19º capitolo

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Passarono settimane e il risveglio della ragazza si fece finalmente realtà.
"Coma" rivelarono i medici dell'ospedale, nulla che avrebbe fatto presagire a un risveglio vicino e invece ecco che ancora una volta quella grandissima figlia di buona donna di Beatrice l'aveva messo in tasca a tutti quanti, svegliandosi molto prima di qualsiasi previsione; lasciando medici e conoscenti a bocca aperta.

Intanto le visite erano state dichiarate aperte solo nelle ore del pranzo e il regolamento parlava chiaro, niente malanni o influenze là dentro. Ogni microbo che entrava poteva rappresentare un'enorme minaccia per la paziente in condizioni abbastanza critiche, anche se comunque stabili.

Tutta la ciurma di amiche doveva andarla a trovare proprio oggi, pur sapendo che Beatrice poteva al massimo stare sveglia per dieci minuti, poi sarebbe crollata nuovamente in un sonno profondo.

Le energie le concedevano lucidità per non più di quei preziosi minuti.

«Ancora poco!» Chiara fissava concentratissima le cifre sul suo Casio argentato, mentre le pupille di Katia scattavano dallo sgargiante strumento digitale dell'amica alla porta che aveva alla sua destra.
Viola sudava freddo, spalle contro la parete e un mezzo metro di cemento che la separavano dall'amica ricoverata.
In un religioso silenzio, Alessia leggeva gli ingredienti sul retro della bibita gassata che stringeva tra le mani; lei l'agitazione l'aveva persa quando le dissero che Beatrice era stabile, critica, ma stabile. Crollata come un castello di carte sarebbe andato giù con un soffio d'aria, la sua convinzione pessimistica aveva lasciata posto alla felicissima consapevolezza di aver sbagliato.

L'ora stava per arrivare.

Adesso erano tutte e quattro in procinto di sfondare la porta..

E la quinta distesa nel suo lettino celeste confetto.

Quello era il vero inferno, quell'attesa bruciava loro le gole, ribaltava lo stomaco e faceva arrossire gli occhi dalle troppe lacrime.

Nel frattempo Alessia lanciò una domanda, bisbigliata lì per lì, quasi come fosse semplicemente uscita dalla bocca senza il suo consenso.

«Dov'è la professoressa?»

Sei occhi la misero in soggezione, solo allora si accorse di aver dato voce ai suoi pensieri. Così, ormai sputato il rospo, riprese il discorso.

«Oggi è il primo giorno in cui le visite sono aperte a tutti, non capisco perché lei non ci sia...»

«Probabilmente è venuta tempo fa, forse la scorsa settimana.» Viola ipotizzò una plausibile causa dell'assenza di Francesca.

«No, non credo. Prima di oggi era possibile entrare solo hai parenti, dubito che qualche cugino di Beatrice l'abbia fatta entrare per pena.» Chiara gettò nell'umido la teoria di Viola.

«Allora non se l'è sentita. Quella zitella avrà sicuramente sfruttato l'assenza di Bea per buttarsi in un'altra storia...» Katia era arrabbiata, giocava con il cellulare, mentre la sua faccia mostrava un misto di concentrazione e disprezzo, invece quella di Alessia era più tendente alla preoccupazione.
«Credo che non sia scappata, né che abbia scelto di non venire, penso più che qualcuno non l'abbia fatta avvicinare...»

Viola si staccò dal muro: «Che intendi dir-?» prima che la rossa potesse terminare la domanda, un'infermiera apparve aldilà della porta.

«Prego, potete entrare

Tutte scattarono in piedi e in lampo furono dentro.

Sul lettino, una ragazza intubata da capo a piedi, ricoperta di tutori e gesso le aveva appena accolte. Intorno a lei, macchinari e fili e cavi e prese le limitavano i movimenti. Non che le fosse impossibile muoversi, ma sicuramente erano opprimenti. Le braccia erano piene di medicinali in vena, siringhe sparse sul tavolino accanto a lei, insieme a calmanti e boccette varie.
Tutta quella roba, i colori lugubri e spenti della stanza, il bianco ceroso, senza alcuna sfumatura rosacea sul corpo di Beatrice annientato dalla bruttissima caduta, insinuavano inquietanti pensieri ed emozioni forti come la tristezza.
Un panorama deprimente che scioglieva le gambe come il burro e che bloccava qualsiasi parola sul nascere, in qualsivoglia gola essa potesse essere concepita.

Le ragazze erano rimaste senza fiato.

Non un battito di ciglia, non un passo, non un verbo.

Alessia fu la prima a reagire, estraniandosi dalla trance in cui erano immerse tutte e quattro.
Si portò le mani alla bocca, soffocando un grido di angoscia, corse su quel povero corpicino sfinito, accarezzandone i freddi lineamenti.
Aveva perso forse dieci chili in poco più di tre settimane e due profonde occhiaie le infossavano lo sguardo perso.
Gli occhi della ricoverata si aprirono con lentezza, ma una inquietante pesantezza le accompagnò le palpebre e due buchi neri si mostrarono alla luce come gli occhi di un qualsiasi animale.

Quelli non erano gli occhi della Beatrice che conoscevano.

Quelli erano gli occhi di una bestia senza anima, che sbatteva le palpebre solo per puro istinto.

«BEA MI SENTI? SONO IO, VIOLA!» l'amica le si catapultò accanto.

«SIAMO TUTTE QUA! NON SEI SOLA!» s'aggiunse Katia, mano nella mano con Chiara.

Chiara tremava, non aveva la forza di parlare, i suoi occhi si erano abbassati, bagnati dalle lacrime.
Poi li sollevò dal pavimento e si scontrarono con quelli meccanici e vuoti di Beatrice.
Fu un fulmine a ciel sereno: Chiara crollò a terra, con gli occhi coperti dalle mani e con i singhiozzi che la facevano sobbalzare. Katia le carezzava la schiena, cercando di rassicurarla.

Rimasero così per non si sa quanto, in una situazione di stallo completo, dove tempo e spazio non esistevano.

Quando i singhiozzi e le tossi davano tregua alle orecchie, il silenzio lasciò posto ai respiri pesanti di Beatrice e alla macchina che segnalava il suo battito cardiaco.

Non successe nulla.
Non dissero nulla.

Viola, Alessia come Katia e Chiara, pensavano a quanto fossero state stupide e inutili, delle amiche superflue e cieche.

Che cazzo di amicizia era quella?

Se le dicevano le cose, a volte le ferite le mostravano, ma Beatrice era un caso particolare. Lei faceva fatica a mostrarsi ed eccola che adesso non era riuscita a superare un brutto momento, stesa su un letto, quasi pronta a morire per la sua testardaggine, ammutolita dal suo stesso orgoglio e strozzata dalla sua stessa solitudine.

Come era successo?

Come aveva fatto ad arrivare a questo punto? Quando?

Cosa l'aveva portata a questo?

E se al posto di cosa,
ci fosse stato un chi?

Finally USDove le storie prendono vita. Scoprilo ora