28° Capitolo

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Arnaldo non smise di sorridere neanche un attimo mentre Francesca distruggeva il castello di bugie che si era costruita nella testa. Lentamente mattone per mattone Francesca ricostruì le vecchie verità e accettò i ricordi dei mesi trascorsi senza opporsi. Aveva dimenticato tante di quelle cose per non impazzire dalla nostalgia, si era scordata quanto fossero state belle le giornate trascorse a scuola, a casa, al parco... Le mancavano così tanto adesso che si era ricordata tutto. 

Poi, una figura slanciata, dai capelli biondo cenere e degli occhi magnetici apparve fra i pensieri di Francesca, ancora ferma sulla poltroncina del Signor Arnaldo.

Una fitta le scongelò il cuore e un inconsueto calore le irradiò il petto, si sentì soffocare nonostante avesse aria nei polmoni, si sentì esplodere la testa nonostante fosse calma. 

Lei.

È lei... Quella che mi manca di più.

Il mio amore.

La mia Beatrice.

«L'amo ancora.» Ripetè all'anziano «L'amo ancora con tutta me stessa.»

«Davvero?» 

«Non ho mai smesso di farlo.»

«La persona che ami allora deve essere molto fortunata.» l'anziano la guardò amorevolmente, quasi fosse sua nipote. Già sua nipote. Da quanto non la vedeva.

"Oh, Beatrice, quanto mi manchi pulcino mio" pensò il nonno.


In quel camera di pensieri nostalgici e malinconici, i due furono riportati alla realtà dal forte rumore di una porta sbattuta. Improvvisamente, all'interno della stanza ci fu una terza persona, la cui identità veniva nascosta dalla piccolissima anticamera. Di colpo, un frastuono di tacchi alti rovinò la dolce atmosfera che si era instaurata fra i due.

Passo dopo passo, quelle suole incrinarono l'armonia della stanza.

«Speravo di sbagliarmi, ma invece, come sempre, ci ho visto giusto. Cosa state facendo? Papà, ti sembra forse questa l'ora di chiacchierare?» Barbara fece il suo ingresso più elegante che mai indossando un elegantissimo abito bon ton verde scarabeo la quale scollatura alla Queen Anne,  lasciava veramente poco alla fantasia. Con il suo décolleté tempestato di gioie argentate, la regina della famiglia Montechi, sfilò verso il padre lasciando trasparire un'espressione talmente preoccupata, da domandarsene la veridicità.

«Su Barbara, non sto mica crepando. Basta con questa recita.» Arnaldo rimproverò quel suo atteggiamento poco rispettoso e corrucciò le sopracciglia, chiudendo gli occhi in un gesto spazientito.

La donna si girò verso quella che secondo lei doveva essere la causa di quella situazione.

«Tu cosa ci fai seduta lì? Godi nell'interferire sul riposo di mio padre, non è così? Oppure stavi oziando mentre lui stava cercando di prendere sonno?!» Barbara la fissò con sguardo minaccioso.

Francesca non volle mostrare il viso, ancora troppo segnato dal precedente pianto e cercò di annuire chinando il capo avanti, ma quel suo strano inchino smascherò tutta la sua agitazione con un evidente brivido sulle spalle.

Barbara si scostò dal letto del padre e dedicò tutta la sua sgradevole curiosità alla giovane inserviente. Fece qualche passo in avanti, ma Arnaldo la fermò prima che potesse avvicinarsi a Francesca.

«Basta così per oggi. Spero tu non abbia intenzione di torturare le mie domestiche ancora per molto, per non parlare dell'atteggiamento tutt'altro che raffinato che riserbi ai miei medici e infermieri. Mi stai facendo perdere la pazienza, figlia mia.»

La signora si arrestò all'istante e tornò sui suoi passi.

«Scusami papà. So di essere molto rigida e irascibile ultimamente. Però sai anche tu che questo è un momento difficile per me... Fra il mio ex marito, l'azienda, la tua salute e ovviamente...» accentuò bene queste ultime sillabe in modo da farle echeggiare bene nell'intera stanza «... Mia figlia...» ruotò appena il viso, cosicché potesse scorgere, con la coda dell'occhio, la reazione di Francesca «...Beatrice

Francesca scattò in piedi di colpo, quel nome come una pallottola nel cuore.

I loro visi si trovarono uno di fronte all'altro, a cinque metri di distanza. Barbara la fissava, interrogandosi goliardica sul perché avesse la faccia in quello stato pietoso. Al contrario Francesca era sbigottita, in piedi con braccia e gambe lievemente aperte, in un precario equilibrio fisico e mentale. Le sue iridi lunari si spostavano freneticamente fra la pupilla destra e sinistra della donna dinnanzi, in un tic quasi nevrotico. Il suo nervosismo cercava una spiegazione, una ragione logica, annaspava alla verità. Sperava, anzi, confidava di trovare in Barbara quella stessa verità. Ma la madre di Beatrice non aprì bocca, chiuse un secondo le palpebre e prese un profondo respiro delle narici, infine, salutò il padre.

Arnaldo la squadrò senza darle troppa importanza, quando al contrario, augurò un sentito "sogni d'oro" a Francesca. Barbara ignorò il gesto di quel povero vecchio ingrato e sparì oltre la porta da cui era venuta. Francesca seguitò alla svelta, dando la buonanotte e ringraziando il signore.



Quando anche la porta dell'anticamera principale venne chiusa, Francesca affannò incredula alla donna che aveva davanti di spalle.

«PERCHÉ?! Perché non me l'ha detto, perché??!»

Francesca alzò repentinamente il tono della voce, fortunatamente erano abbastanza isolate dalla camera di Arnaldo. Barbara si fermò, ruotò su quei tacchi dai centimetri esagerati e la schernì:

«Avrebbe fatto alcuna differenza?»

Francesca era allibita.

«Avevo tutto il diritto di sapere che il padrone di questa reggia è tuo padre!» la sua voce si spezzò «SUO NONNO!»

«Ma non lo hai chiesto.» Barbara sorrise perfida «O sbaglio?»

La professoressa sprofondò nei suoi stessi palmi, le unghie fra i capelli rossastri «Quante altre bugie dovrò affrontare?»

Barbara tornò seria.

«Oh non molte, tesoro. Fra quattro giorni c'é la selezione, non ricordi?» 

«La selezione?» Francesca impallidì, l'unico rossore che conservò fu quello della chioma.

«La tua condizione. Te ne eri dimenticata?» un sorriso interrogatorio le pitturò il volto.

La ragazza smise di respirare, gli occhi vitrei in quelli della iena che aveva di fronte.

«Venerdì alle sette in punto ti voglio in tailleur di fronte ai cancelli della villa. Ai documenti penserò io, tu farai solo da giudice come da accordo.»

Barbara le diede nuovamente le spalle, riprendendo a camminare verso l'entrata della villa. Erano le nove e cinque minuti e il sole soffocò gli ultimi raggi oltre l'orizzonte. Fuori dalla reggia, nel magnifico cortile, una limousine laccata di verde come il suo orrendo vestito kitsch, attendeva l'arrivo di una donna che tutt'altro era fuorché una Signora.


«Ah e... Signorina Malferrari»

Francesca alzò lo sguardo inerme, ancora sconvolta.

«Per venerdì veda di sistemarsi quei capelli,» 

sorrise 

«quel suo rosso,

è volgare.»


La porta della sala si chiuse.

Finally USDove le storie prendono vita. Scoprilo ora