5. Locomotive a vapore

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Luci vivide di un giallo intenso fanno risplendere il parquet tirato a lucido del Palasport Flaminio. Legno lustro e scintillante, dove la palla rimbalza con lo stesso ritmo forsennato del cuore che mi martella nel petto.

Ho la bava alla bocca. Mi sforzo di non far trapelare niente, ma David già sta ridendo, quello sbruffone. Per fortuna che Raffaele interviene, distogliendo l'attenzione generale dallo stato in cui verso. Non so se lo fa apposta, ora che ci penso... L'importante è che lo faccia.

«Steve va in doppia tripla stasera, me lo sento. È incontenibile!»

Le tribune, disposte ai quattro lati del rettangolo di gioco, sono piene di persone, le cui urla aumentano la cacofonia del palazzetto a livelli eclatanti.

«Ce la potrebbe fare» dichiara David.

Le scarpe calpestano il parquet luccicante, dove giganti sudati dalle braccia possenti si rincorrono contendendosi la palla a spicchi. Casacche bianche e rosse per i nostri, il glorioso Basket Rimini. Canottiere gialle per gli avversari, la Pallacanestro Fiorenzuola. Ultimo incontro della regular season del campionato di Serie C dell'Emilia-Romagna, con il Rimini già in testa alla classifica, e un posto assicurato ai play-off.

«Anche perché ci ho pensato io, a caricarlo prima della partita» continua David. «Gli ho detto alcune cose su Denise, ad esempio che...»

Con un gesto fulmineo il mio braccio scatta di lato, tappandogli la bocca prima che possa finire la sua oscena frase. Con un po' più di impeto del necessario, forse. Ma non si deve permettere!

Lui mugugna mentre tenta di parlare, io mantengo la mano premuta sulle sue labbra umide di illazioni capziose.

E cosa succede? La cosa più incredibile. Da non credere.

Jessica. Sua sorella. La mia migliore amica. Colei che dovrebbe sempre essere dalla mia parte e difendermi a spada tratta. La figlia maggiore che dovrebbe istruire e redarguire il fratello minore quando il suo comportamento viola i più sacrosanti diritti umani. Insomma, proprio lei, che fa?

Si mette a ridere. Di gusto, poi. Inaudito e inaccettabile.

«Jess, se non la smetti ti strozzo con le mie mani. Giuro.»

Per tutta risposta, lei continua a sghignazzare, mentre suo fratello si libera dalla mia morsa. È una congiura.

«Stavo solo per dire che è ansioso di conoscerti.»

«Aspetta un attimo» lo fermo subito, cercando di riprendere il controllo e cambiare discorso. «Raffi, perché lo hai chiamato Steve? Si chiama Gabriel, se non ricordo male.»

Raffaele scuote la testa. «Quello è il suo vero nome, ma tutti lo chiamano Steve. È l'abbreviativo del cognome, Stevenson.»

«È italo-americano?»

«Esatto. Madre italiana e padre statunitense, cestista di buoni livelli, fra l'altro.»

In campo, la partita si infiamma. I nostri sono avanti di diversi punti. Non posso fare a meno di fissare il famoso Steve. Non riesco a pensare a nulla che non siano le grandi mani color cioccolato, con le vene in rilievo per lo sforzo, che si diramano come strade in una cartina geografica.

Le braccia sono imperlate di piccole gocce che scorrono lente e inesorabili lungo i bicipiti, lasciati scoperti dalla canottiera bianca e rossa che copre troppo poco.

Le gambe lunghe, fasciate dagli shorts, percorrono il parquet veloci come quelle di una pantera in una foresta tropicale. Il collo mostra il pomo d'Adamo, il mento un accenno di barba corta e curata. Gli occhi hanno le iridi scure come la notte, e le sclere bianche come il latte. Per finire, i capelli afro, ricci e non troppo lunghi, disegnano una superba criniera attorno al capo del selvaggio leone.

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