7. Marachella

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Ora, se io dovessi spiegare a un estraneo cosa mi dà davvero fastidio, mi troverei in difficoltà.

Perché sulla carta sarebbero tante, troppe cose. Sono ansiosa e un po' paranoica, quindi mi infastidisce tutto ciò che non posso controllare, oppure che mi innesca pensieri strani che poi partono per voli pindarici infiniti.

Tuttavia, all'atto pratico, ho un livello di sopportazione abbastanza alto. Conservo quasi sempre un minimo di ragionevolezza. Magari mi infastidisco, ma non divento una bestia feroce assetata di sangue umano.

Quasi mai, almeno. Ci sono sempre delle eccezioni.

Un drappello di persone intorno a una ragazza isterica, a bordo dell'acqua, a poche decine di metri da noi, confabula gesticolando come se non ci fosse un domani. Come se fossero al mercato, o in tribunale, o in chissà quale posto in cui ci si possa arrabbiare in quel modo per un motivo che, ci scommetto il mio bellissimo e pagatissimo posto di lavoro, è più futile di andare a tirare una secchiata di sabbia nel deserto.

Steve aggrotta la fronte. «Quello è Luca.»

Io annuisco, ma in realtà non vedo bene da lontano. Cerco di ignorare il problema da mesi, anche se ormai è evidente. Ora è un brutto momento per pensarci. Proprio pessimo, direi.

«Ma è quella tipa isterica che urla» aggiunge.

Il sole si nasconde dietro una nuvola minuscola, giusto per qualche secondo, e io riesco a guardare senza strizzare gli occhi come mister Magoo.

Il cuore mi si ferma di colpo. Il sangue schizza al cervello, pompando adrenalina e stupore in tutto il corpo, che ribolle all'improvviso. L'umore si infiamma di nuovo, dopo essere passato nel giro di pochi istanti dall'eccitazione alla disdetta, fremendo di cieca rabbia.

Non ci posso credere. Non può essere vero.

«Dovrebbe darsi una calmata» obietta Steve, mentre avanza a passi veloci verso il gruppetto di persone davanti a noi.

Lei urla, scalcia isterica e si divincola dalle braccia e dalla mani che cercano di tenerla ferma.

«No... Dovrebbe impiccarsi lasciandosi penzolare inerme dall'Arco di Augusto, altro che!»

«Cosa?»

«Niente.»

Non può essere davvero lei. Mi rifiuto di crederci.

Io sono come un toro, penso. Solo che invece che impazzire quando vedo il rosso, esco di testa con il biondo. Unito agli occhi chiari glaciali, poi, è qualcosa che mi innesca l'ira funesta del Pelide Achille, guarda.

A pochi metri dall'acqua, fra i sassi levigati dal Marecchia, provati dalle piene invernali, dal caldo sole e dalla siccità estiva, la ragazza isterica indica qualcosa, puntando il dito verso il terreno.

Una creatura semovente agita la coda squamosa, dimenandosi fra le pietre, sotto il peso di un bastone che la tiene prigioniera.

La testa affusolata, il verde dorso lungo e sottile, la lingua che esce dalla bocca morente. L'animale soffia e lancia gli ultimi disperati respiri gonfi di dolore.

Pochi istanti dopo perisce, abbandona il mondo crudele in cui non ha scelto di nascere – non di certo in quella forma oblunga tanto orrenda e raccapricciante.

Sento un brivido che mi percorre la spina dorsale.

«È morta, calmati!» le dice un ragazzo, gesticolando come un ossesso.

«Non mi importa un accidente! Voglio sapere chi è stato a portare qui quel mostro!»

«Guarda che era una normalissima serpe, non fa nulla.»

Zero di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora