felix - my pace

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personaggi: lee felix x lettrice femminile
genere: angst, fluff, prima persona, nessuna dinamica
n/a: avevo bisogno di scrivere questa cosa perché mi sono molto demoralizzata non riuscendo a guidare. spero piaccia anche a voi! buona lettura! -cynda <3

Guardai Felix solo un secondo prima che i miei occhi tornassero alle mie ginocchia. Le mie labbra non riuscivano neanche a tirarsi sù per fingere un'espressione neutra. La mia aria restava angosciata, i muscoli del viso erano pesanti da tendere.
Lui invece, sembrava così gentile in quel momento.
Probabilmente se gli avessi chiesto di andare Francia solo per mangiare del fegato d'oca, mi ci avrebbe portata, sempre sopra la sua Hyundai scassata.
Mi staccavo le pellicine vicino alle unghie, non avevo voglia di guardare la strada, ed il mio stomaco cominciava a rivoltarsi e pregarmi di tornare con lo sguardo in avanti, però non mi importava.
«Ti va di mangiare da Sally? Quel posto che ti dicevo.»
«Fanno gyuasang?»
«Certo. Non ti prometto che saranno molto buoni, tuttavia»
«Possiamo andare dal papà di Sangyeob? Forse è lontano»
«Non importa. Ci andiamo.»
Così al primo incrocio, Felix svoltò a destra e percorse chilometri interi per il verso opposto.
Sul suo viso, non leggevo il minimo fastidio, non un sospiro di stanchezza.
La sua mano cambiava le marce senza esitazione, e nemmeno come se fosse una scocciatura.
Nel buio delle nove di sera, le luci colorate pitturavano di rosa il suo volto, mentre le ombre scorrevano sulle sue guance, coperte da qualche lentiggine scura.
Tra me e Felix, c'erano tante differenza.
Prima di tutto, che lui pensava tanto prima di parlare, io invece, lasciavo andare tutto senza filtri. Felix voleva probabilmente consolarmi, ma il suo viso suggeriva che non avrebbe detto nulla quella sera.
Non che ci fossero parole che potessero aiutarmi, tutto ciò che c'era da dire, mi era già stato detto. Restavo solo a rotolarmi nella disperazione tutto il giorno, come se mi ci dovessi impanare. Il mondo dopo mi avrebbe fritta, sicuramente.
Pronto a mangiarmi in un solo boccone.

Al ristorante del papà di Sangyeob, Choi Kyunyeob, i tavoli avevano un aspetto accogliente ed intimo, al posto delle sedie vi erano delle panchine dal design moderno.
Cozzavano con l'aspetto rustico e alla "vogliamoci bene" del resto del locale, ma quello che importava in quel momento era il cibo.
Portarono dopo poco tempo i miei ravioli, insieme ad un piatto di spaghetti di soia saltati con gamberi e verdure per Felix.
Il suo piatto aveva un odore davvero invitante.
Prima di iniziare a mangiare, lui faceva sempre una preghiera, io lo aspettavo in silenzio.
Appena afferrò le sue bacchette, io presi le mie e con poca energia cercai di separarle.
«Ecco, tieni» Felix mi porse le sue già separate, sfilando dalle mie mani il paio ancora incollato.
«Grazie» soffiai, ma non fui sicura che lo sentì.
Speravo sapesse semplicemente che ne ero grata sul serio, che avesse separato le mie bacchette.
I ravioli erano molto buoni, la carne era cotta bene, le verdure fresche e soffritte con cura, la pasta era sottile.
Lasciai andare la mia mano sinistra al centro del tavolo, con stanchezza.
In qualche secondo, sentii le dita di Felix circondare le mie.
«Mi stupisce che una cosa del genere ti abbia buttata così giù. Non trovo parole nuove da dirti, ma sono passati tanti giorni» parlò con calma, posando le bacchette in mezzo agli spaghetti di soia e stringendo con entrambe le mani la mia. «Sai, non è una di quelle cose che tu dici, hey, non va bene! E cominci a piangere di botto. È che si parte da quello, poi ci pensi, ed una cosa tira l'altra, e finisco a piangere come una bambina» gli dissi, mettendo una mano davanti alla bocca perché ancora stavo masticando un raviolo.
Lui annuì, lo guardai in volto, ed i suoi occhi erano dolci di compassione.
«Cominci pensando, non riesco proprio a guidare! Ti urlano che devi bilanciare, altrimenti bruci la frizione. Ma io non lo capisco cosa devo bilanciare! Non riesco nemmeno a capire cosa fanno i miei piedi. Già lì, tu piangi di frustrazione, però un po' stai ridendo, perché è una situazione ridicola. Stai piangendo perché non riesci ad abbassare un piede ed alzare l'altro. Dopo, arrivi alla conclusione che non sai guidare, che è essenziale per essere indipendente. Non so guidare, e mi sento dipendente dagli altri, un parassita. Piango perché mi sento inutile» gli spiegai, sentendo i miei occhi farsi lucidi per l'ennesima volta, le lacrime gravare sulle mie ciglia inferiori.
«Potresti metterci tante settimane, per imparare a guidare» sospirò Felix, giocando col bracciale che avevo al polso. «Tante settimane, non sono infinite. Termineranno, quando lo saprai fare. Non è una gara, hai il tuo percorso, e devi seguirlo» continuò. «Ci metterai più tempo degli altri, ma avrai messo meno tempo a fare altre cose» alzò le spalle.
Deglutii rumorosamente, un boccone amaro.
«Ora, prenditi una pausa, non per pensarci, ma per non farlo. Dopo, ricominci da capo» inclinò la testa da un lato.
«Sì, grazie» asciugai una lacrima con la manica della mia giacca, e tirai sù col naso.
«Sono buoni, i gyuasang?» chiese dopo, ed annuii. Mi sentii come una bambina, ma non mi dispiaceva.

Finimmo di mangiare, mentre Felix mi raccontava che nel suo nuovo lavoro, in un negozio di saponi, ci entrava davvero tanta gente, e non se lo aspettava. Non era mai andato a comprare dei saponi in un negozio apposito, e nemmeno io, in realtà. Invece quelle persone sapevano proprio il fatto loro, con aromi, prodotti solidi e oli essenziali.

Alzandoci dal tavolo dopo avere lasciato i soldi, andammo verso il parco più vicino, i lampioni lo rendevano luminoso, nonostante ormai fuori ci fosse buio pesto.
Felix circondò le mie spalle con un braccio, il suo giubbotto era caldo. «Non preoccuparti, hai tutto il tempo che ti pare, e puoi essere una parassita finché vuoi» mormorò. Mi appoggiai col mento alla sua spalla, rigirandomi attorno al suo braccio affinché mi stringesse comunque. «Grazie» sussurrai, questa volta abbastanza vicino affinché mi sentisse.

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