27° Capitolo

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Ma certo.
Non c'era una soluzione migliore di quella se voleva liberarsi di sua madre una volta per tutte.
Se non ricordava male il nonno materno amministrava più della metà delle entrate finanziarie dell'azienda di famiglia, almeno il 70%.
Beatrice sapeva che tutto quello che la madre architettava aveva sempre uno scopo ben preciso che andava in ogni caso ad aumentare il proprio guadagno, lei stessa era parte di quel disegno. Il suo obbiettivo era quello di legarsi con famiglie ancor più prestigiose per riuscire così ad avere un ruolo in campi lavorativi lontani dai suoi soliti affari, e Beatrice calzava a pennello come anello di congiunzione.
Sapeva che non era contraria alla sua relazione con la professoressa perché omofoba, no, ma perché ossessionata da una triste e famelica brama di escalation sociale.
In tutta questa storia, il nonno, che aveva ancora potere decisionale sulle sorti dell'azienda familiare Montechi, aveva dunque anche potere su di lei, e non solo come genitore, bensì anche come capo assoluto.
E ciliegina sulla torta Beatrice era la favorita fra lei, sua sorella maggiore, sua madre e suo padre per diventare la presidente, sempre secondo il parere del nonno.

"Hai la stoffa!" diceva spesso "Ragioni come me!".

Oh nonno.
Le mancava.
Per ricongiungersi a lui doveva soltanto trovare il modo di riuscire a contattarlo senza avere numero o email.
Il suo telefono era morto quando lei era ancora ricoverata in ospedale e così non era più riuscita a mettersi in contatto con le sue amiche, Francesca e beh, il nonno chiaramente.
Doveva riuscire a farsi aiutare da qualcuno in quel carcere senza sbarre,
ma chi?
Chi?
"CHI, DANNAZIONE???!!!"  
Si dimenava sul letto cercando di sgualcirlo il più possibile per dispetto a tutte quelle inservienti di pezza comandate a bacchetta da sua madre e che il giorno dopo avrebbero trovato un disastro.

Un disastro.
Sì, la sua vita era un disastro.

Girò la testa in direzione della fotografia.

Strinse i denti.
"Posso farcela".

•••

Una delle ultime brezze estive entrava lentamente attraverso le grandi vetrate leggermente accostate. Qualche chilometro più in là, su un tenero colle, la villa del Signor Montechi si affacciava sul panorama mozzafiato del litorale di Caleri.
Il Signor Arnaldo Montechi.
Era questo il nome di colui che vantava una cifra spropositata di beni e infrastrutture, inclusi anche famosi marchi tessili, di grande prestigio.
Il signor Arnaldo stava affrontando tuttavia un periodo difficile. La malattia non sembrava volergli concedere tregua e ormai erano davvero poche le cose che poteva fare in autonomia.

Mentre era seduto sulla sua comoda poltrona bordeaux, Arnaldo ammirava le onde lontane del mare infrangersi sui pochi scogli sul lato della spiaggia. Ne contemplò i bellissimi riflessi dorati che il sole proiettava sulle increspature del mare. Sorrideva dolcemente a quello spettacolo, ma dai suoi occhi traspariva una solitaria malinconia.

«Signore.»

Dei passi leggeri lasciarono la porta per dirigersi con calma verso la poltrona.

Arnaldo socchiuse gli occhi cercando di dimenticare quella nostalgica sensazione.
«Mi dica, signorina.»

«Mi è stato detto che a quest'ora dovreste già essere a letto.»

Il vecchio accennò a un sorriso, mentre le onde catturavano nuovamente il suo sguardo.
«Sono le sette passate, lo so. Ma volevo ancora vederlo per un po'.»

«Cosa signore?» la donna si avvicinò alla vetrata, la bellezza di quel tramonto prematuro la sorprese piacevolmente.

Arnaldo rise di quella reazione prevedibile.

«Non è meraviglioso, signorina Francesca?»

Francesca continuò a fissare quel moto ondoso dalle mille sfumature d'oro incantata.

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