2. Fuga di notizie

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L'insonnia ha almeno un lato positivo, se abiti nella riviera adriatica.

Il sole è un disco tiepido che fluttua sulla linea tra orizzonte e mare, dipingendo l'acqua di tenui sfumature rosate. La sabbia è umida e il cielo sereno, le ultime stelle salutano il mondo lasciando spazio all'aurora lucente.

Se abitassi a Livorno, tanto per dire un posto a caso, non vedrei tutto questo. Il mare sarebbe dalla parte sbagliata. Che ingenui i toscani, che non hanno pensato a questo piccolo dettaglio. Vedono i tramonti: sì, bravi, bella roba. Mainstream. Sono capaci tutti. Vedere l'alba invece è da vere campionesse. Oppure da ansiose, come me.

Che poi, servisse a qualcosa, almeno. Dopo quello che ho saputo ieri sera, dopo la notte insonne, il cuore mi ribolle. Non c'è verso di stare calma, nemmeno correndo sulla spiaggia all'alba del sabato mattina.

Meno male che esistono i Teenage Bottlerocket.

Con They Came From the Shadows negli auricolari, i pantaloncini neri aderenti e il top bianco a croce sulla schiena scoperta, corro sulla spiaggia come una maratoneta. Dalla foce del Marecchia, verso Viserba. Le Vans ai piedi, le calzette corte, il cappellino da cui esce la coda di cavallo castana. Che figa, che sono. Seconda abbondante di seno. Fisico perfetto. Be' dai, quasi. Perché non mi vuole nessuno?

«Perché non ti metti sul mercato, stupida!»

Ecco, la voce di Jess che mi tormenta anche quando sono sola.

Ma dico io, che sono, un pesce appena pescato? O una cassa di frutta fresca? Mi devo mettere sul mercato? Andiamo!

Ma non è tanto per questo che sono arrabbiata. È per l'altra cosa. È tutta colpa di David. Mamma mia quando lo becco che sedere a strisce che gli faccio. Come si è permesso? Come ha potuto?

Corro sulla spiaggia, di prima mattina. Verso nord, verso Viserba. I palazzi alla mia sinistra, tre o quattro piani di infissi regolari, le mura tinte di rosso mattone, di rosa, di bianco panna. Il mare alla mia destra, la bassa marea, gli scogli levigati poco distanti dalla riva, formati da pietre che scintillano sotto i raggi rosati del sole che sorge.

La sabbia si estende a perdita d'occhio davanti a me. Pochi passanti mattinieri, alcuni corrono, altri portano a spasso il cane o se ne vanno in giro solitari. Rimini si sveglia, a primavera, in questo sabato di fine aprile che profuma già un po' di bella stagione.

Concentrati, Denise. Pensa a come torturare David. Il fratellino di Jess, tanto carino quanto esuberante, accidenti a lui.

Ho un'idea malsana. Proprio perversa.

Ci vado ora. All'ingresso delle scuole superiori. Lui fa il quinto, l'anno della maturità. Ci vado sudata e mezza nuda, come sono. Al liceo scientifico a Viserba. Sabato mattina, alle otto. Fra meno di un'oretta. Lo fermo davanti ai suoi amici e gli faccio fare una figura di merda.

Aspetta, però, poi la figuraccia la faccio io.

Le Vans macinano metri su metri, affondando di poco sulla sabbia umida, lasciando il segno dietro di me. Il cervello ronza, come le macchine che costruiscono i miei colleghi al lavoro. Le macchine che tagliano il legno, la ceramica, la lana di vetro. Le macchine che io dovrei programmare! E invece scontorno con Photoshop e basta.

Insomma, il cervello ronza. Ci vado. No, non ci vado. Oh Signore, sì che ci vado. Non devo farmi mettere i piedi in testa da un ragazzo. Diciannove anni e un ciuffo di capelli neri troppo lungo sulla fronte pallida, il sorrisetto vispo, gli occhi scuri e intelligenti, gli stessi della sorella.

Deve stare al suo posto, quel damerino. Io ci vado.

Esco dalla spiaggia a passo spedito. Guardo a destra e a sinistra all'incrocio, senza neanche fermarmi – tanto chi vuoi che passi a quest'ora del mattino? – e attraverso la strada. Le Vans veloci sull'asfalto, il sudore che cola sulla pelle accaldata.

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