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Beatrix mi accompagna nella mia nuova camera. È una stanza piuttosto grande, con pareti di un grigio pallido che contrastano con il pavimento in legno scuro. Il letto, enorme e ricoperto di lenzuola bianche, sembra quasi un'isola di tranquillità in un mare di solitudine. Accanto al letto, un mobile basso con un vaso di fiori finti, di quelli che sembrano reali ma che in realtà non hanno mai visto un po' di sole. Un armadio grande, completamente chiuso, e una scrivania vuota che mi fa sentire ancora più lontana da ciò che era casa mia.

Mi butto sul letto a pancia in giù, lasciando che il cuscino assorba tutte le mie lacrime. Il mio cuore è pesante, e so che non è solo per il castigo. È per il senso di colpa che non ho mai chiesto di provare, per il fatto che non riconosco più la donna che ho davanti. La mamma che conosco non mi avrebbe mai messo in punizione. La mamma che conosco non mi avrebbe mai dato un ordine senza un motivo che potessi comprendere. È colpa di quest'uomo, ne sono certa. Se non fosse stato per lui, non sarei qui a piangere.

Bussa alla porta, e l'istinto mi dice di urlare "Sparisci!" ma so che non sarà ascoltato. Matheo entra comunque, sedendosi accanto a me sul letto. La sua presenza è la cosa che più di tutte mi fa sentire meno sola in questa casa che non sembra più la mia. "Domani torniamo a Hogwarts," mi dice, cercando di allentare la tensione. La sua mano calda si posa sulla mia schiena, ma non basta a fermare le lacrime che continuano a scendere.

"Perché l'ha fatto?" chiedo, fissando il soffitto, come se sperassi che una risposta venisse dal nulla. "Nostro padre è fatto così," mi dice, quasi con rassegnazione. Non c'è rancore nella sua voce, solo una triste consapevolezza che, in qualche modo, le cose non cambieranno mai. Lo abbraccio, e lui ricambia senza parole, accarezzandomi la schiena in un tentativo di consolarmi.

"Vieni, andiamo a pranzare," mi dice, cercando di farmi alzare. Resisto un attimo, ma poi mi rialzo, più per lui che per me.

Scendiamo in sala da pranzo, dove i nostri genitori sono già seduti. Non ci sono sorrisi, non ci sono parole affettuose. Ci sediamo nei posti di sempre, ma oggi non sembrano più gli stessi. Beatrix, l'elfa domestica, mi passa il piatto, e io le rispondo con un sorriso forzato, mentre mi sento osservata. "Non si ringraziano gli elfi domestici," mi rimprovera mio padre, con un tono che mi fa venire voglia di alzarmi e uscire dalla stanza.

"Si invece," ribatte mia madre, mettendo un freno alla sua durezza. Mi rendo conto che la mia mamma è ancora la stessa, ma è come se avesse indossato una maschera, una maschera che non voglio vedere. "Si chiamano domestici solo perché schiavi suonava brutto," dice mio padre con disprezzo. "Mi sembra che ti ho fatto studiare anche storia."

"Si, e la schiavitù è stata abolita nel 1865," risponde mia madre, ma la tensione continua ad aleggiare nell'aria.

"Non nel mondo magico," ribatte lui, con un'aria di superiorità che non posso sopportare. "Domani tornerete a Hogwarts." aggiunge poi guardando me e Matheo.

"Ma io ho l'appuntamento dal tatuatore domani!" ribatto sperando che non venga uccisa solo con lo sguardo.

"Ne abbiamo già parlato," dice lui, e il suo tono lascia poco spazio alla discussione. "Non farai nessun tatuaggio."

"Ma ho promesso a Clarissa che lo faremo insieme," rispondo, sentendo la frustrazione crescere dentro di me.

"E allora informala che non puoi," dice mio padre, con quella sua solita autorità che non lascia spazio a dubbi o discussioni. È come un disco rotto che non smette mai di ripetersi. La sua voce è così ferma, così tagliente, che quasi mi sembra di poterla toccare.

"Ma come VISTO CHE MI HAI INCENDIATO IL TELEFONO!" urlo, non riuscendo più a trattenere la rabbia che monta dentro di me. È il punto di rottura. Se non sfogo tutto in questo momento, sono certa che scoppierò come una pentola a pressione.

Riddle's: stepbrotherDove le storie prendono vita. Scoprilo ora