diario sfogo // (p.s. richieste sempre aperte)

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Ciao, sono io, per voi sempre stata Cynda.
Credo di non essere mai stata chiamata Cynda, forse non mi appartiene proprio come nome.
Forse perché per scrivere ho bisogno del famoso estratto dalla lettera a Paul Demeny di Rimbaud "... je est un autre".
Mi è sempre piaciuto scrivere, molto più tardi ho imparato ad apprezzare la letteratura alla follia.
Non volevo parlare di me, in realtà: ma mi serve un'introduzione, altrimenti potreste pensare che io sia completamente fuori di testa.
Io sono "Cynda".
Ho diciotto anni, sono all'ultimo anno di liceo linguistico.
Nella vostra mente, io probabilmente non ho una forma.
Esisto sotto forma di lettere, dei vostri sereni sogni, magari anche un po' imbarazzanti, coi vostri idoli.
Oggi, ho un bisogno fortissimo di scrivere questa cosa. Questo bisogno è così forte da farmi stare male.
Per farvi capire cosa intendo però, ho bisogno che sappiate che io sono una persona, una in carne ed ossa, un umano fragile e pieno di lacune, che non ha capito proprio il nulla più assoluto dalla vita.

Esisto come persona piccola, infantile e assolutamente stupida: come è adatto esserlo a diciotto anni.
Ho preso la patente ma sono terrificante a guidare.
Appena ho ricevuto il mio bonus cultura ne ho speso quasi metà.
Quando rido inizio a tossire perché fumo ogni giorno.
Mi taglio e tingo i capelli di notte.
Mi rifiuto categoricamente di correggere la mia dizione nonostante io abbia un accento fortissimo del sud.
Adoro cercare le graduatorie nel sito della mia scuola e vedere quando sono nati i miei professori, per sapere la loro età ed il loro segno zodiacale.
Lo stavo facendo proprio ieri.

Mentre mi divertivo, ho trovato in una graduatoria un mio professore, uno giovane, giovanissimo.
Mi imbarazzo quando fa lezione e non lo guardo mai mentre spiega, a meno che non stia parlando con me.
È intelligentissimo, sa parlare tante lingue.
Ho sempre pensato che per quanto mi piacesse poco il suo essere così "spocchioso", sarebbe stato davvero una fortuna incontrare una persona come lui, un giorno. Studioso, impegnato, che ride fino alle lacrime sentendo Boris Johnson dire che Peppa Pig sembra un asciugacapelli disegnato da Picasso. Che legge l'Ulisse di Joyce come se fosse l'Amleto di Shakespear.
Che all'incontro scuola famiglia, disse a mia madre che accanto al mio nome aveva scritto "livello avanzato", che per lui era "come un cuoricino".

In quanto giovane, in graduatoria aveva un punteggio davvero molto basso.

Ho deciso di andare a cercare altre informazioni sul mio professore; in realtà volevo spulciare ancora nel suo vecchio Twitter per rileggere una lite che ha avuto con una signora: a dir poco esilarante.
Anziché trovare il suo Twitter però, ho trovato un annuncio fatto da una scuola molto importante, di circa due mesi fa.
La madre del mio professore se n'è andata in quel periodo: io lo sapevo già.
Ricordo che in classe, volevamo fargli le condoglianze, ma lui appena arrivato ha posato il suo zaino ed ha iniziato a parlare con noi di tutt'altro, cosicché ci sembrò poco consono parlare di qualcosa di così triste.
Nell'annuncio si dava l'addio alla signora, un'insegnante apprezzatissima di lettere e latino.
La scuola si stringeva al mio professore, a suo padre, ed a suo fratello.
Parlavano di come finalmente dopo anni di malattia, la professoressa avesse raggiunto il luogo così cantato nei classici, che finalmente poteva leggere nella più assoluta delle serenità.
Sono rimasta in catarsi, a fissare il muro davanti a me.
Sapevo che era morta.
Non sapevo chi fosse, cosa facesse, che fosse così apprezzata.
Quel giorno quasi duemila alunni sono rimasti in collettivo silenzio per un minuto.

Era sera, ho fatto una doccia, ho asciugato i capelli e sono andata a dormire.
Ho sognato il mio professore, che sorrideva.
Seduto su un banco, mi porgeva una mano, che io ho stretto forte.
Lui sorrideva.
In un'altra ambientazione, lui si avvicinava a me.
Mi chiedeva "Come va?".

Oggi mi sento in profondo lutto, e sicuramente il mio dolore significa qualcosa.
Non riesco ad immaginare cosa abbia provato il mio professore, svegliandosi un giorno e sentendosi dire "Non c'è più".
Non so, e forse non saprò mai, se ha pianto.
O se la pena è stata lenta e violenta, così violenta da renderlo immune e cancellare il ricordo di sua madre come persona più che mero vegetale.
Non riesco a smettere di pensare.
Mi rimugino, che io lo conosco poco, e non saprò mai se da quel giorno, lui è cambiato.
Se ancora piange.
Se non ha mai pianto.
Se ha urlato disperatamente cercando risposta.
Se un giorno, mentre frequento l'università, io potrò incontrarlo ancora, e capirlo meglio.
Oggi mi addoloro.

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