22. Majime

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I mesi seguenti sarebbero stati all'insegna dello studio, questo era poco, ma sicuro.
Dopo la chiacchierata con John avevo deciso di assumermi volontariamente sulle spalle il peso di essere un Generale, ma solo a patto di non dover avere sotto il mio comando una squadra e agire invece come inviata per missioni importanti. 

Non ero in grado di sobbarcarmi la responsabilità di altre persone, né tantomeno mi sentivo adatta al ruolo di capo o peggio: di leader. Questo probabilmente John lo aveva inteso, ma aveva avuto ugualmente la gentilezza di fingere di credere alla mia scusa di poter essere più utile svolgendo un compito in solitaria, in quanto già addestrata a tale ruolo dall'Organizzazione.
Ad ogni modo, essere un'inviata comportava, come ci aveva tenuto a sottolineare l'uomo, che avrei dovuto conoscere perfettamente tutte le culture delle varie componenti di Ahiria, in modo da potermi integrare e confondere in quelli che in quel momento erano per me mondi completamente estranei e che avrei in poco tempo dovuto conoscere. Ero però riuscita a trovare un compromesso su questo punto, poiché ogni Generale di norma veniva addestrato per un certo tempo, prima di poter ottenere quella carica, per poi acquisire esperienza sul campo, mentre io, in mancanza di questa e rivestente questo ruolo senza una formazione di quel tipo, non sarei mai riuscita a svolgere il mio compito prima di qualche anno. Per questo con John, Allison e Mark avevamo stabilito che avrei fatto uno studio intensivo su una singola cultura prima della missione che mi sarebbe stata assegnata.

"Allora, dobbiamo metterci d'accordo su quando cominciare." fece una voce poco dietro di me.
"Dove si trova la tua camera?" chiesi di rimando, mentre percorrevo a grandi falcate la strada di ritorno dal centro di allenamento. 
"Le stanze dei Generali sono tutte nello stesso corridoio, quindi vicino alla tua. Perché lo chiedi?" accelerò il passo e mi raggiunse.
"Perché cominciamo ora e non ho alcuna intenzione di farti entrare in camera mia." sentenziai.

Camera nostra, semmai...

Mi rammentò la mia mente, ripensando ad Alexander.
No, lui era l'ultima persona a cui avrei dovuto pensare, nonché un altro buon motivo per entrare in quella stanza il meno possibile.
Samuel non mi diede risposta, così mi resi conto di essere stata un po' troppo brusca e tornatomi in testa il monito di Allison di non comportarmi come al mio solito ed essere più gentile, provai a rimediare.

"Non sono da sola in camera e non vorrei disturbare." precisai con voce più morbida e sfoderai un sorriso che sperai risultasse cordiale. Non si trattava propriamente della verità, ma questo il ragazzo non poteva saperlo, infatti la sua espressione tornò allegra.

Allison aveva accennato al fatto che avesse la mia stessa età, ma a giudicare dal suo aspetto non lo avrei mai detto: dolci occhietti scurissimi dallo sguardo curioso e attento, naso leggermente all'insù, labbra sottili, guance paffute e lineamenti per nulla spigolosi gli davano un'aria sveglia e quasi infantile. Nonostante questo, a pelle quel ragazzo mi stava simpatico, ma questo lo avrei giudicato nei giorni a venire, dato che mi era stato affidato come insegnante e compagno di missione.
L'idea di non lavorare completamente sola non mi garbava, ma perlomeno Samuel mi andava a genio, per cui sempre meglio lui che qualcun altro.

Sempre meglio lui che Alexander.

"Eh, ho saputo che ti hanno messa con Parker...buona fortuna." aggiunse quasi leggendomi nel pensiero.

Non mi piacque per nulla la smorfia che fece subito dopo, né il fatto che la voce fosse girata così in fretta. Sicuramente la causa era quella chiacchierona di Allison e per questo gliene avrei dette quattro appena l'avrei rivista, mentre per quanto riguardava il primo punto, lo segnai tra le motivazioni per non provare nemmeno a pensare di avvicinarmi a lui.

"Già. Da quanto tempo fai parte della Resistenza?" cambiai discorso.
"Più o meno cinque anni...e Generale da due." disse dopo un attimo di riflessione e fui sorpresa del tono leggero e spensierato con cui formulò la frase...come stesse spiegando che tempo facesse quel giorno a Denhood.
"È stato difficile trovare una scusa che coprisse e copra tutt'ora le ore passate qui ai miei genitori, ma tolto questo, poi non ho avuto problemi." aggiunse.

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