18. Agape

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Allison mi richiamò preoccupata, per poi dirmi di aspettare che arrivasse prima che poteva, dopo un tempo che non riuscii a calcolare.
Potevano essere passati pochi minuti come diverse ore, non faceva differenza in quel momento. Il dolore aveva anestetizzato ogni mia percezione esterna, per questo il gelo e la durezza delle piastrelle contro la guancia non mi crearono alcun fastidio.
Il letto era a pochi centimetri di distanza, ma i miei muscoli parevano aver perso la capacità di contrarsi.
Rimasi a fissare un punto imprecisato innanzi a me, con gli occhi gonfi che bruciavano, ma non smettevano di lacrimare.
Per qualche oscuro meccanismo masochista del mio cervello, cominciarono a tornarmi in mente immagini di lui e per ognuna di esse era come se qualcuno mi stesse picchiando: quel suo mezzo sorriso adorabile fu uno schiaffo in pieno volto, i suoi occhi scuri furono un terribile pugno allo stomaco, il suo profumo un colpo in testa, la sua voce un calcio su un fianco ed infine le sue braccia e le sue labbra...per ogni ricordo di un abbraccio, per ogni bacio rivissuto, fu come se qualcuno mi avesse afferrato per la gola, privandomi dell'ossigeno.

Basta.

Riuscii miracolosamente a tirarmi sul letto e rimasi stesa a pancia in su guardando il vuoto.
Le lacrime avevano smesso di scendermi lungo le guance. Le sentivo asciugarsi lentamente sulla pelle, lasciando dietro di loro una scia umida e salata.
Il soffitto era improvvisamente diventato una candida tela su cui proiettai i miei pensieri fino all'arrivo di Allison, annunciato dallo sbattere della porta e da un affrettato ticchettio sul pavimento.

"Tesoro..." sussurrò entrando nella stanza.

Mi osservò per qualche istante e so che il suo senso dell'estetica stava arricciando il naso, guardandomi e come dargli torto? Dovevo avere un aspetto a dir poco orribile, ma non era un problema di cui avevo intenzione di occuparmi in quel momento.
Qualcosa in quello sguardo accorto e preoccupato ruppe gli argini che trattenevano quel poco di lacrime che mi restavano.
Mi rannicchiai al suo petto e mi feci confortare. Avevo bisogno che qualcuno lo facesse e questo era strano, era...sbagliato. Io, quella orgogliosa, quella forte, quella che non aveva bisogno di nessuno, che mi facevo cullare in lacrime come una bambina. La situazione era così assurda che anche la rossa non sapeva come comportarsi, ma cercava comunque di infondermi quanto più affetto poteva.
Mi sentii come quando ci eravamo conosciute, come quando in lacrime le avevo raccontato della mia evasione dall'Organizzazione senza nemmeno conoscerla.
Mi sentii meno sola.
Mi sentii quasi come quando era Julia a starmi vicina nei momenti bui.
Effettivamente percepivo un grande affetto fraterno nei gesti di Allison e per la prima volta topo tanto tempo, mi parve di sentir con meno peso l'assenza di Julia.
Forse dovevo davvero smettere di tenere Allison a distanza. Tanto, come capo della Resistenza era a conoscenza dell'esistenza dell'Organizzazione, per cui non c'era nemmeno più pericolo che corresse rischi a causa mia, poiché anche lei c'era già dentro fino al collo.
Sì, forse era arrivato il momento che la trattassi come meritava, che mi aprissi un po' nei suoi confronti e la considerassi per ciò che effettivamente era diventata: una sorella maggiore.
Il calore del suo abbraccio mi restituì quel tanto di forze che bastarono a raccogliere la lettera da terra e passargliela.
Mentre i suoi occhi scuri la ispezionavano, fui tentata di rileggerla ancora una volta, ma la sola idea mi provocava una dolorosa stretta al petto. Persino scorgere con la coda dell'occhio quella grafia vagamente tondeggiante, mi provocava un nodo in gola.

"Probabilmente avrà cose sue a cui pensare." fu il suo primo commento.
"E quindi?" mugolai con voce rotta
"Se lui ha problemi devo andarci di mezzo io? Se lui ha altre cose a cui pensare io devo soffrire?!" mi ritrovai a gridare.
"Non è giusto Allison, no...non...non riesco a concepirlo, né a realizzarlo, mi...mi fa troppo male." singhiozzai.
"Ma perché ti ferisce tanto, Sarah? Perché proprio lui? Perché una cosa del genere dovrebbe scalfire una come te?" domandò la rossa.
"Perché..." esitai, prendendo un respiro per calmarmi.
"Perché lo amo, Allison. Fidati, mi costa ammetterlo, ma negarlo a me stessa non serve a nulla."
"Ma lo conosci solo da due mesi, come fai ad esserne tanto certa?" insistette lei, dubbiosa.
"Non lo so. Razionalmente mi chiedo anch'io come sia possibile, ma come ti ho già detto, è qualcosa che non comprendo, ma di cui sono sicura, perché la sento." dissi portandomi una mano al petto.

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