Capitolo 7

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Cameron
Ci eravamo sentiti praticamente ogni giorno, da quando era venuto a casa mia. Spesso mi aveva scritto lui per primo, lasciandomi stupito ed estremamente contento, non solo per il fatto in sè, ma perchè ciò significava che stava facendo uno sforzo per me, per farmi capire che anche lui ci teneva alla nostra conoscenza, a vederci e a passare del tempo insieme. Non era un tipo socievole o amichevole, nè affetuoso, odiava parlare troppo di sè e detestava i social e chi li usava troppo, specialmente per postare degli stupidi selfie o delle storie per far sapere al mondo i fatti propri. Detestava tante cose, a dire il vero, e una grande parte del genere umano, e in moltissime cose concordavo con lui. Proprio per quello, ogni volta che lo vedevo sorridere, che mi parlava di qualunque cosa, che mi chiedeva come stavo, che lo facevo ridere, che mi prendeva in giro, mi sentivo felice il doppio. Lui dava peso a quelle cose, non lasciava entrare chiunque nella sua vita e, anche se eravamo solo amici, almeno per il momento, mi sentivo molto fortunato.
Non vedevo l'ora di vedere casa sua e di conoscere Miao.

Liam
Dopo essere uscito con Samuel e Caleb, e dopo aver accettato il fatto che fossi geloso sul serio di Jacob, mi resi conto che Cameron mi piaceva molto più di quanto avessi detto, ai miei amici e a me stesso. Avevo cercato su internet per essere sicuro, visto che mi vergognavo troppo per chiederlo agli altri, ma avevo tutti i sintomi di una cotta o di un'infatuazione. Pensavo a lui in continuazione e mi veniva da sorridere quando lo facevo, mi batteva il cuore all'impazzata e sentivo le farfalle nello stomaco quando si avvicinava o mi diceva qualcosa di carino, a volte mi distraevo quando eravamo insieme perchè rimanevo imbambolato a fissarlo. Ero cotto, e anche parecchio. Da una parte quei nuovi sentimenti mi rendevano felice e sollevato, perchè la prima persona per la quale provavo qualcosa era un ragazzo stupendo, e poi perchè ciò voleva dire che non ero completamente uno stronzo nè un pezzo di ghiaccio incapace di provare sentimenti. Iniziavo a sentirmi meno sbagliato, e ne ero grato. Dall'altra parte, però, quello strano cambiamento nel mio modo di trascorrere le giornate, il fatto che il mio umore e i miei pensieri fossero condizionati da qualcun altro, senza neanche farlo apposta, mi spaventava un po', e a volte mi faceva sentire debole. Nonostante ciò, la voglia e la curiosità di andare oltre, di conoscere ancora di più Cam e quei sentimenti ancora così estranei, era forte abbastanza da farmi dimenticare il timore che avevo.

