«Siamo arrivati, ma dovremo aspettare.» Krüger scese dall'auto dirigendosi a una pista di atterraggio molto piccola, adatta solo a modesti jet o aerei privati di dimensioni ridotte. La zona era ancora abbastanza urbanizzata, ma in alcuni tratti arbusti e alberi davano vita a dei boschetti selvatici.
«Quanto?» chiese Beatrice scendendo a sua volta.
Lehmann ruotò il polso destro all'altezza del petto e affermò in un italiano un po' anglosassone: «Noi chiamato un'ora und halb fa, tuo Großvater. Se aereo partito subito, ancora siebzig Minuten.»
«Sessanta minuti? O settanta?»
«Intendeva settanta.» rispose il quarantenne mentre era impegnato sullo schermo del suo cellulare.
«Dobbiamo stare nascosti fra le frasche finché non arriva?»
«Korrekt.» intervenne il biondo Lehmann, mentre fumava una sigaretta appoggiato a un tronco.
Beatrice si coprì le spalle con un camice trovato sul sedile.
«Se i vostri colleghi ci trovano, per voi è finita.» entrambi la guardarono un secondo. Lehmann che era appoggiato all'albero, alzò le spalle indifferente mentre Krüger si rinfilò il telefono in tasca e sorrise sereno.
«Tu, piuttosto, non sei fuori di testa come ci ha detto la signora Montechi.»
«Oh lo sono eccome, ma non ancora da chiudermi in una stanza e buttare via la chiave.»
«Sei stata tu a mettere del lassativo dentro il tè del receptionist?»
Beatrice alzò un angolo delle labbra: «Be', mi serviva il numero di mio nonno.»
I due scoppiarono a ridere e a scimmiottare qualcosa in tedesco fra loro.
«Ne hai di coraggio per avvelenare qualcuno, ragazza.» Krüger si avvicinò al compagno e si fece accendere una sigaretta.
«L'avreste fatto anche voi se vostra madre vi avesse rinchiuso in un palazzo, dopo aver tentato il suicidio.» i due smisero di portarsi alla bocca il vizio che avevano fra le dita e la guardarono incerti.
«Oh. No. La faccenda è un po' più complicata di quel che sembra.»
Lehmann le si avvicinò e le porse la sigaretta, Beatrice rubò due profondi tiri e la gettò a terra finita: «Grazie». Poi pensò che parlare non le avrebbe fatto così male.
«È giusto che sappiate di più su chi avete aiutato...» i due si avvicinarono alla carrozzeria della macchina mentre fissavano il tramonto tenue, mentre lei raccontava seduta sul sedile della macchina con lo sportello aperto e le gambe di lato, appoggiate al terreno.
«... La persona che vi ha assunto è Barbara Montechi, mia madre. Non vi starò a raccontare i dettagli, ma in pratica circa all'inizio dell'estate mi sono buttata dalla finestra del mio appartamento a Bologna. Che dire, la mia famiglia era uno schifo, non che mi sia mai importato nulla di loro. Avevo il mio appartamento, la mia scuola, i miei amici e il basket. Andava bene, me ne fottevo di quello che volevano mio padre e quella cagna, mi pagavano quello che chiedevo e io stavo dove e con chi volevo. Poi mio padre se ne è uscito con discorsi assurdi sul mio trasloco e l'unica persona che volevo accanto, mi stava lasciando sola. Così mi ricordo che un giorno, dopo aver cacciato quel pezzente da casa mia, guardando la finestra, ho pensato "Sai che c'è? Basta". Quasi un mese dopo mi sono risvegliata in ospedale, ma non capivo granché, so solo che non molto tempo dopo ero in Germania. Mi sono ripresa completamente non molto dopo. I medici dicevano che era un miracolo, il furgoncino su cui ero caduta aveva attutito la caduta. Un braccio rotto e una gamba. Una leggera commozione celebrale, ma nessun danno grave. Bella sfiga. Cercare di ammazzarsi per poi riscoprire di essere ancora vivi in quest'inferno.»
I due rimasero in silenzio, il pacchetto di sigarette che finiva.
«Una volta compiuti diciotto anni, tenermi dentro al palazzo sarebbe stato sequestro di persona, così Barbara ha fatto carte false e mi ha bollato come deficiente. Ed eccoci qua. Mio nonno che non sa niente e mio padre chissà che fine ha fatto, lasciamo perdere mia sorella. Io sono sana come un pesce, ma sola in uno stato straniero. Se non fosse stato per voi, sarei rimasta in gabbia come un canarino.»
Beatrice scese dal sedile e i due notarono che in effetti la sua salute fisica era ben evidente, tralasciando l'incidente con la mano.
Ora che l'avevano davanti, immobile di fronte a quel pigro tramonto, poterono osservarne la persona una volta per tutte.
La ragazza che avevano salvato se ne stava quattro passi davanti a loro, dando loro la schiena. Aveva appena parlato di suicidio eppure quelle spalle erano fasciate da evidenti muscoli, la sua personale armatura che in quel momento esibiva con molta disinvoltura.
Aveva parlato di dolore eppure aveva la lingua tagliente e lo sguardo di chi ancora può mordere.
Aveva parlato di solitudine eppure dalla sua figura traspariva una strana forza.
«Gliela farò pagare.» il pugno che era rimasto fermo si strinse su se stesso e le spalle si tesero di ritrovata sicurezza. I due la raggiunsero con qualche passo e notarono lo sguardo di una bestia famelica, gli occhi saturi di coraggio.
«Cosa pensi di fare?» chiese Krüger «Tua madre non sembra essere qualcuno di facilmente affidabile.»
«Oh, non ti preoccupare. Il sangue di quella troia mi scorre nelle vene. So cosa fa al caso di un'ingorda come lei.» assottigliò le palpebre e da quelle iridi nocciola divampò un incendio. Mentre i tre guardavano il cielo, un lontano brusio li riportò alla realtà.
«IL NONNO?» si eccitò lei.
I due rimasero ancora un po' in ascolto.
«Es ist angekommen!» esclamò Lehmann ancora un po' sulla difensiva, facendo segno al compare di indietreggiare sotto agli alberi, mentre afferrava la ragazza per il braccio e la trascinava al sicuro. Krüger sguainò una calibro cinquanta da sotto la giacca nera, mantenendo le gambe divaricate e le mani ben conserte sull'arma.
«È troppo in anticipo.» la pistola all'altezza del viso.
Il biondo estrasse la pistola a sua volta e con una spinta, suggerì a Beatrice di entrare nella vettura.
«Voi fate sul serio.» la ragazza li guardò sconcertata «Sul serio, non avete le facce di buoni samaritani, chi siete voi, niente cazzate?»
Krüger si concentrò sui rumori di motori che parevano avvicinarsi ancora di più. Poi rispose in fretta.
«Entrambi abbiamo lavorato per il Signor Montechi anni fa. Ci ha tirato fuori da una brutta situazione e nonostante sia stato un capo severo, non ha mai preteso nulla in cambio... Tranne la lealtà.»
«Er hat unser Leben gerettet!» aggiunse convinto Lehmann.
«Già, gli dobbiamo molto... Lehmann, nimm das Mädchen und versteck dich!» ordinò Krüger frettolosamente, girandosi verso il compare.
«Aber, Krüger-» il biondo si ribellò, ma il secondo lo ammutolì.
«Tu es für Lord Montechi.» a quella frase Lehmann non ribatté, ma si girò verso di lui chiedendogli cosa ne sarebbe stato dei due ostaggi che avevano nel bagagliaio.
Il moro rispose che sarebbero venuti con lui, poi Lehmann scese e Beatrice lo seguì obbedientemente. Krüger richiuse la portiera e prendendo il posto del conducente, salutò il compare con una bella stretta di mano affacciandosi dal finestrino. Beatrice vide il suo salvatore riservarle un sorriso paterno, per poi richiudere il finestrino e partire di colpo. Prima che potesse andarsene via Beatrice scandì un sentito grazie con le labbra. Krüger se andò e non sapeva se l'avrebbe mai più rivisto. Pregò con tutto il cuore che potesse essere così.
Lehmann la trascinò dietro dei cespugli e aspettò che il gruppo di SUV che seguiva il loro furgone passasse oltre quel drappo di vegetazione.
«Dentro. Silenzio.» sussurrando indicò con la punta della pistola una stradina di cemento che portava dritta dritta a un garage per aerei di piccole proporzioni.
Beatrice capì e insieme si avviarono verso la meta.
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Finally US
Romance‼️ATTENZIONE, ALL'INTERNO DELLA STORIA SONO PRESENTI: -Relazioni amorose tra persone del medesimo sesso; 🏳️🌈 -Linguaggio volgare e/o esplicito; 🏴☠️ -Eventi o situazioni inadatti a un pubblico di minori. 🔞 SI PREGA QUINDI, i gentili lettori co...