15. Ricordo

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Segno, impronta durevole di un avvenimento.

Era notte fonda quando Yves si mise finalmente a letto, rassicurato dai messaggi di Gaspard sulla serata. Le ragazze erano tornate a casa senza alcun problema, perfino Lucille sembrava essersela cavata. Peccato che il suo piccolo mondo idiota sarebbe stato ben presto sconquassato da un avvenimento inatteso.

Il ragazzo sorrise di gusto, immaginando lo shock che avrebbe fatto provare a Manech da lì a qualche giorno. Far del male agli altri lo faceva stare meglio? Non era proprio così, pensò Yves, ma di certo, disporre di quel genere di potere, gli piaceva. Era una sensazione strana, aveva un che di perverso, come una scarica al basso ventre che ricordava l'eccitazione sessuale.

Pensare a quel genere di cose non gli piacque, si sentì improvvisamente sporco, come sempre quando accadeva. Tornò a letto con un brivido, ma non riusciva a prendere sonno. Così si decise a prendere una di quelle pillole per dormire che gli aveva prescritto il medico e la mando giù con un paio di sorsi d'acqua. Fu quello il momento in cui il suo cellulare suonò di nuovo nel giro di pochi secondi.

Yves scrutò cupo il display e con evidente sorpresa notò il numero di Amir. Quella chiamata poteva voler dire solo una cosa: buone nove.

"Allora? Spero che tu mi abbia chiamato con cognizione di causa. Sono le due del mattino" gli fece notare il francese con un tono basso e strascicato.

"E perché non stai dormendo?" ribatté l'altro, divertito.

"Stavo aspettando degli aggiornamenti" disse Yves, ma subito dopo si riprese " e comunque non ti devo nessun tipo di spiegazione sui miei orari."

"Perché te la prendi tanto per qualche domanda amichevole? La mia era solo pura curiosità."

Yves prese un profondo respiro. Non gli piacevano quelle telefonate in cui Amir provava a imbastire una conversazione. Dovevano essere solo affari, uno scambio veloce di date, orari e compensi ... tutto qui.

"Devi dirmi qualcosa o mi stai solo facendo perdere del tempo?" chiese Yves senza alcun filtro. "Non siamo amici, Amir. Non siamo niente. Lo sai, vero?"

Poteva quasi immaginare il volto cupo dell'altro nel sentirsi dire parole del genere. Pensò ai suoi occhi color miele, resi più scuri da un principio di rabbia. Durava poco più di qualche istante, Amir era bravo a riprendere il controllo della situazione e anche quella volta lo dimostrò.

"Sabato prossimo. Solito orario." Disse secco l'arabo.

"Bene. Hai fatto pace con il tuo fiorellino? Cos'hai dovuto fare per irretirlo? Organizzare una serenata sotto la sua finestra?" lo prese in giro il più piccolo, dentro di sé non poteva fare a meno di gioire per quel risvolto però.

"Che ti importa? Non siamo amici. Non siamo niente. Lo sai, vero?"

Amir aveva usato le stesse parole pronunciate poco prima dal francese, poi aveva interrotto la chiamata senza dare all'altro la possibilità di ribattere. Yves scosse la testa di fronte alla faccia tosta di Amir, l'avrebbe lasciato perdere, era chiaro che non poteva permettersi di far incazzare l'unico uomo in grado di fornirgli il suo svago serale.

La soddisfazione di quella notizia venne ben presto sopraffatto dal solito senso di disgusto che non lasciava mai Yves. Il ragazzo si portò le mani tremanti sul volto e si costrinse a non chiudere gli occhi, né a scivolare nel sonno, perché sapeva che quella notte i suoi incubi lo avrebbero tormentato più che mai.

Il suo più grande bisogno era anche il suo più grande veleno. I suoi vizi avrebbero finito per avvelenarlo, prima o poi.

Disgustoso ragazzo. Perverso ragazzo. Abominio.

À la tombée du jourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora