Capitolo 21

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Liam
Era sabato sera, mia madre era da poco uscita dal bagno e mi aveva raggiunto in cucina. Prese posto davanti ai fornelli, al posto mio, mentre io iniziai ad apparecchiare. Aveva passato una lunga giornata di lavoro, si era fatta una doccia e ora aveva fame. Dopo averci riflettuto su per giorni e giorni, avevo deciso di chiederle quale fosse la vera storia sulla mia nascita, di parlare veramente di mio padre, chiunque fosse, e di farlo in un momento in cui fosse stata troppo stanca per arrabbiarsi o prenderla male, ma anche in cui fosse abbastanza lucida da prendermi sul serio e rispondermi con sincerità. Sicuramente avrebbe trovato il mio improvviso interesse decisamente strano, e inaspettato. Avevo anche deciso di dirle la verità, nel caso in cui mi avesse chiesto il perchè di quelle domande.
Appena ci sedemmo a tavola per cenare e il pensiero di aprire bocca e iniziare a parlarle mi sfiorò la mente, sentii il cuore rimbombarmi nel petto, così decisi di rimandare alla fine della cena. Quando ci alzammo per sparecchiare mi resi conto che l'agitazione non sarebbe passata, e che era inutile fare finta di volerne parlare con leggerezza. Presi un bel respiro, mordendomi una guancia con forza, pensando poi, chissà perchè, a Cam. Anche se fu solo per un momento, pensare a lui mi rese stranamente più lucido, facendomi riprendere un po' il controllo su me stesso.
-Ma', possiamo parlare un attimo?- le dissi di punto in bianco, dopo essermi seduto di nuovo, senza neanche prepararmi troppo.
-Sì, certo.-
Solo quando si voltò e vide l'espressione seria che avevo capì che sarebbe stata una discussione importante. Lasciò i piatti nel lavandino, si sciaquò le mani e poi se le asciugò, sedendosi di fronte a me. Aveva cercato di apparire il più naturale possibile, ma mi ero reso conto che aveva fatto tutto più velocemente che poteva.
-È successo qualcosa di grave?- mi chiese, scrutandomi il volto.
Non le avevo mai chiesto di parlare in quel modo, era normale che avesse pensato subito in negativo.
-No, in realtà no. Non è una cosa recente, anzi. Vorrei sapere qualcosa su mio padre, se ti va di dirmelo.-
L'ultima frase l'avevo aggiunta solo per non sembrare troppo rigido. Ignorai il battito assordante del mio cuore.
La sua espressione diventò indecifrabile, e per un attimo mi sembrò che si fosse bloccata.
-Davvero?- chiese, quasi confusa.
Annuii.
Posò entrambe le braccia sul tavolo, tenendosi le mani, guardando distrattamente la tovaglia.
-Posso... posso sapere perchè proprio adesso?- chiese tornando a guardarmi.
Scrollai le spalle, distogliendo lo sguardo.
-Ormai ho vent'anni, e... e da quando io e Cam ci siamo lasciati ho iniziato a pensare di più a me, così mi sono reso conto che questa è una cosa importante, anche se l'ho sempre ignorata.- tentai di spiegarle, il più onestamente possibile.
Aveva aggrottato le sopracciglia. La osservai per un po', aspettando che dicesse qualcosa. Sbattè le palpebre come se se ne fosse accorta in ritardo.
-No, è che... Non ne abbiamo mai parlato, e tu non hai mai chiesto nulla, quindi... non credevo fosse così importante, tutto qui.-
Non capii se era irritata o solo tremendamente sorpresa.
-Non ho mai chiesto niente perchè credevo non volessi parlare di lui, visto quello che provi ancora.- risposi, incrociando le braccia al petto.
Aggrottò di nuovo le sopracciglia.
-In che senso?-
Sbattei le palpebre, confuso, sentendomi improvvisamente agitato.
-Aspetta un attimo. Non... non sei ancora... sì, insomma, non provi ancora qualcosa per lui?-
Assunse un'espressione confusa, poi divertita.
-È una battuta?- disse, quasi sorridendo.
Poi il sorriso svanì quando capì che ero serio, e che mi era appena crollata la terra sotto ai piedi. L'unica cosa che credevo di sapere era una bugia, quindi. Iniziavamo bene.
Distolse lo sguardo, sospirando.
-Perchè pensavi una cosa del genere?- mi chiese poi.
Alzai un sopracciglio, aprendo la bocca ma senza trovare subito le parole giuste.
-Hai sempre evitato l'argomento, non hai più avuto una storia seria, sei fissata coi film d'amore... e poi i nonni lo dicevano spesso, quando ero piccolo.-
All'inizio sembrava sul punto di fermarmi e dirmi che erano tutte cretinate, ma appena nominai i suoi genitori la sua espressione cambiò, di nuovo, irrigidendosi.
Si passò una mano sul viso, poi sospirò, guardando un punto indistinto sul pavimento.
-Non sono sicura che ti faccia bene sapere tutto. Non ne vedo l'utilità, sono sincera.-
-Lo voglio sapere lo stesso. Dimmi tutto e basta.-
Il mio tono sicuro la spiazzò per un attimo. Il fatto che insistesse per non parlarmene mi rendeva solo più curioso e agitato, poi.
-Avevamo entrambi diciotto anni quando sono rimasta incinta. Non stavamo insieme e non eravamo nemmeno innamorati. Eravamo solo due amici che ogni tanto finivano per passare la notte insieme. Tu a diciotto anni eri già sveglio e maturo, ma io a diciotto anni ero una ragazzina convinta di avere il mondo in mano.-
Distolse lo sguardo, deglutendo.
-Quando ho scoperto di essere incinta non l'ho presa bene all'inizio, lo ammetto, e neanche lui. Eravamo solo due idioti che si divertivano senza neanche preoccuparsi di usare i contraccettivi giusti, e...-
Deglutì di nuovo, stringendosi le mani con fare nervoso, anche se non capivo cosa la stesse agitando.
-Il mio primo pensiero è stato abortire, però lui diceva che non se la sentiva di farmi fare una cosa del genere, che si sarebbe sentito in colpa. Così ho iniziato a pensare al mio futuro, a come sarebbero cambiate le cose se fossi diventata madre, alla carriera e al lavoro dei miei sogni, alla gioventù che se ne sarebbe andata subito. Solo che... non so come spiegarlo, ma ad un tratto ho inizato ad immaginarmi con un bambino in braccio, a come mi sarebbe piaciuto chiamare quel bambino, a quel... quel corpicino che poi sarebbe cresciuto insieme a me, che mi avrebbe cambiato la vita per sempre, e mi sono resa conto che non volevo perderti, ma che ti desideravo nonostante tutto.-
Lo disse con un sorriso dolce sulle labbra, e fui costretto a distogliere lo sguardo dal suo viso, perchè mi stava già venendo da piangere, nonostante non mi stesse guardando. Strinsi i denti, ingoiando quel magone.
-Ne parlai con lui, e all'inizio ne sembrò contento. Avevamo paura che i nostri genitori non ci avrebbero permesso di tenerti, specialmente perchè avrebbero dovuto mantenerti loro in pratica, finchè non avessimo iniziato a lavorare, così entrambi inventammo di essere fidanzati e talmente innamorati da volerti. I nonni sono rimasti sconvolti, ma quando ho detto loro che ero innamorata persa di lui ti hanno accettato subito e mi hanno permesso e aiutato a continuare la gravidanza. In quei nove mesi è stato tutto perfetto. Sì, insomma, a parte gli insulti e le occhiatacce a scuola.- disse ridendo. Mi chiesi come facesse a ridere con tanta sincerità su una cosa così grave.
-Non ti hanno fatta pentire della scelta che avevi fatto?-
Le parole erano uscite dalla mia bocca senza che io me ne accorgessi, e mi maledii all'istante, spaventato dalla risposta.
Accennò un sorriso.
-No, sapere che eri sempre con me mi rendeva troppo felice per preoccuparmi degli altri.-
Sentii letteralmente il cuore riscaldarsi.
-E poi che è successo?- chiesi, deglutendo.
Alzò gli occhi su di me solo per un secondo.
Iniziò a scuotere la testa, come se stesse pensando a qualcosa che non approvava.
Sospirò.
-Quando sei nato, lui ha cambiato idea. Non so perchè, forse si è reso davvero conto che avrebbe dovuto fare il padre solo dopo averti visto nascere. È sparito per un paio di mesi, poi è venuto a casa mia. Mi ha detto che non era in grado di fare il padre e che non aveva neanche il coraggio di provarci, e che ogni mese mi avrebbe mandato dei soldi per te. Ero talmente incazzata che ho accettato senza neanche insistere. Gli ho detto che comunque mi sarei presa io cura di te e che saresti cresciuto con me anche se lui non ti avesse rifiutato.-
Si bloccò, come se avesse detto qualcosa di troppo, poi si strofinò il viso con una mano.
-Era per questo che non volevo parlarne...-
-Cosa hai detto ai nonni?- chiesi allora, intenzionato a conoscere tutta la storia per filo e per segno.
-Che ci eravamo lasciati e che avevo deciso di crescerti da sola. Per anni e anni sono stati convinti che io fossi ancora innamorata di lui e che gli impedissi di vederti perchè volevo fargli del male. Non credevo che te ne avessero parlato... non avrebbero dovuto farlo, comunque. Forse speravano che tornassimo insieme. In fondo, hanno sempre creduto che la mancanza di un padre ti avrebbe fatto soffrire, ma io non ho dato loro ascolto... Non so se ho fatto bene.-
Non dissi nulla, perchè non sapevo cosa dirle. Erano troppe informazioni, non avevo idea di cosa stessi provando in quel momento.
-Perchè non hai detto loro la verità?- chiesi dopo qualche secondo di silenzio, però.
Accennò un sorriso triste.
