Chapter 5.

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Tormentavo una foglia di insalata con depositati sopra qualche frammento di tonno e mezza oliva.

Non avevo fame, e quell'insalata molliccia non mi aiutava per niente.

"Non giocare con il cibo!" Mi richiamò mia madre guardandomi cupa.

Alzai gli occhi al cielo."certo...certo..." Sussurrai.

"Evité..." *evita...* iniziò la frase che conclusi io.

"Di sprecare il cibo. Non cresce sui ramoscelli!" Annuii.

Presi a tastare, con la forchetta, ancora la foglia con disinteresse. Guardando la ciotola di plastica al disotto di essa color giallo acceso. Un pugno in un occhio!

Passai il dito sui contorni ruvidi della scodella e leccai seguitamente il dito unto d'olio.

"Ecco e magari evita di fare queste schifezze!" Si alterò.

"Senti... Io vado ok?! Mi é passata la fame." Portai di scatto la sedia indietro facendola strusciare contro il pavimento bianco.

"Catherine!" Mi richiamò con un accento stretto francese Theresa.

"Maman!" La fulminai con lo sguardo mentre mi girai per rintanarmi in camera mia.

"Mon dieau..." Sospirò. "Sei proprio una Dixon!" Conclusi la conversazione sbattendo la porta di camera mia in un tonfo.

Entrai nella mia camera lanciandomi sul letto e agguantando il mio attuale libro, ne iniziavo tanti contemporaneamente.

Cercai il segna libro violetto tra le pagine. Non c'era.

Com'era possibile!? Sarebbe stato sicuramente qui da qualche parte, non potevo perderlo era di mia nonna, l'unica cosa che mi lasciò come suo ricordo.

"Ma dove cazzo!?" Sbraitai ribaltando i cuscini in cerca del mio tesoro.

"MAMMA... DOV'É IL SEGNALIBRO VIOLETTO DI NONNA?" Domandai urlando.

"NON NE HO IDEA CATHERINE!!" Strillo in risposta.

Sbuffai spostando i fari foglietti sul pavimento.

"Dev'essere qui da qualche parte..." Lo cercai sotto il letto pure, ma sembrava essersi volatilizzato.

Ribaltai l'intera camera, ma dove fosse rimaneva un mistero.

"Andiamo... Vai ad aiutare in caffetteria al posto di cercare quello stupido segnalibro! Lo troverai domani... Per quanto sei disordinata sarà di sicuro sotto il tuo banco." Sbuffò. "Forza!" Mi incitò uscendo definitivamente dalla camera.

Mi alzai dal pavimento tirando un sospiro. Dovevo lavorare in quella stupida caffetteria per aiutare con l'affitto. Il lunedì e il venerdì, dalle 3 alle 7 di sera.

Indossai velocemente una maglietta nera e un paio di jeans e per ricoprire il tutto un maglione qualche taglia maggiore della mia color porpora.

Agguantai la borsa appoggiata sulla pila di libri all'angolo della stanza che usavo più che altro per coprire l'enorme chiazza di umidità lasciata dalle perdite del tetto.

Era una borsa semplice fatta di stoffa sfrangettata presa in qualche mercatino dell'usato.

Presi il cellulare. Ah, no. Non lo avevo!

Uscii dalla camera con una faccia da funerale, non prima di aver furtivamente nascosto un piccolo romanzo all'interno del doppiofondo della borsa color cuoio.

"Mamma io esco!"urlai. Infilai il giaccone e uscii di casa.

Mi avviai alle scale del condominio ammirando le dediche romantiche dei ragazzini sul corrimano verniciato di verde petrolio ma scheggiato più e più volte, guardai i chiodi sporgenti arrugginiti del battiscopa appoggiato verticalmente alla parete. Chi lo aveva conciato in quel modo!? Vandali!

Scesi finalmente l'ultima rampa di scale affrettando il passo.

Fuori non pioveva, stranamente, e il cielo non sembrava portare cattive notizie.

Avrebbe di sicuro retto fino alle sette!? Io speravo così, ma non sempre le cose vanno come previste. Soprattutto se stai parlando di Catherine André Dixon.

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