Mercoledì diciannove ottobre
< Sono sei euro e ottanta centesimi. > Monica allungò una banconota da dieci al commesso, lui la squadrò, aprì la cassa e preparò il resto. Lei mise la mano sinistra sul bancone in modo da poter ricevere i soldi direttamente nel palmo. Il ragazzo gli allungò il sacchetto con dentro il suo pranzo e appoggiò il resto sul bancone. Monica si lasciò sfuggire un leggero sospiro di frustrazione. < Buona giornata. > Disse velocemente il commesso. < Sì Certo. > Mise le monete nel portafoglio, si spostò vicino al bancone dei formaggi in modo da non bloccare la fila mentre si sistemava. Mise il portafogli nello zaino, prese le cuffiette e si allacciò uno degli anfibi neri e consumati. Prese il sacchetto e uscì dal forno, appena oltrepassò la tendina di plastica fece partire la musica. Quel giorno era abbastanza caldo per essere ottobre, infatti Monica indossava solo una semplice maglietta grigia a manica corta e i jeans strappati in diversi punti. Dal colletto della maglia spuntavano alcune lettere nere, un tatuaggio che si era fatta in estate in memoria della madre: "Yanlış yöne gitmenizin bir önemi yok, geri dön". Ne andava molto fiera, sua madre l'aveva cresciuta con questo proverbio turco, "Non importa se hai sbagliato strada, torna indietro". La madre le mancava molto, era morta da quattro anni lasciando dentro di lei un vuoto, l'aveva cresciuta al meglio insegnandole la sua cultura e la lingua. La ragazza aveva paura di ammetterlo ma da quando la madre se n'era andata non aveva parlato più in turco e temeva che se avesse dimenticato quella lingua le avrebbe fatto un torto imperdonabile. Ma fu il dolore per la perdita che la cambiò profondamente, così Monica aveva imparato a non mostrare le sue paure al mondo e di dimostrare chi fosse. I suoi capelli, uno spettinato caschetto blu ormai verdastro a causa dei mesi passati senza tingerli erano il simbolo della sua ribellione. La musica nelle orecchie era altissima e chiunque gli passasse vicino girava la testa stupita che la ragazza fosse in grado di sopportare tutto quel suono spacca timpani. Lei era abituata a quel genere di sguardi, i vecchi la osservavano come se provenisse da un altro pianeta. Ma era normale, almeno per lei. Camminò per più di mezz'ora prima di arrivare a destinazione con il sole che le bruciava la pelle, intanto la musica continuava. Prese la sua scorciatoia preferita, le piaceva molto perché passava per tanti piccoli vicoli in pietra con qualche gradino occasionale, c'erano dei piccoli fiori che si erano fatti spazio fra la roccia ed erano fioriti in tutta la loro delicata bellezza. Poco dopo avvistò il cartello "Casa grotta di Vico Solitario", affrettò il passo. Appena arrivò superò una manciata di turisti americani, salutò Ciro all'entrata e si diresse nell'ufficio del padre. Suo padre, Domenico, era uno storico specializzato nella cultura e storia di Matera ed era il custode del museo. < Ciao papà. > L'uomo alzò lo sguardo da alcuni documenti e Monica appoggiò il sacchetto sulla scrivania. < Ciao tesoro. > Salutò di rimando Domenico per poi togliersi gli occhiali e strofinandosi gli occhi. < Allora, ho preso una pizza rustica con i pomodorini, una focaccia e dei mandarini. > Elencò la figlia mentre appoggiava ogni alimento davanti al padre. L'uomo aveva la testa appoggiata a una delle sue mani e osservava la ragazza sorridendo. < Che c'è?> Chiese lei con la bocca già piena di pizza. < No niente. > Disse ridestandosi, nonostante i capelli di un colore innaturale Domenico vedeva ancora sua moglie nei tratti della figlia e questo lo rendeva felice ma anche malinconico. Mangiò in silenzio mentre ascoltava la figlia raccontargli la sua giornata. < Quindi state ancora occupando. > Disse il padre, lui era un po' preoccupato, la figlia era giovane e si sapeva che le occupazioni potevano diventare violente. Monica bevve un sorso d'acqua. < Sì, abbiamo intenzione di continuare finché la succursale non sarà di nuovo agibile, e anche finché non ci mostreranno le prove che dimostrano la futura ristrutturazione della sede. > Disse con tono deciso, aveva cominciato il liceo da appena tre mesi ma gli studenti non riuscivano a passare sei ore al giorno in una struttura non sicura per questo avevano deciso di occupare per il terzo anno di fila e Monica insieme a molti altri primini avevano deciso di partecipare. La ragazza ci teneva molto, non solo era un ottima scusa per saltare le lezioni ma si tentava anche di fare qualcosa per il bene comune. < Siccome domani è Domenica e Lunedì non vai a scuola, potresti fare da tata a Mafalda. > Mafalda era la figlia della compagna di Domenico. Monica non voleva, non per la bambina ma per via della madre. Emilia, erano fidanzati da due anni e si conoscevano già da prima, infatti Monica sospettava che avessero una relazione da poco dopo la morte della madre. La ragazza non la sopportava, era una donna vanitosa e superficiale, in più era sempre pronta a giudicarla per qualsiasi cosa. < Devo proprio? > Chiese la ragazza. < No, ma se lo facessi io te ne sarei davvero grato. > Il padre guardò la figlia che aveva abbassato gli occhi sul pavimento. < Va bene, ma solo per questa volta. > Si alzò e si diresse verso la porta con lo zaino in spalle. < Grazie tesoro. >
STAI LEGGENDO
Un racconto per un'anima
FantasyQuando sei costretto a lottare per sopravvivere le fiabe non sono più magiche. Se i bambini muoiono mentre ascoltano le fiabe arriva una figura che gli propone un accordo, riavranno la loro vita in cambio di un'altra. Così Lucia si ritrova nei luogh...