-Te l'ho detto che a diciotto anni ero una ragazzina, e anche piuttosto stupida. Per loro ero ancora una bambina, pura e diversa dalle altre, ma in realtà non avevo niente di puro da un pezzo, e il fatto che volessi diventare un medico o un'infermiera non mi rendeva migliore delle altre ragazze della mia età. Volevo che continuassero a vedermi in quel modo, perciò non ho detto loro che non eri nato da un sentimemto puro e nobile ma da una notte di divertimento priva di significato. Ho detto loro la verità solo quando si sono ammalati.- disse scrollando le spalle.
-E come hanno reagito?-
Alzò la testa, guardandomi.
-Hanno detto che ormai non importava più, che ero diventata una donna e una mamma, che li avevo resi nonni e che erano comunque fieri, sia di me che di te.-
Sorrisi istintivamente.
Ci fu di nuovo silenzio per un po'.
-Ce l'hai con me adesso?- disse ad un tratto, spiazzandomi.
Alzai la testa, ricambiando il suo sguardo timoroso.
-Che?- chiesi con le sopracciglia aggrottate.
-No, è che...-
Scosse la testa, agitando la mano come a dirmi di lasciar perdere.
-Niente, meglio così. Forse avrei dovuto dirti queste cose qualche anno fa.- aggiunse poi, come se si fosse tolta un peso dal petto e ora fosse sollevata.
Mancava solo una cosa, però, e anche piuttosto importante.
-Lui... ti manda ancora dei soldi per me?-
La sua espressione si rabbuiò di nuovo, poi annuì.
Aspettai, sperando mi dicesse almeno il suo nome senza bisogno che lo chiedessi io, ma rimase in silenzio.
-Posso sapere come si chiama?-
Alzò leggermente un sopracciglio, poi posò il mento sulle mani, come se stesse riflettendo.
-Perchè vuoi saperlo?-
Assunsi di nuovo un'espressione confusa.
-Te l'ho detto prima.-
-Capisco che tu volessi sapere cosa fosse successo prima che nascessi e che fine avesse fatto, ma non capisco a cosa ti serva sapere il suo nome, adesso. Che ci devi fare?-
Capivo che era arrabbiata, e potevo dedurne il perchè, ma non ero sicuro di poterlo capire fino in fondo.
-Non lo so, sono solo curioso.-
-Lo vuoi incontrare?- insistette con tono duro.
In realtà non lo sapevo neanche io, non ancora, ma il fatto che mi stesse quasi impedendo anche solo di prendere la cosa in considerazione mi irritò un po'.
-Non lo so, in realtà. Perchè non vuoi dirmi chi è?-
Scrollò le spalle, alzandosi e prendendo il telefono.
-Non è che non te lo voglia dire. È che non ne capisco il bisogno, tutto qui.-
-Ma non è che ne abbia bisogno, ho detto solo che sono curioso.-
Guardò il telefono per un po', facendoci qualcosa, poi lo posò sul tavolo.
-Nome, numero di telefono, indirizzo, ecco. Ti ho mandato tutto. Adesso cosa farai, vuoi incontrarlo?-
Era strano vederla così irritata, al punto da ripetere la stessa cosa due volte nel giro di pochi secondi. Non ero abituato a vederla perdere il controllo di sè. Era il tipo di persona che rimaneva lucida anche durante i litigi, ma ora sembrava troppo nervosa per fare un discorso sensato.
-Ti ho detto che non lo voglio incontrare, vorrei solo vedere se esiste!- sbottai, gesticolando.
-Sì, sì, esiste. Fa l'avvocato adesso, e i soldi non gli mancano. Ha una famiglia: una moglie e due figli. Non mi ha mai chiesto di vederti, neanche in foto, e ha sempre sostenuto che i soldi siano il suo unico modo per non sentirsi in colpa verso di te. Ah, e che se dovesse succederci qualcosa di brutto allora possiamo disturbarlo.-
Mi disse tutto guardandomi dritto negli occhi, ancora irritata, come se stesse elencando i motivi per cui non avrei dovuto cercarlo. Ero confuso. Credevo alle sue parole, ma non capivo perchè mi stesse dicendo quelle cose in modo così diretto, senza preoccuparsi minimamemte di come mi avrebbero fatto sentire. Mio padre mi aveva ignorato sin dal giorno in cui ero nato, non mi aveva mai voluto bene e non mi aveva mai voluto in generale, ma solo perchè non lo conoscevo non significava che avere quella conferma non mi ferisse.
-Mi spieghi perchè me lo devi dire così?- chiesi, sinceramente offeso da quel modo di fare.
-Così almeno sai chi è davvero quest'uomo che non ha mai fatto niente per te.- disse alzandosi, pronta per andarsene in camera da letto.
-Non sarò stata una madre perfetta, ma non capisco che bisogno c'è di cercare lui, adesso.- aggiunse poi, prima di uscire dalla cucina.
Sentii la porta della sua camera chiudersi. O meglio, l'aveva proprio sbattuta come se fosse incazzata da morire.
Rimasi fermo per qualche secondo. Da solo, seduto in cucina con le braccia conserte, il volume della televisione in sottofondo, mentre cercavo di assimilare tutto quello che mi aveva appena raccontato mia madre, e mentre le prime domande iniziavano a farsi strada nella mia testa. Spensi la televisione, poi andai in camera mia, per riflettere.

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