Second

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«Porca miseria, mi sei mancata.»- le sento sussurrare contro i miei ciuffi arrotolati in dei boccoli, per poi vederla corrugare la fronte per la confusione:

«Sei...» - inizia a balbettare con un tono basso, guardandomi dalla testa ai piedi con lo stesso cipiglio, per poi concludere con un tono pieno di sorpresa, come se se ne fosse accorta solo ora:
«Cambiata.»

«Già.»-riesco a sussurrare, abbassando lo sguardo per notare che lei non è cambiata affatto, mentre i suoi occhi passano dai miei capelli tagliati fino all'altezza delle mie scapole, molto più corti dell'ultima volta che ci siamo viste, per poi passare al mio vestito elegante, senza spalline e con una graziosa scollatura che lascia intravedere la pelle pallida delle mie spalle minute, anche se nascoste da un pesante cappotto che scende fino alle mie caviglie, coprendo anche gonna larga del vestito, che nasconde il mio ventre leggermente incurvato.

«Alison.» - la voce di Mikael la costringe a portare la testa in alto e distogliere gli occhi dai miei tacchi alti, per poi spalancarli appena l'uomo al mio fianco si avvicina al bagaglio della sua macchina e alza il mento in segno di saluto:

«Mikael?» - la sua voce è più acuta del solito, mentre sposta più volte gli occhi dai miei a quelli del biondino, ma prima che possa spiaccicare parola e iniziare un interrogatorio, mi affretto a riportarla alla realtà:

«È tardi, ho appena parlato con Maddie!» - le ricordo il motivo per cui siamo al Miami International Airport, affrettandomi a sorpessarla con il cuore che riprende a battere a mille, mentre spalanco la portiera per prendere posto affianco al sedile del conducente.

South Miami Hospital non è lontano dall'aeroporto, ma l'idea che mio cognato non sia arrivato in tempo e che mia sorella sia ancora sola in questo momento mi fa venire la nausea.

«Stava partorendo?» - la mia amica si affretta a chiedere appena accende il motore, mentre Mikael si posiziona alle mie spalle, sbattendo la portiera per far capire alla mia amica di partire.

«Non ancora.»-annuisco alle mie parole stringendo la piccola borsa tra le dita al modo in cui mia sorella stava urlando dall'altra parte del telefono.
La chiamata è durata pochi minuti, ma mi è bastato per capire che partorire è dannatamente doloroso.
Al solo pensiero assumo una smorfia di fastidio, chiedendomi come abbia fatto a tenermi nascosta una notizia del genere.

Se non mi avesse detto di essere al nono mese ieri sera, probabilmente mi avrebbe nascosto persino di avere un figlio, quella stronza che mi ritrovo ad avere come sorella!

«Ehi...»-giro la testa di scatto verso Alison, che allunga una mano nella mia direzione per poggiarla sulle mie,  posizionate sulle mie gambe e strette alla borsa con così tanta forza che solo ora mi accorgo di come stanno tremando.

«Andrà tutto bene.»-mi rassicura con il suo tono dolce, stringendo le mie mani tra le dita per convincermi, mentre tiro un sospiro pesante, lanciando una rapida occhiata a Mikael dallo specchietto retrovisore.

Una parte di me crede che lui sia l'unico che capisce come mi sento in questo momento, mentre inizio a sentirmi quasi in colpa per essere così egoista.
Lo sguardo di Mikael è così preoccupato che non mi aiuta affatto, ma sobbalzo quando la mia amica ferma la macchina di scatto, facendo slittare le ruote sulla strada bagnata per la forte pioggia che inizia a bagnare la terra di Miami.

Appena i miei occhi finiscono sulla scritta gigantesca davanti alla struttura imponente dell'ospedale, mi affretto a uscire dalla macchina prima ancora che Alison la spenga, lasciando i due alle spalle per sbattere la portiera e iniziare a incamminarmi a passo felpato verso il parcheggio dell'ospedale.

Il freddo di gennaio mi costringe a stringermi nel cappotto, aumentando il passo verso l'entrata.
A Miami ha sempre nevicato in questo  periodo dell'anno, ma per la fortuna mia e di Maddie non siamo rimaste chiuse in casa e le strade sono più che pulite.

