21º capitolo

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1 settimana dal tentato suicidio.

Si sistemò la cravatta e fece cenno alla segretaria che gli sedeva accanto,
questa si alzò e aprì la porta dell'ufficio:
Una donna bassa, giovane, indossava abiti non troppo adeguati al luogo, i capelli le ricadevano ribelli lungo la schiena, scuri e stroppicciati, probabilmente segno che non erano del tutto asciutti. Gli occhi di un celeste vitreo avevano perso ogni sfumatura di vita, parevano grigi o addirittura di un verde salvia; sotto, segni di trucco e mascara coprivano a tratti le occhiaie rossastre.

Fece due passi avanti: «Buongiorno...»
La voce mancava qualche sillaba, come un microfono rotto.
«Salve... Signorina adesso può lasciarci soli, grazie.» l'uomo si rivolse alla docile segretaria che velocemente uscì dallo studio.
«Io sono Donat Volkov. Si accomodi, Signorina Malferrari, vuole un bicchiere d'acqua?»
«No, grazie.» di nuovo, quelle sillabe venivano accompagnate da uno sguardo scarico e dall'alternarsi di vocali rauche.
La donna si sedette su una poltroncina davanti alla scrivania. Una volta più vicina, altri dettagli apparivano più nitidi, come le pellicine e i rossori attorno alle narici, le labbra rosso ciliegia appena screpolate.
«Mi dispiace averla scomodata, signorina, ma quello per cui l'ho chiamata è molto importante e credo lei lo abbia intuito.» il signorotto di fronte a lei era in smoking nero petrolio, un impiegato più rilevante degli altri, sicuramente però non un pezzo grosso.
S'atteggiava con una falsa gentilezza, sotto il naso, Francesca sentiva solo puzza di avaro.
Un tipico leccapiedi per capirci, evidentemente costretto dai suoi superiori a inscenare quello stupito teatrino compassionevole per lei, ma ne aveva di strada da fare prima di poterla dare a bere ad una fresca professoressa, che nei pochi anni di esperienza dietro alla cattedra, aveva osservato e imparato tutte le espressioni che i ragazzi erano in grado di fare. Dunque aveva visto più volte, nascosta da uno sguardo all'apparenza dolce e fragile, una realtà fatta di astuzia e furbizia.

E un tizio dal viso di volpe non l'avrebbe ingannata così sfacciatamente.

«Vada dritto al punto.» senza giri di parole, Francesca mirò al fulcro della visita.
«Bene, allora le dirò come stanno le cose, e mi dispiace se sarò franco e poco delicato.»
«Vada avanti.» l'espressione apparsa ora sul viso della giovane era dura, statuaria, fredda come gli occhi con cui era entrata in quel palazzo, ancora circondati dai segni del dolore;

quello era il volto di chi le aveva passate tante.
E ne era uscito...
...zoppicando, con il cuore infranto, gli occhi rossi, ma a testa alta.

«D'accordo...» l'uomo si alzò dal suo posto e iniziò a camminare tranquillamente su e giù per la stanza.

«...Come lei ben sa, precisamente una settimana fa, in una delle zone più tranquille di tutta Bologna, c'è stato un tentato suicidio. Una ragazzina, diciassette anni, quasi diciotto.
Siete a conoscenza del nome della studente?»
«Barbieri Beatrice.» le pupille vibrarono lievemente, il cuore pulsò con violenza.
«Dalle fonti a mia disposizione, deduco sia una delle vostre studenti, non è così?»
«Sì, era una delle mie studenti, prima del mio trasferimento in un altro plesso dell'istituto.»
«Capisco e come mai siete stata trasferita?»
Francesca non rispose, indecisa tra l'ammettere che l'accaduto l'aveva scossa fino dentro alle radici del suo cuore, oppure tra il contestare la domanda stessa come "troppo privata".
Anche se quest'ultima avrebbe potuto portare inevitabilmente a un equivoco, per comodità la scelse, sperando che il filo della conversazione si potesse spostare su altri quesiti meno invadenti.
«Questa domanda è troppo personale, mi dispiace ma le mie finanze e il mio lavoro non sono cose che le devono interessare.»
«Certo come no... Non mi creda uno sprovveduto signorina Malferrari, sa benissimo che la mia domanda non era riferita al suo lavoro, vero?»
«Cosa significa? E allora a cosa doveva essere riferita?» cazzo, era finita dalla padella alla brace.
Il signorotto scoppiò in una beffarda risata, poi ricompostosi continuò:
«Brava, brava, complimenti per la facciata da finta ingenua!»
Si alzò dalla sedia, poggiò i palmi delle mani sopra al tavolo e tenne i gomiti distesi, appoggiandoci poi il peso e incrociando infine le caviglie.
Dopo, il sorriso goliardo si tramutò in un ghigno spazientito.
«Mi riveli una cosa, lei che genere di rapporti aveva con la ragazza? Non menta, ho perso fin troppo tempo in
futili ciance.»
Francesca rimase ammutolita dall'istantaneo cambio di approccio dell'uomo, che fece cadere la maschera della volpe astuta, mostrando così quella di un lupo vorace, stizzito e bramoso di venire a conoscenza di quella verità che Francesca non voleva rivelare per nessuna ragione al mondo.

Ma una risposta la doveva pur dare.
«E va bene... Abitavamo vicine così quando voleva le davo un po' di ripetizioni...» tirò fuori l'unico asso che aveva.
L'uomo rise piano. Poi alzò lo sguardo sul viso di lei, che faticava a fingersi calma, e due occhi scuri come il catrame le fecero intuire che, ciò che aveva detto, a lui non fregava assolutamente.

In un lampo di furore, l'uomo si spinse in avanti afferrando la professoressa per il colletto e trascinandola a due centimetri dal viso.

A quel punto Francesca si rese conto che stava rischiando.

Non l'impiego, chiaro, la pelle.

«Te lo richiedo un'altra volta: che genere di rapporto c'era tra te e quella ragazzina?»
La voce maschile le rimbombò dentro la testa e diverse emozioni le impietrirono i movimenti.
La paura era la prima.
«Mi lasci..»

«RISPONDI, TROIA, CHE RAPPORTO AVEVI CON LA RAGAZZA?»

L'aria si separò dai polmoni della donna, talmente era forte la presa sul colletto, così le mani che prima avevano tentato di aprire la morsa dell'uomo, adesso stavano cedendo. Il volto dell'aggressore diveniva poco a poco più sfocato ai suoi occhi e le labbra boccheggiavano implorando ossigeno.
Solo l'entrata di una terza persona impedì all'uomo di soffocarla.

«Basta così, Donat. Non ti ho detto di ucciderla.»

«Mi perdoni Signora, non avevo intenzione di disubbidire ai suoi ordini, ma questa donna mette a dura prova la mia pazienza.» l'uomo le si avvicinò e abbassò poco il capo, in segno di devozione.

Francesca intanto tossiva e respirava compulsivamente, il naso le colava insieme alla saliva e gli occhi rossi le lacrimavano.
Dentro alla sua testa invece s'aprì una pista a cui non aveva mai dato importanza; l'idea che adesso non poteva più custodire il suo segreto, l'aveva mandata nel panico più totale. Credeva che tenere al sicuro i suoi segreti, i suoi scheletri nell'armadio, fosse sempre stato un gioco da ragazzi. Proprio lei che non si confidava mai con nessuno, ora doveva discuterne davanti a tutti quegli sconosciuti.

«Salve, ragazzina. Io sono Barbara e tu sei?»
«F-Fran-ncescah» intanto teneva la mano sul proprio collo indolenzito. Alzò la testa dal pavimento su cui si era prima accasciata, e ogni muscolo facciale le si pietrificò.
Il volto di Beatrice cresciuto di almeno trent'anni, con gli occhi color caramello, e la pelle segnata da qualche piccola ruga vicino alle labbra. I capelli legati in un pratico chignon, abbellito con due fermagli d'oro rispettivamente abbinati agli orecchini e alla prominente collana. Un tubino grigio a collo alto, di maglia un po' spessa, risaltava forme alquanto rare in un fisico di tale età, come le due gambe snelle e prive di imperfezioni, lisce e leggiadre sulle slingback color carne che indossava divinamente.

«Francesca... un nome banale per una donna banale. Cosa dovevo aspettarmi? Donat, se la stavi per soffocare significa che non sei riuscito a farle sputare niente. Dico bene? Ahh... Sono circondata da incompetenti, l'Italia non si smentisce mai.»

La donna si piegò verso la professoressa, poi con tono glaciale e tutt'altro che gentile pronunciò:

«Ammettilo, ragazzina,
ti sei scopata mia figlia

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