Capitolo 27

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Robert
Sembrò sorpreso. Mi guardò come se volesse chiedermi di più, ma non lo fece. Distolse lo sguardo, giocando col bracciale che portava al polso. Rispetto a quando eravamo nel suo bar, sembrava molto più rilassato, e anche se morivo dalla voglia di dirgli come mi sentivo davvero, pensai che sarebbe stato meglio non farlo, non ancora. Volevo parlare di più con lui, rendermi conto di cosa fosse cambiato davvero in noi e cosa no, sia come singoli individui che nel modo in cui ci comportavamo davanti all'altro. Fino a quel momento, c'era stato un mix di come eravamo stati in passato e di come eravamo ora. Alcune cose erano talmente identiche a quelle di allora da sconvolgermi, ma molte altre erano delle novità. Eppure eravamo ancora perfettamente compatibili, nonostante i momenti di imbarazzo, che non sembravano pesare tanto quanto avevo temuto.
-Tu e Jess venite qui spesso, quindi?- gli chiesi, per superare quel momento, quell'atmosfera, prima che diventasse pesante.
Smise di giocare con il bracciale.
-Sì. O almeno, lo facevamo.-
-Prima di Oscar?-
Accennò un sorriso, poi rise. Mi sentivo dannatamente fortunato, perchè si stava sciogliendo sempre di più.
-Impari in fretta.- disse poi, bevendo un sorso di coca-cola, ancora con un'espressione divertita sul viso.
Sorrisi.
-Deve piacerti molto, questo posto, se ci venivate così spesso.-
-Infatti. È uno dei miei preferiti.-
-Menomale che io l'abbia scelto, allora.-
-È stato un caso. Non darti tante arie.-
Sorrisi di nuovo, godendomi il suo sguardo di sfida, il suo sorrisetto ambiguo, difficile da interpretare. Sembrava contento, però.
-Siamo stati fortunati.- dissi, senza smettere di guardarlo.
Mi lasciai scrutare dal cielo nei suoi occhi, ci osservammo per un po'. Poi distolse lo sguardo, schioccando la lingua, sorridendo come se si fosse imbarazzato.
-Tornando a Jess...- dissi.
-Eh.-
-Per curiosità, i nomi dei bambini li hanno scelti per un motivo in particolare?-
La mia domanda sembrò sorprenderlo, ma lo diede a vedere per poco.
-Perchè me lo chiedi?- chiese, di nuovo con fare divertito.
-Sarà una cosa stupida, ma ho pensato a William Shakespeare e ad Oscar Wilde... Visto che siete migliori amici, ho pensato...- spiegai, lasciando la frase incompleta per paura di risultare troppo scemo.
Alzò lievemente entrambe le sopracciglia.
-Sono molto colpito.- disse con tono teatrale, come se mi stesse prendendo in giro.
-Vaffanculo.- dissi, mettendomi a ridere, distogliendo lo sguardo.
Rise, soddisfatto.
-Era giusta la tua ipotesi, comunque. Siamo diventati amici perchè abbiamo iniziato a parlare di libri, anche mentre lavoravamo. Shakespeare e Wilde sono due dei suoi scrittori preferiti, e visto che anche i nomi piacevano sia a lei che al compagno, hanno chiamato i figli come loro.- spiegò, alzando le spalle.
Mi passai distrattamente una mano sulla barba, osservandolo.
-Ed è un caso che siano anche due dei tuoi autori preferiti?-
Distolse lo sguardo, sorridendo.
-Ha fatto tutto Jess, io non c'entro nulla.-
-Mh... Però vai ancora pazzo per i libri, spero.-
-Pensi ci sia bisogno di chiedermi una cosa del genere?-
Fece finta di essersi offeso, e mi fece sorridere per l'ennesima volta.
-Tu, invece? Di solito che fai nel tempo libero?- mi chiese.
Scrollai le spalle.
-Niente di che... Guardo tanta televisione, passo del tempo con mio nipote, e magari anche col suo migliore amico. Da quando c'è, anche col suo ragazzo. Ascolto la musica... cose così.-
Evitai di parlargli dei ragazzi con cui passavo il venerdì o il sabato sera, quando capitava, ma solo perchè non mi sembrava il momento, e non ero sicuro che gli interessasse. Volevo essere onesto, comunque, quindi più tardi glielo avrei detto, forse.
