so che non saresti d'accordo con la mia decisione, mi immagino già il tuo tono seccato che mi dice "Io lo so che tu non sei veramente così" e amore mio, forse per la prima volta ti saresti sbagliata, io sono proprio questo, un mostro o meglio il peggiore dei mostri. Vorrei riuscire a guardarmi allo specchio con i tuoi occhi e capire come facevi ad apprezzare quello che sono tralasciando tutto il male che ho fatto, io non ci riesco.
Sto riportando tutto quello che sento su carta, voglio riuscire a catturare tutti i miei pensieri e intrappolarli qui per vedere se poi faranno meno male, ma so già che non servirà a nulla, l'unica cosa che può riempire il vuoto che si è creato nella mia vita sei proprio tu e non esiste nessun modo per riportarti da me.
Concludo dicendoti che non ti dimenticherò mai, anche se per poco ma il tempo che ho passato con te ha combiato per sempre ogni parte di me, mi sono sentito di nuovo vivo e meritevole di amore e non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto.
Per sempre tuo,

Niklaus.

Richiuse la lettera con gli occhi che bruciavano, non si ricordava come ci si sentisse, era come se avesse trattenuto il fiato per decenni e ritornare a respirare era quasi doloroso.
Diede un'ultima occhiata al ritratto sorridendo, aveva ragione nella lettera, nessun disegno le avrebbe reso giustizia.
Ripiegò entrambi i fogli rimettendoli al loro posto dentro la busta e la richiuse con delicatezza. Se la girò un po' tra le mani prima di portarla alla bocca e lasciarci un leggero bacio.
"Mi manchi" disse sottovoce come se lei potesse sentirlo poi si alzò dalla sedia scricchiolante per avvicinarsi alla finestra, era una notte abbastanza fredda e oscura ma lui aveva molta esperienza quando si trattava di oscurità.
Sospirò rumorosamente prima di chiudere gli occhi e avvicinarsi al camino a testa bassa. Lasciò che il tepore delle fiamme gli scaldasse la pelle e le ossa sospirando di nuovo, rimase in quella posizione fissando le fiamme ardenti per quasi dieci minuti immerso nei suoi pensieri, poi alla fine si alzò e chinandosi buttò la busta nel fuoco aspettando che bruciasse del tutto
"Addio amore mio" pronunciò quelle parole con la voce rotta poi si girò e tornò a sedersi al suo posto con le lacrime che facevano capolino dai suoi occhi.

THE END.

Jennifer Davon || The OriginalsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora