33. Disordine

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Mancanza o turbamento dell'ordine.

Amir stava riempiendo il suo borsone sportivo con gli indumenti ormai fradici che aveva indossato durante l'allenamento di boxe. La sua mente continuava a macinare le poche parole di scuse che Yves aveva affidato a Jean nella speranza che gliele riferisse. Perché farlo? Perché prendersi il disturbo di spingersi fino all'Heros per chiedergli scusa? Amir non aveva mai pensato di valere abbastanza da smuovere in qualche modo Yves.

Forse inconsciamente sta talmente male da avere bisogno di chiunque. Forse sei solo uno dei pochi con cui può parlare liberamente.

Cosa doveva fare adesso? Amir osservò in tralice lo schermo nero del suo cellulare. Dentro di sé era del tutto consapevole che non ne valeva la pena.

Ti sei sacrificato abbastanza per lui. Hai perso Rémy, hai rischiato di mettere in pericolo la tua attività per una persona che non ti darà mai quello che vuoi. Dimmi che questo non è abbastanza per farti aprire gli occhi.

Eppure ... eppure voltargli le spalle non era mai stato così difficile. Era come imporsi di smettere di respirare per poi scoprire che non era possibile. Doveva essere con lui, voleva essere con lui. Anche solo come amico. Anche solo come una ruota di scorta da usare a piacimento.

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Yves osservava la cassaforte come in tralice. Da quanto tempo era fermo lì? Con la mente troppo occupata da pensieri ossessivi per riuscire a concentrarsi su qualsiasi cosa gli accadesse intorno? Troppo tempo. E quella era la sua vita adesso, un'agonia infinita che lo costringeva a tormentarsi su cosa sarebbe accaduto non appena Andrea fosse rientrato a casa.

Cosa si sarebbe inventato per torturarlo? Cosa lo avrebbe costretto a fare stavolta? Quanto in basso lo avrebbe spinto con la prossima richiesta?

E poi qualcuno bussò alla porta e Yves scattò in piedi con il terrore negli occhi.

"Yves, sono io. Possiamo parlare?"

Il ragazzo cercò di calmare i suoi battiti, mentre tentava di dipingersi sul viso un'espressione meno sconvolta di quella che aveva. Era suo padre, doveva controllarsi, doveva trovare un modo per sedare la preoccupazione di Jacques e Lydia o quella matassa in cui era finito rischiava di ingarbugliarsi peggio che mai.

Così aprì i libri e cercò di nascondere il tremito nella sua voce, "entra. E' aperto."

Sentiva i passi incerti di suo padre avvicinarsi. Jacques non era mai stato bravo in quel genere di cose, il suo pragmatismo lo aveva reso un eccellente archeologo e studioso, scandagliare le acque buie dei mari in cerca di antiche reliquie era di gran lunga più semplice del navigare nelle correnti torbide della mente umana.

"Stavi studiando?"

"Già. Volevi parlarmi?" Yves voleva andare dritto al punto, certo che avrebbe fatto un favore al padre invece di lasciarlo lì a tentennare su cosa fare o dire.

"Beh, sì. Non ci siamo visti molto di recente..." iniziò quello, cercando di trovare le parole giuste per proseguire, "e siamo preoccupati per te. C'è qualcosa che ti turba e so che non ti piace parlare con me ... insomma, siamo entrambi taciturni per natura, ci teniamo sempre le preoccupazioni per noi, ma"

"Papà, è soltanto un periodo stressante" lo interruppe Yves, cercando di imporre al suo viso di non mostrare quello che realmente sentiva dentro.

"Hai dei problemi a scuola? Dei problemi fuori?" insistette l'uomo. Aveva gli occhi fissi in quelli impenetrabili del figlio. Rare volte lo aveva osservato con tanta attenzione, "puoi parlarmi di qualsiasi cosa, Yves. Qualsiasi cosa. Sono tuo padre, io sono qui per aiutarti."

À la tombée du jourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora