53. Lampo

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Luce abbagliante e di brevissima durata, manifestazione ottica delle scariche elettriche che hanno luogo nell'atmosfera.

Manech era nervoso e detestava esserlo, sapeva che razionalmente non aveva nulla di cui preoccuparsi, non era lui quello in torto ma non riusciva a ignorare l'effetto che l'altro faceva alla sua mente.

Era già in ritardo, eppure continuava ad indugiare sul retro del jazz club, l'ingresso secondario riservato agli artisti.

E se lui fosse in sala? O se non ci fosse?

Manech non riusciva a cogliere quale delle due prospettive sarebbe stata la peggiore, se incrociare di nuovo lo sguardo di Gaspard fra la folla o scoprire che non ci fosse.

Alla fine decise che era arrivato il momento di affrontare quello stallo, che avrebbe fatto i conti con qualsiasi realtà si fosse presentata e che avrebbe fatto chiarezza almeno dentro se stesso.

Non puoi continuare a vivere senza sapere cosa vuoi, non puoi restare in questo limbo.

Quando Manech varcò la soglia del locale aveva quel proposito stampato in mente, aveva atteso con calma dietro le quinte, senza mostrare quanto dentro stesse fremendo e poi era arrivato il suo turno. Inspirò e percorse il breve corridoio che lo condusse fino al palco, dove lo attendeva uno sgabello, si accomodò e lanciò un'occhiata sicura verso i clienti che affollavano la sala e lui era lì. Lo stomaco di Manech si contorse per un istante ma lui non mostrò stupore o imbarazzo, strinse l'archetto fra le mani e cominciò a suonare.

Aveva scelto un pezzo di Bach inizialmente, ma poi aveva optato per l'improvvisazione, sentiva il bisogno di far fluire tutti i sentimenti e i dubbi che lo attanagliavano. Voleva che scorressero fino al violino e che si librassero nell'aria in quella melodia lenta e profonda.

Nonostante la folla di gente rapita da quel suono, Manech si stava esibendo solo per Gaspard, nel tentativo di scorgere in lui una scintilla, di capire se fra loro c'era stato qualcosa di vero e poteva ancora esserci.

Poi l'esibizione finì, la luce si spense e Manech lasciò il palco.

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Lo sguardo di Gaspard aveva seguito i movimenti dell'altro per tutto il tempo, lo aveva osservato dirigersi di nuovo dietro le quinte per poi sbucare nella sala. Si era mosso lentamente ma senza esitare fino a raggiungerlo e adesso si stavano fronteggiando.

Gaspard era rimasto seduto sul solito sgabello del bar e Manech si accomodò accanto a lui senza dire nulla, poi il biondo gli aveva allungato una birra, facendola scorrere lungo il bancone di legno.

Manech fu sul punto di dire qualcosa ma Gaspard compì l'ennesimo gesto che il moro non seppe interpretare in un primo momento, recuperò qualcosa poggiata nel posto vuoto alla sua sinistra e la passò a Manech, si trattava di un giglio bianco, adornato da un nastro rosso.

Il moro se lo rigirò fra le mani, colpito e confuso da quel regalo.

Cosa stai cercando di dirmi? Perchè ...

"È una nuova melodia? Quando l'hai composta?" chiese Gaspard ad un tratto interrompendo il silenzio.

"Non l'ho composta ... era più che altro improvvisazione" rispose Manech ancora confuso.

"Capisco"

Solo quello, il moro si sentì stringere il petto, cosa stava succedendo? Perché non riusciva a parlare? C'era qualcosa in Gaspard che lo spaventava, forse proprio l'ignoto e il mistero che l'altro manteneva su se stesso e suoi pensieri, e, se Manech non avesse trovato la forza di imporsi, qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro sarebbe scomparsa per sempre.

À la tombée du jourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora