Quella sera non dormii, mi sentivo uno straccio, avevo paura. Quella paura che attanaglia il cuore, facendoti venire la tachicardia, quella che sottrae il respiro dai polmoni e che serra la gola, quella in cui non importa quali sono le circostanze, ma senti le gambe cedere sotto il tuo peso.
Mi rigiravo in continuazione tirando le coperte da una parte all'altra del corpo. Prima avevo caldo e il minuto dopo freddo. Ero inquieta.
Continuai così per un'ora buona finchè, all'una e ventisette non dovetti alzarmi dal letto per prendere un bicchiere di latte. Pensai che magari avrebbe conciliato il sonno.
In quel momento mi pentii di non aver mai filmato le lezioni della professoressa Bennet, forse avrebbero contribuito all'assopimento.
Mi strofinai gli occhi socchiudendo la porta della mia camera incamminandomi nel mio corto corridoio, superai il bagno, la camera di mia madre e arrivai in salotto, da uno spiraglio lasciato dalla tapparella appariva la luce fioca della luna.
Conoscendo bene la casa non feci per niente fatica a trovare la cucina ed accendere la pila appoggiata nella mensola sulla destra.
Presi un bicchiere riciclato da un barattolo di marmellata finito e versai dentro il contenuto del cartone di latte in frigorifero. Per quanto potesse sembrare infantile bere del latte prima di andare a letto, e ne ero pienamente consapevole, mi adattai all'idea che quella fosse l'unico tentativo possibile che avrebbe portato a dei risultati concreti.
L'altro sarebbe stato ingerire del sonnifero, ma con la poca luce non volevo rischiare di sbagliare: o bustina, oppure quantitativo.
Bevvi il liquido candido tutto d'un colpo, in fretta, e fui scossa da un attacco di tosse. Cercai di attutire il rumore poggiando i palmi sulla bocca, ma questo gesto non impedì di certo a mia madre di sentirmi e quindi di venire a passo lento, stranamente senza le sue ciabatte rosa confetto che le abbracciavano i piedi, in cucina.
"Catherine, come mai sveglia a quest'ora?" Domandò strofinandosi le occhiaie scure con le dita affusolate.
"Non riesco a dormire." Mormorai tossendo ancora.
"Sei tesa?" Domandò con voce fioca.
"No, ho paura." Ammisi scuotendo la testa. Lei si risistemò gli occhiali sul naso.
"Non devi- io non ne ho." Sorrise dolcemente appoggiando una mano al fianco.
"Dovresti-... dovrei averne." Sospirai forte.
"Perché mai? Catherine, hai quasi diciott'anni. Sei alla soglia della maturità. Tra poco potrai decidere tu con chi essere..." Parlò. " e poi, non credo tuo padre abbia margine di scelta." Scollò le spalle con fare tranquillo.
"Perchè?" Chiesi curiosa.
"Perchè non riuscirebbe a sopportarti neanche quattro mesi!" Ridacchiò leggermente mostrandomi gli occhi lucidi.
"Ti voglio bene." Mormorai buttandomi tra le sue braccia riempiendo i polmoni del suo economico profumo di fiori.
-
Il mattino dopo io e mia madre, di comune accordo, decidemmo di utilizzare il fantasmagorico giorno jolly. In sostanza il giorno jolly era dovuto ad un piccolo ed insignificante errore di qualche anno prima, quando avevo quindici anni.
Ci eravamo svegliate entrambe in ritardo e dato che nessuna delle due aveva voglia di mettere piede fuori casa avevamo oziato tutto il giorno spacciandoci per malate. La cosa più bella era la complicità che si creò tra noi durante la giornata only woman e fui parecchio eccitata all'idea di ripeterla.
Il programma si estendeva esattamente in quattro punti:
Il primo era senza dubbio dormire il più possibile, fino a mezzogiorno inoltrato se necessario.Il secondo era basato sul cibo, potevamo mangiare qualsiasi tipo di cibo ultracalorico in ogni luogo della casa, specialmente sul divano.
Il terzo era invece basato sull'abbigliamento, tanto per migliorare ulteriormente la giornata era stato abolito ogni tipo di completo elaborato da indossare, di conseguenza era consentito indossare come massimo una tuta o, per i più pigri, il pigiama.
Il quarto, tacito accordo, invece era basato sulle confidenze. E proprio per questo mi sarei dovuta aspettare delle domande da mia madre in proposito alla mia vita sentimentale.
"Quindi Caty..." Introdusse piano il discorso. "Ragazzi?" Mi correggo, arrivò subito al punto della questione.
"Bene... Cioè, al solito..." Cercai di rifilare a Theresa una risposta evasiva ma non abboccò così facilmente.
"Sono stata ragazza anche io, Cat, so benissimo che non è così. Sappi solo che non puoi mentire; almeno non con tua madre!" Sorrise intenerita alla mia reazione delusa. abbassai gli occhi passando un polpastrello sulle occhiaie violacee.
"Lo so, beh- in realtà no. Non vorrei-" mi interruppe usando la sua calda voce rassicurante.
"Non sei obbligata." Mi rassicurò con un occhiolino.
"Si, grazie..." Sorrisi sinceramente assottigliando gli occhi e portando le mani ad abbracciare un cuscino del divano.
"Sai..." Parlò Theresa. "Anche io da giovane ero come te, introversa e per certi versi anche timida, si..."
"Capita.." Gracchiai sorridendo.
Passò appena qualche minuto prima che entrambe potemmo udire il suono del campanello.
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Black sunglasses||5sos
FanfictionPrimo libro della serie. **** "Due appuntamenti, con due ragazzi diversi? Chi sei tu e cosa ne hai fatto della mia migliore amica?" Un urletto eccitato echeggiò nella mia piccola stanza. #cosa succede se Catherine Dixon, una particolare ragazza di o...