Fourteenth

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È da meno di due settimane che mia sorella ha partorito e non riesco a capire come diamine faccia a non preoccuparsi di lasciare il figlio nelle mani di una babysitter sconosciuta.

La mia presenza stasera sarà solo per accontentare Maddie perché non ho intenzione di prendermi cura di quella palla che odora di buono.

Non ho mai preso in braccio un bambino e non ho intenzione di sapere cosa si priva a stringere nel petto un bebè.

Al solo pensiero lancio una rapida occhiata al mio ventre in basso, assumendo un'espressione perplessa e ansiosa allo stesso tempo quando la mia mano inizia a tremare per la voglia di poggiare il palmo sulla pancia rigonfia, ma appena faccio per sollevare il braccio, il portone davanti a me viene subito spalancato, costringendomi ad alzare gli occhi di scatto per incrociare quelli furiosi di mia sorella:

«Sei in ritardo!»-fa un passo in avanti per sorpassarmi e affrettarsi a uscire dal suo appartamento con John alle spalle, che si limita ad accogliermi con un grosso sorriso in volto.

Se speravo di tornare a Miami dopo cinque mesi e scoprire che mia sorella è cambiata ed è diventata più sopportabile, ora mi viene da ridere al solo pensiero.
Non solo sono qui a spendere il resto della serata in compagnia di un neonato a fare quello che lei deve fare in qualità di madre, ma si lamenta persino del mio ritardo, come se non sapesse che ho una sola macchina, che ora sta a New York, parcheggiata di fronte al New World Trade Center.

«Mi ha portata Mark.»-cerco di farle capire, stringendo la maniglia della sua porta tra le dita per il fastidio quando la vedo roteare gli occhi al cielo:

«Ancora con questo Mark...»-si lamenta con un tono acuto e ironico, mentre suo marito poggia una mano sulla sua schiena per farle capire che devono sbrigarsi.
Più che una cena romantica per festeggiare il loro quinto mese da marito e moglie, sembra che stanno andando a un colloquio di lavoro.

«Non sei l'unica a fare ritardo, comunque... A che ora hai detto di venire alla babysitter!?» - questa volta si lamenta all'uomo al suo fianco, che si affretta a spiegare con una smorfia quasi  imbarazzata in viso:

«Sarà qui a momenti, le ho dato tutte le indicazioni. Andiamo!» - dice tutto d'un fiato, alzando l'avambraccio per guardare l'orologio intorno al suo polso e spingere di nuovo sulla schiena di mia sorella per costringerla ad avanzare lungo il corridoio, ma questa volta mia sorella non oppone resistenza e si lascia trascinare via, alzando il mento in segno di saluto verso la sottoscritta, prima di voltarmi le spalle, mentre John incrocia per un millesimo di secondo gli occhi coi miei, per poi distogliergli all'istante con la stessa smorfia di poco fa, come se si sentisse in colpa per non so quale ragione.

Corrugo la fronte al suo strano atteggiamento, ma non potevo aspettarmi che il marito di mia sorella fosse normale dato che... ha sposato mia sorella.

Scuoto la testa quando vedo i due scomparire in fondo al corridoio, per poi fare un passo dentro la casa in cui sono cresciuta, guardandomi intorno come la prima volta in cui vi ho messo piede quando sono tornata da New York, ma prendo un forte respiro quando noto che nulla è cambiato.

Se non la presenza di una piccola creatura, sdraiata sul divano al centro del soggiorno, con le piccole braccia che muove di qua e di là come se volesse farsi notare.

Sospiro pesantemente a quella visione, approfittando del fatto che non piange e non si muove, per riprendere a guardarmi di nuovo intorno, dappertutto, tranne che nella sua direzione forzando me stessa a non farmi intenerire da quella piccola palla, ma non riesco a trattenermi dall'aprire bocca quando sembra farlo apposta ad attirare la mia attenzione e inizia a muovere freneticamente anche le gambe in aria:

«Smettila.»- sussurro con un tono frustrato, puntandogli l'indice contro, come se potesse vedermi, ma Corrugo la fronte quando sembra ascoltare la mia supplica e abbassa all'istante le gambe minuscole, coperte dal sottile tessuto di un banale pigiama.

Abbasso l'indice lentamente, guardandolo da lontano con una smorfia dispiaciuta al solo pensiero di averlo spaventato, quindi mi affretto a difendermi prima che i sensi di colpa inizino a divorarmi:

«Non ti odio.»

Deglutisco rumorosamente e annuisco alle mie parole quando finalmente mi sembra di essermi liberato di un peso.

«È lui che disprezzo.»-abbasso la testa verso il mio ventre di nuovo, questa volta trovando il coraggio di poggiare la mano destra sulla mia pancia, coperta dal tessuto leggero e lucido di un vestito talmente stretto e corto che faccio persino fatica a camminare, ma la sua taglia è tale da non aderire al mio stomaco, permettendomi di nascondere il mio utero rigonfio.

I miei occhi iniziano a pizzicare e stringo le dita sul mio ventre al solo pensiero che tra un paio di giorni non sarà più dentro di me, ma alzo la testa di scatto e spalanco gli occhi quando una voce rauca e fredda arriva dritto alle mie orecchie dal portone d'ingresso, facendomi capire solo ora di non aver chiuso il portone:

«Lui chi?»

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Ex 2 // In Love With My Ex (SECONDO LIBRO) //  Sequel Di 'Ex'- New Adult Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora