16. Fusti rampicanti

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Io non impreco mai. Mi ritengo una persona raffinata.

Persino quando sono arrabbiata e litigo con la gente, uso sempre insulti eleganti e ricercati. Oddio, forse non sempre, ma la maggior parte delle volte.

Il problema, però, sorge in casi come questo, in cui non c'è un colpevole contro cui sfogarsi. Con chi me la prendo? Con l'Universo intero? No, troppo generico. La sfortuna maledetta? Troppo squallido. Io voglio una persona in carne e ossa, una figura, o un'entità qualsiasi contro cui inveire lanciando fulmini con gli occhi bianchi e luminosi come Tempesta degli X-Men.

Il sole è un disco infuocato che balla sull'orizzonte, oltre gli altissimi filari che dominano il campo davanti ai miei occhi. Striscioline verdi ornate di foglie a tre punte seghettate si alzano dal terreno lungo i fili appesi, inclinati secondo un angolo preciso, e si accendono di arancione grazie alla luce del sole morente.

Con uno spettacolo così bello davanti agli occhi, mi risulta un po' più facile non pensare al mio problema. Almeno, fintanto che non lo verrà a sapere Luca. Mi auguro che non succeda.

Sono le nove meno dieci della sera, e al bordo del campo regna un vociare sommesso. Lo spiazzo a fianco ai filari di luppolo va riempendosi di persone che affollano il bar, allestito sopra un vecchio tavolo dove i fusti si svuotano alla svelta. La gente ha sete, e la birra artigianale è buonissima.

Fra la baracca e i filari c'è anche un piccolo palco, dove i musicisti hanno già approntato la strumentazione. Suonerà un gruppetto punk della zona. La cantante è una tipa con le calze a rete strappate e un milione di piercing ovunque che sta scolando birre come se non ci fosse un domani, ma anche gli altri membri del gruppo non sembrano affatto astemi.

«Li conosci?» chiede Luca, seduto vicino a me sull'erba con la birra in mano.

«No, ma promettono bene. Anche se non so come faranno a reggere gli strumenti, con tutto quello che si stanno bevendo.»

Il tono di stizza celato nelle mie parole non gli sfugge.

«Mi sembri arrabbiata.»

«Lo sono, ma non con te, tranquillo.»

«E con chi, allora?»

«No comment.»

Il suo volto rimane espressivo. Non so come faccia, davvero, dovrebbe giocare a poker. Sarebbe un asso, con le sopracciglia immobili e gli occhi freddi, impenetrabili. Stasera è ancora più figo del solito, ha un velo di gel sui capelli corti tirati indietro in ordine, e la barba corta e curata attaccata alle basette segue le line marcate della mascella.

Tuttavia, non riesco a rilassarmi, ho i nervi a fior di pelle.

«Non sarai arrabbiata con il nostro obiettivo?»

«No, figurati, lei mi è del tutto indifferente. A proposito, l'hai vista?»

«Non ancora, ma verrà, fidati. È stata la prima a mettere "mi piace" al post dove dicevo che sarei venuto qua stasera.»

La birra scende ristoratrice giù per la gola, fresca e luppolata come si deve, amara, ma con un retrogusto fruttato ottimo.

Mi ritrovo coinvolta in questo gioco che non voglio, solo perché il ragazzo che l'ha proposto è un pezzo da novanta. Per giunta, ho questo problemino aggiuntivo che non ci voleva proprio.

Ecco Sabrina, è arrivata. Non ci ha ancora visto, o ha fatto finta di non vedere, ma non potrà ignorarci per molto.

Seduti fianco a fianco sull'erba, con le gambe incrociate e le braccia appoggiate sul manto verde, io e Luca osserviamo la bionda di spalle, a dieci metri da noi, davanti al palco.

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