-E poi... A volte mi capita di andare in palestra, però non lo sa nessuno...- ammisi, evitando il suo sguardo.
-Perchè non lo dici a nessuno? Ti è sempre piaciuto fare attività fisica.-
-Non lo so, è che... Mi sento più vecchio di quanto sia in realtà, quindi ammettere che mi piace andare in palestra mi farebbe sentire un po' patetico. Come se volessi vantarmi, o non volessi ammettere che ho quarant'anni.-
-Ah, ho capito qual è il problema, allora.-
Aspettai che continuasse, guardandolo, ma non lo fece.
-Pensi di dirlo anche a me o era tanto per dire qualcosa?-
Sembrò divertito.
-Non ero sicuro ti interessasse. È solo il mio parere.-
-Appunto. Sono curioso.-
Distolse lo sguardo. Si fece più serio.
-L'invidia degli altri ti ha sempre fatto sentire in colpa, come se fossi troppo pieno di te, ma non era così. Essere sicuri di sè è la cosa più bella del mondo. E poi non dovresti sentirti in imbarazzo solo perchè ti piace prenderti cura di te stesso e muoverti ti fa stare bene.- spiegò, alzando le spalle, guardando il tavolo. Per qualche motivo sentivo il battito cardiaco rimbombarmi nel petto, come se avesse detto qualcosa di importante. In un certo senso, l'aveva fatto, e lo sapeva. Per quello evitava di guardarmi.
-Oggettivamente hai ragione...-
Deglutì, poi si schiarì la voce.
-Quello, più una crisi di mezza età precoce, ed ecco che ti vengono i complessi.- aggiunse poi, alzando la testa, assumendo un'espressione sarcastica, più rilassata.
Accennai un sorrisetto, poi risi.
-Hai ragione di nuovo, credo. Comunque a te l'ho detto, che vado in palestra. È un inizio, no?-
Capì subito cosa intendevo dire davvero, e mi resi conto che pensava di aver frainteso.
-Sei l'unico a cui l'ho detto.- dissi allora, per fargli capire che aveva colto il giusto significato delle mie parole. "Sei ancora speciale per me", ecco cosa gli stavo dicendo, in realtà.
L'espressione divertita dei suoi occhi diventò sorpresa, poi felice, poi seria, quasi infastidita, tutto nel giro di un secondo. Distolse lo sguardo.
Qualunque cosa stesse pensando, non era ancora pronto a sentirmi parlare dei miei sentimenti, di questo ero certo. Se anche solo accennare a quello che lui significava ancora per me lo metteva tanto a disagio, non ne avrei parlato più, neanche per similitudini o metafore.
Lizzy, la cameriera, arrivò coi nostri piatti, dicendoci "buon appetito" con un sorriso gentile sul viso.
Pensai a qualcosa da dire per fare in modo che l'atmosfera tornasse quella di prima, ma non riuscii a trovare nulla, perchè ero di nuovo troppo nervoso, avevo troppa paura di peggiorare la situazione, così cominciammo a mangiare. Dopo qualche secondo mi chiese se il panino mi piaceva, e gli risposi di sì. Prima che me ne rendessi conto cominciammo a parlare di cibo, dei ristoranti che ci erano piaciuti, della prima volta che avevamo assaggiato il sushi, lui con Jess e io con Cameron. Poi di alcune delle nostre prime volte da adulti, visto che ci eravamo lasciati a vent'anni: della prima volta che eravamo andati da soli dal dottore, le prime volte al lavoro, le strane visite che avevamo fatto in ospedale, nel corso degli anni, lui per colpa dei problemi alla cervicale e alla schiena, e io per colpa delle mie allergie e dei miei problemi di stomaco, ridendo sia di noi stessi che dell'altro per quanto eravamo malaticci nonostante fossimo ancora abbastanza giovani. Io gli parlai di com'era Cameron quando era piccolo, di come avevo visto crescere lui e Dominic, e lui mi raccontò dei figli di Jess.
Lizzy ci portò le nostre crepes e i nostri frappè, sgridando scherzosamente Eric per aver lasciato metà delle patatine fritte, poi si allontanò di nuovo.
-Come stavo dicendo, sono entrambi adorabili, ma solo perchè lei è una madre fantastica, e anche il compagno è veramente bravo con i figli.- mi disse, riprendendo il discorso, prima di bere un po' di frappè alla fragola dalla sua cannuccia verde.
-Nel senso che i bambini degli altri sono insopportabili?- chiesi, divertito. Non gli piacevano i bambini, all'epoca, ma forse neanche adesso.
Fece finta di pensarci su, scrollando le spalle, mentre prendeva una crepes con le mani cercando di non sporcarsi. Poi scosse la testa con forza, come se avesse ceduto a qualche pensiero sbagliato, con espressione stremamente seria.
-No, cazzo, siamo sinceri. Li detesto.-
Il modo in cui lo disse mi fece scoppiare a ridere, ma dato che stavo dando un morso alla crepes, emisi un suono strano e l'aria che mi uscì dal naso fece volare via tutto lo zucchero a velo che c'era nel mio piatto, facendolo finire sul tavolo con una scia di fumo. Lasciò andare la crepes con una mano, coprendosi la faccia e voltandosi verso il muro. Mi resi conto che gli tremavano le spalle ed ogni tanto emetteva dei singiozzi strani, come se si stesse trattenendo dal ridere, così continuai a farlo anch'io, coprendomi la bocca, senza riuscire a smettere di guardarlo. Incrociò il mio sguardo solo per un secondo, poi indicò la mia maglietta cercando di dire qualcosa, scoppiando a ridere di nuovo. Abbassai lo sguardo, rendendomi conto che lo zucchero a velo era finito anche lì.
-E che cazzo.- borbottai, allargando le braccia.
Lasciò andare la crepes sul piatto, coprendosi con tutte e due le mani, voltandosi di nuovo verso il muro. Lo guardai, senza riuscire a smettere di sorridere, perchè era bellissimo, perchè stava ridendo a causa mia.
Smise dopo un po', asciugandosi le lacrime mentre tentava di non sporcarsi di nutella. Prese un sorso di frappè, scuotendo la testa con fare divertito, come se stesse ripensando a tutta la scena.
-Scusa.- disse poi, accennando una risatina.
Prese un bel respiro.
-Oddio, sono morto.- insistette, ancora sorridente, alzando lo sguardo su di me. La sua espressione cambiò, come se solo in quel momento si fosse reso conto che lo stavo osservando. Mi sembrò di non avere più aria nei polmoni quando pensai di aver già visto quell'espressione, ancora prima che ci mettessimo insieme. Anzi, il giorno stesso. Eravamo seduti in biblioteca, gli avevo fatto qualche complimento, come ogni volta che lo vedevo, un po' perchè mi piaceva stuzzicarlo e un po' perchè volevo che capisse che non mi ero avvicinato a lui solo perchè volevo essergli amico. Mi aveva detto di smetterla, alzando un po' la voce, come se si fosse improvvisamente arrabbiato. Gli avevo chiesto perchè, e lui mi aveva guardato esattamente nel modo in cui mi stava guardando ora. "Perchè mi piaci, mi piaci nel modo in cui dovrebbe piacermi una ragazza, e più insisti più mi fai sperare in qualcosa che non c'è", mi aveva detto, con quell'espressione ferita, quasi disperata, come a chiedermi di fermarmi immediatamente, prima che i sentimenti per me diventassero troppo intensi. Gli avevo preso la mano, stringendola, l'avevo osservato per un secondo, per essere sicuro che avesse detto la verità, poi l'avevo portato in una sezione della biblioteca in cui non andava mai nessuno, e in un momento di follia l'avevo premuto contro il muro, prendendogli il viso con le mani, baciandolo per la prima volta. Era la prima per entrambi, perciò era stato un bacio piuttosto dolce e gentile. Ricordavo ancora il calore che avevo sentito sul viso quando mi aveva attirato a sè, l'eccitazione e la voglia di andare avanti quando avevo messo la gamba in mezzo alle sue, in realtà neanche di proposito. Aveva lo stesso sguardo disperato che aveva allora, e non capivo perchè. "Non darmi false speranze", mi dicevano i suoi occhi. Come se non avesse mai smesso di amarmi.

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