Era venerdì 21 agosto.
Le sette in punto.
Una donna in piedi di fronte ai cancelli di villa Montechi vestiva un tailleur blu fiordaliso.
Un colore che normalmente le sarebbe calzato a pennello, con quei suoi lucenti capelli castano mogano e le iridi celesti.
Ma non oggi.
Non oggi che un nero fusaggine le tingeva l'intera testa come un colata di petrolio.
Non oggi che le palpebre gonfie davano poco risalto a quell'incantevole sguardo.
Oggi non era bella. Era da mesi che aveva smesso di esserlo.
Tutti quei giorni passati lontano dal suo appartamento l'avevano cambiata. Tutta quella tristezza l'aveva indebolita, l'aveva resa fragile. Molto più fragile di quando le lanciavano le pietre da piccola, molto più fragile dei suoi fallimenti lungo la propria carriera, molto più fragile di quando altre persone avevano giocato con suoi sentimenti. Molto. Molto di più. Aveva perso i contatti con tutte le sue colleghe, con i suoi genitori, con la sua preziosa amica. Si era chiusa su quel suo stesso dolore, aveva lasciato che quel fuoco la ardesse dall'interno. Forse per non recare disturbo a nessuno, forse perché sentiva di meritarselo per quella relazione peccaminosa che non sarebbe mai dovuta nascere. Tuttavia adesso di quelle fiamme non restavano che le ceneri, ceneri indolori che lasciavano trasparire nuove cicatrici. Non era rimasto un grado di quel calore e anzi, il focolare che aveva nel petto era diventato freddo. Le domande strazianti che si poneva avevano soffocato le sue emozioni, in quella perpetua e soffocante ricerca di risposte, ormai lasciate al silenzio. La notte precedente aveva stretto fra le braccia quei pochi carboni caldi che le erano rimasti, in un'ultimo disperato tentativo di sentire il tepore lasciato da sentimenti che prima la riempivano di gioia e che in quel momento si erano trasformati in dolore. Questa mattina però, degli ultimi carboni non era rimasto che cenere. La stessa cenere che aveva inglobato e ovattato ogni cosa, impedendole di dormire e ritrovare le giuste forze per affrontare quest'ultima sfida.
La limousine di Barbara si parcheggiò di fronte a lei, uno sportello si spalancò, invitandola ad entrare.
Senza incertezze, la donna che un tempo era la Francesca che Beatrice conosceva, entrò in quella vettura.
Per tutto il viaggio non volarono né una saluto, né un parola. La giovane dai capelli corvini non scostò lo sguardo dal finestrino oscurato nemmeno un secondo. La donna al suo fianco rimase immobile, nello stesso silenzio. Vestiva un tubino bianco panna dalle maniche lunghe e lo scollo a barca, mentre aveva i capelli formalmente raccolti in uno chignon basso; la nuova frangia ad adornarle i lineamenti ferrei del volto, visibilmente, ma stavolta, sobriamente truccato con delle nuance marroni.
Il viaggio in auto le portò fino all'aeroporto meno distante, dove si imbarcarono su un piccolo aereo privato. Francesca si muoveva come una bambola e Barbara si comportò di conseguenza. Entrambe non si scambiarono un acca e la traversata fino a Ratisbona, meta di cui la professoressa era ignara, durò circa poco meno di due ore.
Arrivate a destinazione in un aeroporto tedesco di Monaco, risalirono in macchina fino a un'enorme palazzo dentro Ratisbona. Le enormi dimensioni e la maestosità dell'immobile non sorpresero affatto l'inesperta Francesca, che di tutta risposta continuava a seguire Barbara e i suoi uomini senza dire alcuna parola. Barbara la stava studiando da tutta la mattina, con la stessa concentrazione di uno zoologo che aveva scoperto una nuova specie. Ma se ne stava anche lei in silenzio, perfettamente conscia che il motivo di quel suo lobotomizzato atteggiamento fosse la cosiddetta condizione, la medesima su cui si erano accordate mesi addietro.
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Finally US
Romance‼️ATTENZIONE, ALL'INTERNO DELLA STORIA SONO PRESENTI: -Relazioni amorose tra persone del medesimo sesso; 🏳️🌈 -Linguaggio volgare e/o esplicito; 🏴☠️ -Eventi o situazioni inadatti a un pubblico di minori. 🔞 SI PREGA QUINDI, i gentili lettori co...