Chapter 9.

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Mi stiracchiai prepotentemente mostrando la mia fantastica dentatura al soffitto colmo di crepe solo per metà stuccate e lasciate così, al caso.

Assaporai il mio alito mattutino di topo morto mentre fissavo le chiazze di colore che rivestivano la mia camera, troppe per definirne il numero esatto.

Respirai profondamente annusando piano l'aria appoggiando la testa sulle mie mani intrecciate tra loro.

Guardai la sveglia.

Le 9.04.

9.04.

Mi alzai di botto dal letto caldo e accogliente per precipitarmi davanti all'armadio in legno chiaro mezzo scardinato.

Lo aprii facendo riecheggiare per il piccolo appartamento un forte cigolio. Frugai all'interno rimediando una maglietta bordeaux, regalo di natale di qualche anno prima, un paio di jeans grigi e un paio di fantasmini maionese a righe orizzontali nere.

Mi vestii saltellando fuori dalla stanza cercando di infilare la maglietta, troppo stretta per me.

Aprii la credenza e presi una fetta biscottata infilandomela in bocca intera. Successivamente aprii il barattolo di marmellata alle albicocche, quasi finita, e ne pescai dentro un po' con l'indice portandomelo alla bocca.

Lasciai la cucina un casino e corsi in entrata.

Mi pulii le mani nei jeans distrattamente caricando lo zaino su una spalla sola.

Infine agguantai una felpa verde scuro con il cappuccio e uscii.

Mentre stavo per chiudere la porta a chiave mi ricordai del cappotto, quindi rientrai e lo appoggiai al braccio mentre scendevo a rotta di collo le quattro rampe di scale.

"Merda.merda.merda.merda..." Ripetevo in continuazione.

Uscii dal portone che chiusi con un calcio, pioveva.

"Se non é una giornata sfigata questa..." Sospirai.

Iniziai a correre per il marciapiede con il fiatone mentre infilavo freneticamente il giaccone grigiastro.

Mi fermai al semaforo.

Passò una macchina che mi inzuppò totalmente. Scattato il verde attraversai e continuai a correre maledicendo in tutte le lingue che conoscevo quel stupido pick-up nero.

Che poi: 'Cosa ci faceva un pick-up in pieno centro a Londra?!' Pensai di sfuggita.

Arrivai davanti all'edificio scolastico e mi precipitai dentro correndo su per le scale, scivolando qualche volta sul pavimento lucido e pulito del corridoio.

Bussai finalmente alla porta della mia classe.

"Avanti..." Sentii in risposta.

Spalancai la porta sotto lo sguardo divertito dell'intera classe.

"Dixon, perché in ritardo?!" Domandò la professoressa guardandomi accigliata, persino lei disgustata dalla maglietta fin troppo corta che arrivava quasi a metà del mio busto smilzo e da quei orrendi jeans di non si sá chi, ma troppo grandi per essere miei.

La fissai con gli occhi socchiusi. Ci voleva anche la Wilkinson e le sue considerazioni brutalmente sarcastiche.

"Beh... Vai al tuo posto, sú!" Mi incoraggiò accompagnando il mio sguardo muovendo le mani nel mio posto in terza fila.

Ciabattai fino al mio banco lasciando impronte con le mie vecchie scarpe in tela di un colore inconfondibile di terra.

Il ragazzo nel banco alla mia sinistra rise portandosi una mano alla bocca, imitando praticamente tutta la classe.

Lo fulminai con lo sguardo intimandogli di stare zitto.

Soffoco una risata.

Mi sentii terribilmente in imbarazzo quando mi accorsi che i miei capelli gocciolavano.

"Fantastico..." Sussurrai strizzandone le estremità rossicce.

Odoravo di pioggia ed erba bagnata, il che mi fece desiderare di sparire dal globo terrestre.

"Dixon, hai la giustifica?" Pronunciò la professoressa.

Alzai un sopracciglio.

"Evidentemente no." Sospirò mentre la classe rideva nascondendosi dietro i libri aperti oppure chinandosi sullo zaino. "Sai che dovrei buttarti fuori dall'aula?!" Domandò.

Annuii.

"Bene allora già che ci sei fai un salto al bagno delle ragazze a darti una sistemata..." Consigliò riportando lo guardo al registro e annotando qualcosa.

Mi alzai e tutta la classe rise, gli occhi si stavano man mano inumidendo dall'umiliante commento.

Andai verso la porta aprendola e sbattendola alle mie spalle.

Camminai per qualche metro prima di accasciarmi con la schiena al muro e infilando la testa tra le ginocchia.

Le lacrime non scesero, fortunatamente, ma al posto di esse iniziò a crescermi qualcosa nel petto.

Lentamente in me si districava l'odio, L'umiliazione e il desiderio di vendetta.

Strinsi i pugni.

"Posso procurarti dei vestiti asciutti." Pronunciò una voce familiare.

Alzai la testa.

"Hood?!"

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