Parte 26~Sopravvivenza, sanguisughe e "un Black"~

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Le vecchie assi di legno, consumate dallo scorrere del tempo e dalla ferocia delle termiti, scricchiolavano sotto il peso del suo corpo che, indolenzito e tremante, era raggomitolato su se stesso. Le taglienti fessure tra un'asse e l'altra, lasciavano filtrare spicchi di luce gialla, che faceva da riflettore alla polvere sospesa a mezz'aria . Tutto sembrava essersi arrestato in quel momento, ogni oggetto era inanimato e silente, perfino l'aria sembrava essere fuggita e l'odore di legno vecchio misto a muschio era talmente pungente da rimanere incastrato nella gola. Polvere grigia copriva come un manto prima i suoi capelli, poi la sua fronte e infine le sue narici che come colline innevate non davano segni di respirazione. La bocca, talmente sottile e geometrica da sembrare solitamente disegnata, dopo quella notte aveva perso per sempre la sua perfezione a causa di un taglio verso l'angolo destro che ormai non si distingueva più dalla macchia di sangue secca circostante. Tranne il lieve cinguettio degli uccelli che liberi volavano fuori da quel luogo tetro, nulla lì sembrava esser vivo, il giovane sembrava morto mentre il suo corpo freddo rimaneva immobile.

-Signor Lupin, mi sente?- domandò una voce dall'esterno, mentre picchiettava il pugno sulla scalfita porta in legno. All'interno della Stamberga non ci fu risposta, motivo per il quale la strega, avvolta nel suo vestito vermiglio e grembiule color panna, non indugiò ad entrare.

-Remus tesoro, per la barba di Merlino come sei ridotto! Non ti preoccupare è tutto finito- balbettò Madama Chips, aprendo con un gesto veloce la porta e correndo al fianco del giovane Remus che ancora disteso e con gli occhi semichiusi, si limitava ad ascoltare perché completamente privo di forze. Mentre l'infermiera appoggiava sul pavimento tutte le boccette che reggeva tra le mani per poter sollevare il mago e adagiarlo sulle sue gambe, Remus riuscì a bisbigliare qualche parola.

-Eh sì, neanche oggi sono morto eh? Anche se i presupposti erano ottimi e poco ci mancava...quasi quasi lo preferivo.- spiegò Remus, accennando un sorriso mentre diceva quelle parole talmente inquietanti e dal significato terribile da far rabbrividire. Poi continuò:

-Si può definire vita questa? Madama Chips, mi posso ritenere vivo io, in queste condizioni bestiali ogni mese? Una "vita" di questo tipo non merita di essere vissuta, nemmeno da uno come me... preferirei farla finita... invece di continuare a sopravvivere in questo modo vergognoso e doloroso.-

-Remus sei ancora così piccolo tesoro, non dire queste cose perché non le accetto! Qui con te ci sono io e finché a curarti saranno queste mani, tu non passi a miglior vita mio caro! Resti qui con me e quegli esagitati dei tuoi amici...a proposito, ho trovato questo sopra le lenzuola del tuo solito lettino in infermeria- borbottò amorevolmente Madama Chips, tirando fuori dalla tasca del grembiule un foglietto di carta piegato su se stesso e passandolo a Remus prima di cominciare a spalmare unguenti alle erbe selvatiche e alla bava di lumaca sulle ferite ancora aperte del maghetto, accelerando la cicatrizzazione.

"Ricorda, siamo come la Costellazione Ercole e ora che sei lontano ci manchi...mi manchi. Rimettiti presto che un nuovo capitolo di Zanna Bianca ci aspetta (non so se ricordi l'album incantato che mi avevi regalato a Natale, ecco ho aggiunto il tuo biglietto ad una nuova pagina). Serve che torni perché non trovo più la mia cravatta e al momento sto utilizzando quella di Peter a sua insaputa che crede di averla smarrita...sono sicuro che come sempre ci impiegherai due secondi a sistemare tutto"

Lupin lesse seguendo con la coda dell'occhio lettera dopo lettera il messaggio di Sirius che, successivamente al ritrovamento del suo pensiero scritto sul biglietto in infermeria, aveva deciso di rispondergli. Gli fecero incredibilmente bene quelle parole che permisero lo scorrere di un po' di linfa vitale nei suoi arti e fecero maledire meno il suo cuore di non essersi fermato per sempre dopo una nottata più del solito infernale. Sfiorava delicatamente tra i polpastrelli il pezzetto di carta e al contempo  gli angoli della bocca gli si curvavano verso l'alto. Odiava terribilmente la sua vita e gli unici attimi che la rendevano meno detestabile erano quelli che avevano come colonna sonora le risate dei suoi amici; per quanto disprezzasse la sua esistenza e la sua natura, pensando ogni giorno ad un modo per porre fine alle sue sofferenze, mai avrebbe trovato il coraggio di causare un dolore di tale portata ai suoi amici, dopo tutto quello che avevano fatto per lui. Si rifiutava di essere talmente egoista da segnare per sempre le vite degli altri con la fine della sua, perciò giorno dopo giorno il suo "sopravvivere" alimentava la vita degli altri compagni di casa, e viceversa.

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