1. Bastone e carota

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Aprile 2019

Oggi è il mio giorno

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Oggi è il mio giorno.

Siccome lo è, decido io. Non fa una piega, no? Perché, per una volta che sono decisa su qualcosa, lei deve insinuarmi il tarlo del dubbio nella mia già travagliata mente?

Credo che nessuno al mondo abbia la risposta a questo antico quesito. Un arcano ormai consolidato da tempo, proprio come l'avversione al dialogo di prima mattina.

«Non so se poi a Jessica le piace.»

«Ma', per favore. Ho detto corbezzolo e zucchero di canna. Tu non ti preoccupare.»

Mi fissa dall'altra parte del tavolo in legno di ciliegio della cucina, con gli occhi azzurri che ho ereditato pure io – tante grazie genitrice, almeno una cosa buona me l'hai lasciata, oltre all'ansia intrinseca. Corruga le sopracciglia sottili, e si ravvia i capelli castani lisci, del tutto simili ai miei.

«Poi, non capisco il perché dei "cinque mesi". Non ha molto senso. Non potevi aspettare i sei? Che ne so, almeno era cifra tonda.»

Io lo sapevo, che la scusa non reggeva. Lo sapevo. Se non altro, è stata proprio maldestra a buttarla sui numeri. I numeri sono il mio campo. La rigiro come mi pare! Dopotutto, sono un'informatica, suvvia. Certo, un'informatica fallita che anziché programmare scontorna le fotografie con Photoshop... Però vabbè, mica si può avere tutto dalla vita.

«No, ma'. Cinque è cifra tonda, non sei. Cinque è la metà di dieci, che è la base del nostro sistema di numerazione.»

«Ma un anno ha dodici mesi, la metà è sei.»

«Lasciamo perdere, per favore. Questa discussione non ha senso. Ti ho chiesto un favore, se ti scoccia farmelo dillo senza girarci intorno.»

Mia madre sospira. In fondo è buona. Molto in fondo.

«E sia. Corbezzolo e zucchero di canna. Quando passi a prenderla? La macchina funziona bene, ora?»

Mentre addento l'ultimo morso di fetta biscottata, inzuppata nel latte freddo, mi alzo di scatto dal tavolo spostando la sedia. L'occhio mi cade oltre la finestra, sulle verdi foglie dell'ulivo piantato nella piccola aiuola davanti a casa che mia madre si ostina a chiamare "giardino". I raggi dorati della mattina filtrano oltre le fronde. È tardi. Devo darmi una mossa. No, non è vero. Non è mai tardi. Sono sempre in anticipo, io. Come si conviene a un'ansiosa cronica. Ma voglio darmi una mossa lo stesso. Trangugio ciò che resta nella tazza e la getto sul lavello.

«Funziona tutto. Cioè, l'accendo, va in moto, e se premo l'acceleratore si muove in avanti. Non mi serve altro. Per quanto riguarda il favore... Passa Jess verso le cinque e mezzo, va bene? Ciao ciao!»

Schizzo in bagno per lavarmi i denti, e poi via verso l'avventura. Sulla soglia di casa, poco prima di chiudere il portone, la sento borbottare sottovoce. Giurerei di aver udito le parole "figlia" e "demente" un po' troppo accostate fra di loro. Ma in fondo, è buona. Molto in fondo.

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