39. Frastuono

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Rumore confuso e assordante.


Smarrimento. Rabbia. Terrore. Quelle erano le sensazioni con cui Yves andava avanti da quando aveva permesso alla parte più marcia di lui di prendere il sopravvento. Anche quella sera il suo umore non era diverso, se ne stava barricato nella sua stanza, a soppesare ogni dannata conseguenza che l'imminente incontro con Amir avrebbe potuto portare. A volte pensava di aver bisogno di qualcuno con cui parlare, una mente meno tormentata della sua sarebbe andata bene, ma poi, al momento di agire e comporre quel numero, la vergogna più nera tornava a tormentarlo.

Non aveva il coraggio di parlare con Gaspard di quello che gli stava succedendo. E questo orrore aveva ben poco a che fare con il suo amico che, di certo, non avrebbe fatto nulla per metterlo a disagio. Era una paura tutta sua, che covava all'interno del suo petto da talmente tanto tempo da non ricordarne neppure l'origine.

E intanto il tempo passava, lasciandosi dietro una scia cattiva di ansie. Non riusciva ad emergere da quel limbo. Presentarsi all'Heros equivaleva a sventolare una bandiera bianca, significava ammettere quello che Amir credeva già, cioè che Yves, alla fine, era pronto per compiere quel passo.

Ma non è così. Tu non hai idea di quello che stai facendo.

Calciò via le coperte del suo letto e si infilò dentro con rabbia. Aveva deciso. Se ne sarebbe andato a dormire e quel mancato appuntamento avrebbe parlato per lui più di mille chiacchiere inutili. Era fatta. O forse no, perché il sonno non voleva arrivare e Yves si ritrovò per l'ennesima volta a fissare quello scandire di lancette, ormai simbolo del suo tormento.

L'una del mattino.

L'Heros aveva già chiuso? Dov'era Amir adesso? Per quanto tempo sarebbe rimasto lì ad aspettarlo? Yves si rigirò ancora e ancora. Si sentiva debole, come un malato in convalescenza dopo una febbre lunga e debilitante. Perché quella vita era toccata a lui? Perché non riusciva a gestirla come qualsiasi altro suo coetaneo? Perché un semplice contatto umano doveva arrecargli tutto quel tormento?

Forse perché non c'è niente di semplice in un contatto. Come puoi mostrarti a qualcuno quando persino tu stenti a riconoscerti?

Arrivarono le due del mattino e Yves era ancora perfettamente sveglio. Non importava più, si diceva, Amir non lo avrebbe aspettato per tutto quel tempo. Magari ormai stava già dormendo e lui era salvo. Ma la vibrazione del suo telefono era lì per smentire tutte le stronzate che si era appena raccontato.

Scattò a sedere sul letto con il cellulare tra le mani e il terrore negli occhi. Non era solo terrore però, c'era una sorta di gioia dolorosa che faceva capolino in quel miscuglio di sensazioni rimbombanti.

Basta non prendere la chiamata. Non è mai stato così semplice, Yves. Chiudi gli occhi e passa tutto.

È questo che vuoi, si chiese? Lasciar passare tutto? Vivere un'esistenza fatta di ombre e menzogne, mentre la vita vera ti scorre davanti? Fu il suo corpo a rispondere per lui. Yves prese la chiamata al decimo squillo.

"Non sei venuto"

La voce di Amir era bassa. Il suo tono piatto.

"E non verrò" disse in fretta Yves e si sentì subito senza fiato.

"L'avevo intuito. Ecco perché ho fatto da me. Sono sotto casa tua"

"C-cosa?"

Yves era scattato in piedi con gambe tremanti, poi aveva scansato la tenda pesante che copriva la finestra e quello che era il suo peggiore incubo, o forse desiderio, si palesò davanti ai suoi occhi. Il Range Rover di Amir era fermo a pochi metri dal suo cancello.

À la tombée du jourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora