17. Caduta libera

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Tre giorni.

Sono passati solo tre fottuti giorni dalla serata alla luppolaia di Corpolò, e già mi sono pentita. Non solo di aver accettato di prendere parte a una sciarada malsana, che forse era ovvio e prevedibile, ma anche di essere nata.

Tre giorni per mandare all'aria quel poco di serenità raggiunta a fatica in settimane.

Le porte a vetri scorrevoli dell'azienda riflettono la luce del primo mattino. Entro e sorrido alla centralinista, come sempre... ma non mi dirigo al mio vecchio ufficio. Vado dritta, oltre la porta antincendio, verso i laboratori a fianco della produzione.

Alla fine è successo. Sono una programmatrice anche io, ora. Per giunta, con regolare contratto a tempo indeterminato. Dovrei essere contenta, dovrei sprizzare felicità dai pori, come un gioioso delfino che salta fuori dall'acqua dell'oceano al tramonto, disegnando una arco argenteo sopra il disco solare all'orizzonte. Invece, oltre a essere in ansia per il mio nuovo ruolo, devo anche lavorare a stretto contatto con la mia arcigna nemesi, ora resa furente da due sentimenti infidi come le vipere nascoste sotto ai sassi del fiume Marecchia.

Gelosia di non essere riuscita a conquistare Luca, mentre io sì. Invidia di non sapere riconoscere e correggere errori nei programmi delle macchine, al contrario di me.

La mia nuova postazione è un banchetto mobile con un computer portatile appoggiato sopra, e il prototipo di un quadro elettrico con un PLC usato nella gran parte dei nostri prodotti. Posso spostarmi nel laboratorio pieno di macchine, e andare dove serve per sviluppare i programmi e correggere i bug. Sarebbe una figata, se non fosse che nello stesso laboratorio ci lavora anche Sabrina, e questo purtroppo moltiplica le nostre occasioni d'incontro.

Avrei dovuto pensarci meglio, quando Luca mi ha proposto di far finta di essere la sua fidanzata per levarsela di torno. Avrei dovuto far mente locale al fatto che poi me la sarei ritrovata fra i piedi al lavoro tutti i santi giorni.

Invece no, diamo retta alla solita impulsività. Ecco cosa succede, dopo.

«Buongiorno, collega.»

La voce tagliente come un rasoio esce fuori dalle labbra piegate in un sorriso falso come una banconota da tre euro.

«Ciao, Sabrina.»

«Una volta mi chiamavi Sabri. Va bene, lasciamo perdere. Senti, che ne diresti di portare un piccolo rinfresco per festeggiare la tua promozione? Tipo, un paio di vassoi di pasticcini? Anzi no: delle paste, quelle grandi con la crema dentro.»

Mi mordo la parte interna della guancia, cacciando indietro una risposta acida. O meglio, un insulto inaccettabile in un posto di lavoro.

«Devo proprio?»

«No, nient'affatto, nessuno ti costringe. Devi farlo solo se non vuoi sembrare stronza e tirchia. Ah, già, lo sei.»

«Non sono tirchia. Domani porto le paste.»

«Allora, magari non sei taccagna, ma ammetti di essere stronza.»

Sospiro, e stringo i denti. Se sta cercando di farmi impazzire, credo proprio che ci sia riuscita già alle otto del mattino.

«Sì, lo sono. Contenta?»

«No.»

Prevedo problemi, persino più grossi di quelli che immaginavo. Prima che possa rispondere, però, una voce alle mie spalle interrompe la nostra pacifica conversazione.

«Denise, Sabrina, stamattina ho subito un task per voi due. Appena siete operative venite nel mio ufficio che vi spiego tutto.»

Il mio nuovo capo. Un uomo sulla quarantina dai metodi educati, ma un po' troppo ossequiosi. Anonimo, privo di fascino e poco carismatico, è comunque un genio dell'automazione informatica, a quanto dicono. In fondo, è innocuo, ma guarda un po' troppo in giù quando ti parla... Per questo motivo, niente scollatura per me stamattina, anche se fa caldo nel laboratorio, a metà giugno, con tutta la strumentazione accesa.

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