25. Jugaad

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«Vi si è annodata la lingua?» chiese ancora quella voce con una nota di divertimento.

Mi resi conto solo in quell'istante del mio improvviso mutismo e mi affrettai a ricompormi, rimettendomi in piedi.

«Non me la ricordavo così.» intervenni istigandola a mia volta.

Lei socchiuse quasi impercettibilmente gli occhi sottili, ma non replicò.

«Abbiamo una questione di cui parlare e io non ho tempo da perdere.» cambiò argomento, tamburellando con le dita affusolate il bracciolo destro del trono.

«Allora sarà meglio che mi porti subito da quegli stronzi.» ribattei.

Di nuovo quello sguardo.

«Ho detto che non ho tempo da perdere, non che sono precipitosa. Sapevo del vostro arrivo, ma ciò non significa che possa fidarmi di voi.» sibilò scrutandomi seria, quasi cercasse di scorgere in me una qualche traccia di colpevolezza.
«Sapevi del mio arrivo grazie ad Allison e con lei mi pare tu sia in buoni rapporti.» protestai, ma lei alzò una mano per farmi segno di stopparmi.
«Per quanto mi riguarda, potresti essere in combutta con quegli uomini.»

Pronunciò quella parola con un ribrezzo che mi rese subito curiosa.

«Guarda che nemmeno io ho tempo da perdere.» dissi guardandola fissa negli occhi, ma riuscii solo per una manciata di secondi, dopo i quali il mio sguardo fu completamente spinto verso il pavimento da una specie di forza invisibile.

La principessa si alzò in piedi e cauta scese i due gradini che la sopraelevavano.
Il rumore dei tacchi rimbombò tra le pareti, mentre si avvicinava a me.
Le movenze morbide ed eleganti come quelle di un felino la rendevano ancor più magnetica e di nuovo mi ritrovai a non riuscire a reggere quel suo sguardo penetrante, ma lei si fermò davanti a me e mi costrinse a guardarla senza dire una parola.

Lottai contro me stessa per non cadere in quei vortici scuri che erano le sue iridi e ne uscii sconfitta.

«Seguimi.» disse, infine. Non mi sfuggì il fatto che mi avesse dato di colpo del tu e mi chiesi se fosse voluto o meno.

Cominciò a camminare con passo svelto e sicuro, dandomi le spalle, e si diresse verso la navata sinistra
Mi affrettai ad andarle dietro.

«Dove stiamo andando?» chiesi innervosita dal suo ordine.
«Avete precisato di non avere tempo, quindi ho deciso di accontentarvi. Andremo da quegli uomini.» di nuovo quell'evidente nota di disprezzo nella voce.

Rimanemmo in silenzio, mentre attraversavamo la navata. Varcammo una porticina di legno nascosta da una pesante tenda di velluto porpora, che conduceva ai piedi di una scala a chiocciola dai gradini dagli stessi riflessi perlacei dell'esterno del palazzo e il corrimano d'argento lavorato con maestria.
In genere non ero affatto una persona loquace, né necessitavo riempire i silenzi creati nelle conversazioni, anzi, tutto il contrario. Eppure quel suo mutismo mi stava facendo agitare, così, in via del tutto eccezionale, mossi io il primo passo.

«Comunque da noi si usa dire "Il gatto ti ha mangiato la lingua?" quando una persona non parla.» feci riferimento al nostro scambio di battute di poco prima.

Lei si ostinò a mantenere il silenzio, ma mi concesse una rapida occhiata incuriosita che non riuscii a interpretare.

Che altezzosa.

Indispettita, non aggiunsi altro. D'altronde, chi era lei per non volermi degnare nemmeno della sua parola? Poteva anche essere di sangue reale, ma il suo rango non aveva alcun valore su di me in quanto non facente parte del suo regno.

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