Il sabato arrivò più velocemente del previsto. In quei giorni mi era balenata più volte in testa l'idea di chiedere a Cam di vederci di più, magari durante la settimana, ma non glielo avevo ancora detto per paura che rifiutasse senza pensarci, a causa del lavoro, o che accettasse solo per non offendermi. Desideravo passarci ancora più tempo insieme, anche se non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma non sapevo ancora se chiederglielo o lasciar stare.
Controllai un'ultima volta che la casa fosse in ordine, poi diedi da mangiare a Miao e accesi la televisione nel salone, anche se poi la ignorai perchè, per distrarmi e smettere di guardare che ora fosse, mi misi a fare un gioco sul telefono. Dopo qualche minuto cambiai canale, mettendo quello di una stazione radio per ascoltare un po' di musica, controllando per l'ennesima volta l'orario. Erano le sette. Mancava ancora mezz'ora all'arrivo di Cameron.
Chiamai mia madre, che stranamente rispose, per sentire se fosse tutto okay. Una sua collega stava andando in maternità, perciò avevano organizzato una piccola festa a casa sua dopo il lavoro. Mi disse che si stavano divertendo e che sarebbe sicuramente tornata a casa dopo mezzanotte. Mi venne da ridere, pensando che i ruoli madre e figlio sembravano essere stati scambiati.
Suonarono al citofono proprio quando chiusi la chiamata con mia madre. Mi voltai di scatto verso la porta, sbloccando poi il telefono di nuovo. Erano le sette e cinque. Mi alzai, avvicinandomi alla finestra e scostando la tenda per vedere meglio. Quella massa di capelli ricci era inconfondibile, nonostante portasse il cappuccio a causa della pioggia. Sorrisi, mordendomi poi l'interno del labbro per cercare di smettere, mentre aprivo il cancelletto.
Misi una mano sulla maniglia della porta, poi mi voltai a guardare Miao, sdraiato sul divano con gli occhi chiusi.
-Almeno uno di noi è tranquillo.- mormorai ridendo, per poi aprire la porta.
-Hey!- esclamò appena mi vide, smettendo di strusciare le suole delle scarpe sul tappeto per asciugarle.
Le gocce di pioggia che gli scendevano dai capelli, il sorriso luminoso, le solite fossette, gli occhi blu. Era proprio bello.
-Ciao.- dissi guardandolo, accennando un sorriso.
Rimanemmo così per un secondo, poi sbattei le palpebre.
-Vieni, entra.- dissi spostandomi.
-Grazie.-
Si tolse il cappuccio, poi controllò che le sue scarpe non stessero lasciando impronte bagnate, osservando il pavimento.
Presi la busta della spesa che teneva in una mano, sbirciando al suo interno.
-Preso tutto?- chiesi andando verso la cucina.
-Penso di sì.- rispose seguendomi.
Poggiai la busta sul tavolo, poi gli feci segno di darmi il giacchetto.
-Quelle sono per te, se ti vuoi togliere le scarpe.- dissi indicandogli un paio di ciabatte che avevo sistemato apposta vicino all'appendiabiti.
Quando mi voltai di nuovo verso di lui si stava togliendo le scarpe senza slacciarle, eppure stava guardando me.
-Che c'è?- chiesi divertito dalla sua espressione.
Scrollò le spalle.
-Sei molto gentile.- disse però poi, senza smettere di sorridere.
Alzai le spalle anch'io, incrociando le braccia al petto.
-Se lo dici tu.-
La mia risposta sembrò divertirlo.
Aspettai che si fosse infilato le ciabatte, poi tornai in cucina, mentre lui mi seguiva.
-Comunque non ci siamo salutati.- disse posando le mani sul tavolo, mentre svuotavo la busta della spesa.
-Come no?- chiesi aggrottando le sopracciglia.
Prima che me ne rendessi conto avevo le sue labbra sulla guancia. Stavolta le aveva premute per un secondo in più. Notai il suo sorrisetto soddisfatto e gli occhi che brillavano solo quando allontanò il viso dal mio.
-Quindi hai deciso che questo è il nostro saluto?- chiesi senza riuscire a non sorridere.
-Non ti piace?-
Alzai un sopracciglio.
-Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. Non te l'hanno insegnato?- dissi cominciando a mettere la panna al salmone, la salsa rosa e la coca-cola in frigo.
-E a te non hanno insegnato a ricambiare il saluto?-
Sorrisi mordendomi la guancia, ma solo perchè gli stavo dando le spalle e non poteva vedermi.
Mi voltai con un sopracciglio alzato.
-Sei peggio di un bambino viziato.-
Rispose con un altro sorriso. Accennai una risata, scuotendo la testa, per poi avvicinarmi e baciarlo sulla guancia, come voleva. Mi imbarazzava ancora farlo, ma iniziavo ad abituarmi. Mi voltai appena staccai le labbra dalla sua pelle, finendo di sistemare le cose in frigo. Lo chiusi, mi girai di nuovo e incrociai le braccia al petto, poggiandomi contro il piano della cucina. Si era seduto sul tavolo, dondolava le gambe.
-Come stai?- chiesi osservandolo.
Guardò per terra, il suo sorriso si allargò.
-Ma che hai da sorridere tanto stasera?!- esclamai fingendomi irritato.
-Lo sai che ogni volta che ci vediamo, una delle prime cose che ci diciamo è "come stai"?- rispose alzando la testa.
Rimasi spiazzato per un istante.
-Certo che lo so. Ci ho fatto caso, mica sono stupido.- risposi poi distogliendo lo sguardo.
-E sorridi per quello?- chiesi poi, incapace però di guardarlo negli occhi.
Rimase in silenzio per un po', così pensai che non volesse rispondermi.
-Sono contento di vederti.- mormorò ad un tratto.
Alzai un po' la testa. Anche lui stava guardando per terra. Sembrava imbarazzato. Era carino con quell'espressione insicura.
-Per questo sei arrivato mezz'ora prima del previsto?- chiesi osservando la sua reazione.
Sorrise, poi scrollò le spalle. Mi morsi la guancia.
-Hai fatto bene. A venire prima, dico.-
Smise di dondolare le gambe, poi alzò la testa, incrociando il mio sguardo.
Mi persi per qualche secondo nell'azzurro così scuro e intenso dei suoi occhi, incastrato tra quelle ciglia folte, senza riuscire a guardare altrove. Chissà a che pensava quando mi osservava in quel modo, quando ricambiava il mio sguardo.

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