12º capitolo

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«Possiamo vederci a casa tua?» le chiese Beatrice al telefono.

<No Bea non si può! E poi da quando ti sei presa tutta questa confidenza?>

Francesca camminava da una parte all'altra della stanza con l'intento di calmarsi, anche se la cosa ebbe l'effetto contrario.

Beatrice si stropicciò gli occhi con la destra mentre con la mano sinistra stringeva il cellulare spazientita.
«Smettila di trovare scuse e dimmi quando sei libera.»

<Come scusa?!> Francesca s'inasprì.

«Per favore?»

<Ora va meglio. Comunque davvero non posso in questo momento...> sospirò la professoressa mentre dimenava le mani.

«Voglio vederti.» Beatrice ormai non vacillava più.

Francesca ringraziò il cielo di essere al telefono e non davanti alla ragazza, dato che in questo momento era diventata di un rosso acceso e i capillari che le rendevano le gote di quel colore focoso non la finivano di pulsare. Decise così di concederle un po' di tempo, anche perché Bea non le avrebbe permesso altrimenti.

<D'accordo... Ma... potremmo... forse... uscire per cena e andare... ehm... al ristorante...?> chiese la più grande tralasciando il coraggio a casao.

L'altra si scatenò così vivacemente che dall'altra parte della chiamata, la professoressa poteva sentirla benissimo sghignazzare allegramente.

«Prenoto per le otto un posticino carino che conosco, ti piacerà ci scommetto...»

<Sì... va bene, passa prima da me però, ok?>

«Come vuoi, a dopo allora!» la salutò Bea.

<A dopo...>

Era contenta che la sua alunna la cercasse spesso e desiderava, sotto sotto, concedersi a lei ogni tanto, ma ogni volta che pensava a quella ragazza, dentro di sé Francesca sentiva uno strano e fastidioso formicolio. Scosse la testa e ricacciò indietro quella sensazione, nascondendola dentro lo stomaco e sperando che questo potesse digerirne gli effetti tediosi.
E così fu.
Nulla di particolare, ma da cosa era dovuto?
Una possibile risposta le balenò lì su due piedi, ma non volle darle peso.

Circa dieci minuti dopo, verso le sei e mezza, il campanello dell'appartamento suonò ininterrottamente per circa dieci secondi, il tempo di alzarsi dal divano e Francesca fu davanti alla porta.

L'aprì un po' eccitata, contenta di vedere Beatrice.

Non fu però la sua ragazza ad apparire di fronte a lei, bensì un uomo imponente e di grossa statura, dritto e composto in uno smoking nero con la cravatta disegnata da motivi floreali blu, posta sopra alla camicia rigorosamente bianca.
L'abito scuro metteva in risalto gli occhi felini di un verde salvia, così chiari da sembrare finti, soprattutto su un incarnato e una chioma tanto scuri.

«Lei è la professoressa Malferrari Francesca? Fa parte dell'istituto Giulio Gallerani* delle scienze umane, giusto?» l'uomo esternava tutta la sua virilità non solo nella compostezza ma anche nel tono della sua voce, prepotente e profonda, nulla che avrebbe presagito a una simpatica chiacchierata.

Francesca si mise composta di rimando e con veloci movimenti si sistemò i capelli e l'aspetto casalingo.

«Perdoni la scortesia, ma lei chi è?»
accese la sua modalità da professoressa seria, preoccupata.
Rimase in attesa di risposta, ancora immobile sulla soglia della porta, con la mano appoggiata alla maniglia argentata.

«Il mio nome è Massimo Barbieri, molto piacere.» il tizio porse la mano destra e la donna rispose con una stretta mal riuscita, dato che le mani dell'uomo erano circa il triplo delle sue; giurò quasi di aver sentito spezzarsi due falangi della sua tenera manina, tanta era la forza dimostrata dallo sconosciuto in quel saluto formale.

Finally USDove le storie prendono vita. Scoprilo ora