11. Riscatto

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Al termine di una settimana piovosa, i raggi solari fendono il cielo sereno scaldando l'aria. Dopo giorni di ansia, attesa e insicurezza, il sorriso si forma sul mio volto.

«Sicura che non soffri di vertigini?»

«Ma per chi mi hai preso? Ovvio che no. Sono una tosta.»

E chi glielo spiega, a Steve, che in realtà un po' ne soffro? Non di certo io. Non di certo adesso che mi ha invitato a uscire, dopo alcuni giorni di silenzio fra noi, con i telefoni muti come pesci e sensazioni spinose che avvolgevano il cuore.

Mi ha chiesto di uscire come si conviene, con tutti gli onori del caso. «Ho un'idea per sabato, ti va di fare un giretto con me in un posto fenomenale?»

Come si fa a dire di no?

La strada a quattro corsie che collega il casello di Rimini sud all'antica terra delle libertà è piena di auto e semafori. Come un serpente, si snoda su per la salita, dapprima leggera, poi sempre più ripida. Il monte di San Marino è un sasso troppo cresciuto che domina dall'alto le colline romagnole che lo separano dal mare. Incute così tanto timore e rispetto che persino Garibaldi è sceso a patti per non invaderlo, durante l'unificazione d'Italia. Almeno, così dice la storia, anche se qualcuno sostiene che i sammarinesi l'abbiano corrotto in maniera subdola, promettendo chissà cosa sotto banco. Che sia invidia o meno, non sta a me deciderlo. La cosa certa è che lo strapiombo è piuttosto alto, e non è che sia proprio tranquillissima al pensiero di affrontarlo.

«Pensi di dirmi cosa hai in mente, oppure mi tieni sulle spine fino all'ultimo?»

Steve sorride, scoprendo i denti bianchissimi. Le mani grandi solcate da vene stringono il volante, le dita dalla salda presa scendono sul cambio, mettono la prima per ripartire dopo il rosso.

«Ti tengo sulle spine fino all'ultimo.»

«Grazie. Semplice e conciso. Almeno, mi metto l'anima in pace.»

In realtà, il cuore scalpita al pensiero che lui abbia fatto un programma per me. Certo, l'ansia mi divora, ma tutto sommato è un prezzo sopportabile da pagare per avere la sua attenzione per una giornata intera. Non sto più nella pelle.

«Ci siamo quasi.»

Affrontiamo le ultime curve in salita, i tornanti d'asfalto curato, le pietre dei muretti coperte di un velo di muschio, solo sul lato nord, rimasuglio delle ultime piogge primaverili dei giorni scorsi. L'aria è frizzante, il cielo terso e l'orizzonte nitido. Steve ferma l'auto, io volgo lo sguardo al monte Titano, che si staglia come un gigante sopra di noi. Capisco al volo la prima tappa del tour non appena scorgo i cavi d'acciaio penzolanti nel vuoto che corrono dritti sopra le nostre teste, sospesi come in un sogno fra l'azzurro della volta celeste e il verde lussureggiante della vegetazione selvaggia sulla rupe.

«Okay. Vuoi prendere la funivia.»

Le labbra carnose di Steve si piegano in una smorfia preoccupata. «Lo sapevo, soffri davvero di vertigini.»

«No, nella maniera più assoluta. E non farmelo ripetere» sbotto con un po' troppa foga, mordendomi la lingua subito dopo.

Lui scoppia a ridere e allarga le braccia. «Bene, allora qual è il problema?»

«Nessuno. Basta che quell'aggeggio non balli troppo, e non ci sarà alcun problema.»

«Dai, è una corsa brevissima.»

Mi affretto a seguirlo lungo una stretta curva in discesa, che disegna un semicerchio perfetto intorno alla stazione di Borgo Maggiore, quella più a valle della struttura. Un edificio dalle linee accattivanti e dagli infissi dipinti di verde scuro, con un giardinetto ben curato, e tutta una serie di dettagli che distolgono l'attenzione dal fatto che si tratta, in sostanza, di uno scatolotto di cemento. Per non parlare delle cabine vere e proprie della funivia: ovetti affusolati dai vetri scuri ma fin troppo trasparenti, con i bordi bianco-azzurri come i colori dell'Antica Repubblica. Sebbene ostentino modernità e affidabilità, non mi sento per nulla sicura.

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