31° Capitolo

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Era tornata nelle sue stanze, senza venire sorpresa da nessuna cameriera e nessun inserviente. In quel suo marsupio benedetto, Beatrice custodiva la ricompensa per aver elaborato un piano tanto geniale e per aver pregato San Furio, ammesso fosse mai esistito, un San Furio. Ora doveva solo trovare un telefono fisso con cui poter chiamare il nonno. Ma dove? DOVE? Si spremette il cervello il più possibile, senza venirne a capo. Lo staff che lavorava nel palazzo era stato informato delle restrizioni dettate da sua madre, perciò era chiaro che non le avrebbero prestato nemmeno una penna e allora lo chef che le aveva servito il tè? No, probabilmente addirittura in cucina conoscevano la sua situazione, per non parlare di come avrebbe potuto chiederglielo visto l'ostacolo linguistico. Aveva bisogno di una mano esterna, qualcuno che non centrava nulla in tutta questa storia e che non sapesse di chi era figlia, tuttavia le vie d'uscita erano sempre controllate e non si poteva uscire o entrare senza documenti di riconoscimento e aver mostrato la propria faccia ai buttafuori. Le serviva un'idea, un'idea, un'idea! Non un minuto di più in quella stanza, in quel posto, in compagnia di quegli stupidi inservienti. 

Ripensò al receptionist e pregò un'ultima volta San Furio purché salvasse il poveretto da una lenta morte sul water. Forse aveva esagerato con la dose di quel lassativo. Forse.

Le alternative iniziavano a terminare e la ragazza cominciava ad essere nervosa. Pensare di lavorarsi per bene una delle inservienti che parlavano italiano e cercare di farsi un'amica, fu una delle poche idee sensate che le balenarono in testa, anche se forse, dopo quanto successo con l'incidente del piatto e del povero geco, "San Furio veglia anche sulla sua anima, amen", le due non è che fossero particolarmente inclini a instaurare un qualsiasi tipo di rapporto con lei. Sempre forse

"Oddio, quanti forse!" 

Uscì sul balcone della finestra e lasciò che traffico e pedoni catturassero la sua attenzione. Tra la folla e i semafori, una chioma rosso castano, la cui lunghezza ricadeva fino alla vita della donna che la possedeva, la stregò. La vide attraversare la strada in compagnia di un pargolo che teneva per mano, poco più avanti, un uomo che spingeva un passeggino rallentò il passo per tornarle accanto. Chissà se Francesca aveva trovato qualcun altro durante tutto questo tempo. Chissà se si era dimenticata di lei. Chissà se aveva cambiato lavoro, chissà dove era e cosa stava facendo in questo momento. S'imbambolò fra quei pensieri, appoggiata a quel freddo balcone di marmo. Alla mente le affiorarono momenti trascorsi in sua compagnia, in quei mesi dove fra uno sguardo e un altro, avevano capito di amarsi. Il viso candido di Francesca le apparve davanti agli occhi, con quelle sue rare lentiggini e quel suo nasino alla francese, le gote un po' arrossate, gli occhi carichi di calore nonostante fossero di una colore gelido come i laghi d'inverno. Rimase a contemplare quella persona inesistente di fronte a sé, si ricordò della sua statura minuta e di quante volte avevano litigato per i nomignoli buffi con cui Bea l'aveva battezzata e a cui Fra aveva reagito scocciata. Si ricordò anche di quando la sollevava dal divano, se la sera vi si addormentava dopo un lungo film, e di quando la portava in camera da letto. Quando cucinava, quando dormiva, quando passeggiava, quando insegnava, quando la baciava. Al posto di quel marmo su cui appoggiava le braccia, mesi prima c'era una sensazione di tepore, una pelle chiara come una coltre di neve e una donna dolce come il miele. Le labbra rosse che chiamavano le sue e la sensazione delle sue braccia attorno al collo, quando facevano l'amore sotto le coperte con impeto e passione. Poi ecco. Un sorriso affettuoso e troppo innocente per una ragazza così tanto più grande di lei, le invase la testa. Gli occhi di Beatrice si riempirono come fiumi in piena, pronti a sgorgare come cascate lungo le guance, ma si interruppero all'instante dopo un forte rumore di vetri in frantumi. 

Senza accorgersene, aveva sferrato un pugno alla vetrata della porta del balcone. 

Il pugno ancora fermo a mezz'aria con le unghie conficcate nel palmo, tutt'intorno, una ragnatela di vetri rotti. La testa era china in avanti, il braccio sinistro attaccato all'orecchio, mentre l'altro si contorceva in una stretta ancora più minacciosa lungo il fianco.

Finally USDove le storie prendono vita. Scoprilo ora