«Maddie Pattinson.»-mi affretto a chiedere all'infermiera seduta dietro un grosso banco bianco, che alle mie parole inizia a fissare lo schermo di un grosso computer, mentre inizio a picchiettare il piede per terra per l'ansia, maledicendo mentalmente mio cognato per essersi allontanato da Miami proprio oggi.

Non mi sorprendere be sapere che nemmeno lui sapesse nulla della sua gravidanza.

«Questo piano, stanza 42, si affaccia sulla sala d'attesa infondo...»-inzia a spiegare, ma non la lascio nemmeno finire che mi avvio verso il grande spazio in fondo al corridoio, continuando a respirare in modo irregolare ad ogni singolo passo che faccio verso la stanza indicata dall'infermiera, corrugando la fronte quando vedo la porta chiusa e sento delle voci allarmante provenire da dentro.
Riconoscerei le urla di mia sorella a chilometri di distanza, ma appena faccio  per poggiare la mano tremante sul manico della porta, come se non fossi già in ritardo, alzo la testa di scatto nel sentire una voce più che familiare alle spalle:

«Channelle!»-spalanco gli occhi e raddrizzo la schiena quando il tono cupo di Bartol arriva dritto alle mie orecchie, costringendomi a girarmi lentamente nella sua direzione e dimenticarmi per un millesimo di secondo di mia sorella che sta partorendo.

Appena i miei occhi incrociano quelli del mio vecchio ex capo, le mani iniziano a sudare per l'ansia, portandomi a stringere di nuovo la borsa tra le dita, ma questa volta non per l'ansia...
La rabbia inizia a impossessarsi di me lentamente, mentre sposto gli occhi dalla sua figura a quella di sua moglie alle spalle, che si sforza a fare un sorriso.

Ma il sorriso le muore sulle labbra quando mantengo un'espressione neutrale, senza degnarli di nemmeno una parola e girando di nuovo i tacchi  per voltare le spalle a entrambi per farli capire che per me non sono altro che due sconosciuti e che non farò finta di nulla.

Come se Bartol e sua moglie non mi avessero letteralmente costretta a trasferirmi a New York per tenermi lontana da... lui.
Stringo i denti, chiedendomi quanto abbiano avuto in cambio per avermi cacciata dalla mia città.

Se prima pensavo che il bastardo fosse il mio ex, ora capisco che tutta la sua famiglia è fatta di stronzi che venderebbero pure sé stessi in cambio di soldi, come se non avessero già metà Florida nelle loro mani.

«Eccoti, non ti hanno fatta entrare?» - Mikael poggia una mano sulla mia spalla appena riprendo a fissare la porta bianca di fronte a me, saltando sul posto quando mia sorella riprende a urlare da dentro prima ancora che possa rispondere all'uomo al mio fianco:

«Cazzo.»-sento sussurrare alla mia amica appena affianca Mikael, nell'esatto momento in cui il mio amico fa un passo indietro per lo spavento.

Deglutisco rumorosamente, sentendo Mikael allontanarsi alle mie spalle, ma capisco il motivo solo quando lo sento riprendere a parlare con un tono sorpreso:

«Bartol, Meredith!»

Chiudo gli occhi per la frustrazione, non sapendo se essere più infuriata per la presenza dei due alle mie spalle o in ansia per Maddie, che sembra trovarsi in una stanza delle torture, ma alzo la testa di scatto quando una voce nuova arriva dritto alle mie orecchie.
La voce tenera e stanca di qualcuno che piange per la frustrazione, con così tanta tenerezza che la borsa cade dalle mie mani per terra, nell'esatto momento in cui le ante della porta vengono spalancate da un'infermiera, mentre il mio sguardo finisce su mia sorella, finalmente rilassata, con la fronte imperlata di sudore e la testa rivolta tra le sue braccia.

Il mio respiro si blocca e mi pietrifico sul posto quando la vedo stringere sul petto una  piccola creatura, così minuscola che l'unica cosa che riesco a vedere è il suo piedino che sfugge dalle braccia di mia sorella, mentre Mikael mi fa accorgere della sua presenza alle mie spalle quando inizia a sussurrare vicino al mio orecchio:

«Ti avevo detto che sarebbe stato difficile.»


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Ex 2 // In Love With My Ex (SECONDO LIBRO) //  Sequel Di 'Ex'- New Adult Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora