Capitolo 7 Jace: Villaggio

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Jace si svegliò sotto ai rami di un grosso albero. Era vivo. Non poteva credere di essere ancora vivo. Ma lo era. Stanco, dolorante, ma vivo.
Si alzò lentamente, facendo presa sulla corteccia ruvida. La testa gli girò non appena fu in piedi.
Si appoggiò con tutto il peso all'albero e ansimò, cercando di non vomitare. Sentiva un nodo allo stomaco e il dolore alla spalla non accennava a diminuire.
Era mattina, Jace lo capì dalla brezza fresca e dalla nebbiolina bassa. Il sole era appena sorto e ancora non riusciva a scaldare il bosco.
Accompagnato dai canti degli uccelli mosse i primi passi. Avrebbe voluto sdraiarsi e dormire, ma il pensiero dell'elfa glielo impediva. Non aveva idea di dove fosse, forse stava cercando ancora May. Doveva trovarla per primo, se non era già troppo tardi.
Purtroppo camminare non gli portò alcun beneficio. Si doveva fermare ogni pochi minuti per riposarsi e ogni passo gli costava parecchie energie. Sentiva che dentro di sé la forza iniziava a tornare, ma ogni passo era un suplizio. Per fortuna non era lontano dal villaggio. Si era fatto una idea, seppur vaga, di dove si trovasse e sarebbero dovute bastare al massimo due ore camminando così lento per raggiungerlo.
Per fortuna non dovette mai scoprirlo.
Proprio quando stava per sedersi e risposarsi, quando le energie si esaurirono, sentì un grido provenire davanti a sé.
All'inizio ebbe un'istintiva paura e su ritrasse, pronto a scappare in ogni modo, ma poi vide davanti a sé un gruppetto di uomini armati di forconi. A guidarli c'era Farrell, che lo raggiunse con un gran sorriso - sei vivo! - esclamò abbracciandolo.
Jace si sentì svenire - più o meno -
Lui lo ignorò - avanti ragazzi, aiutatemi! - gridò agli uomini che li osservavano. Due di loro presero Jace sotto le ascelle e lo alzarono.
Jace cercò di protestare, ma la verità era che non sarebbe riuscito a camminare da solo ancora per molto. Così si limitò a ciondolare tra i due uomini che lo sorreggevano, quasi come se fosse addormentato.
Sentì quando arrivarono al villaggio solo grazie ad uno stridulo grido che lo riscosse dal torpore.
Alzò di scatto la testa e si trovò faccia a faccia con Mary, che lo accarezzava sul viso.
- povero piccolo, vieni con me - disse facendo un segno.
Lo trasportarono attraverso le polverose vie del villaggio, dove la gente camminava avanti e indietro, come se fossero in un formicaio. C'era troppa attività, anche per i giorni di lavoro.
- cosa succede? - chiese con la voce debole.
Mary gli lanciò un'occhiata piena di compassione - non preoccuparti, va tutto bene - disse facendo un gesto ai due uomini che lo portavano di cui non riusciva a ricordarsi i nomi - devi solo riposare -
Jace riprese coscienza poco dopo, sdraiato nel letto di Niar. Sapeva che l'avevano portato lì e lasciato a dormire, ma aveva solo vaghi e confusi ricordi.
Si alzò. Aveva la spalla ferita bendata e altri graffi e piccoli tagli erano stati medicati. Nulla avevano potuto fare per i lividi, che gli coprivano tre quarti del torso. Il taglio sull'addome, di cui Jace aveva ignorato l'esistenza fino a quel momento, era cucito e coperto da un sottile strato di unguento giallastro. Era una ferita piuttosto brutta, ma regolare a differenza degli altri tagli. Doveva avergliela inflitta l'elfa, ma nella confusione e con il veleno in corpo non l'aveva sentita.
Riusciva a stare in piedi, per fortuna, anche se le gambe sembravano due ciocchi di legno, rigide e vecchie. Raccolse una camicia, chiaramente di Sora, e la indossò. Gli andava grande ovviamente, ma era un bene, non toccava continuamente le ferite. Prima di scendere si guardò allo specchio. Qualcuno l'aveva lavato, ma i capelli rossi sembravano spenti e gli occhi erano di un verde pallido, diverso dal solito colore brillante. Era orribile, con le occhiaie enormi e il volto scavato.
Scese le scale di legno cercando di fare meno rumore possibile, ma purtroppo inciampava ad ogni scalino, finendo per colpire con forza quello sotto con un gran tonfo.
Ai piedi della scala, in fondo al piccolo corridoio, c'era una luce che filtrava dalla stanza da pranzo, che non veniva quasi mai usata.
Jace si avvicinò piano, sentendo già da lì parole incomprensibili provenire dall'altra parte. Stavano discutendo animatamente.
Poi Jace non riuscì più a trattenersi ed aprì la porta.
All'interno, al lume di candela, erano seduti Fhort, Mary, Sora, Thea, Niar e i genitori di Sora, Mirta e Mistro.
Lo guardarono per qualche istante prima di esplodere.
- dovresti essere a letto! - esclamò Thea alzandosi.
Fhort la bloccò - se riesce a stare in piedi tanto meglio, Thea. Dobbiamo discutere con lui di cosa succederà adesso -
Jace annuì e fece qualche barcollante passo verso la sedia che Mary gli aveva già tirato indietro.
Si sedette con sollievo. Aveva quasi voglia di vomitare, se non fosse che non aveva nulla in corpo - continuerò con il mio piano, andrò via con May -
- non sei in grado neanche di muoverti - disse Mirta - non puoi partire -
Jace scosse la testa - ora sono solo un po' stanco, l'elfa che mi ha attaccato voleva veramente uccidermi, ma fra poco... -
- l'elfa che voleva ucciderti? - chiese Thea interrompendolo. La sua voce si era fatta acuta.
- sì, nel bosco. May deve avervelo raccontato -
Si scambiarono un'occhiata - no, Jace, non ci ha detto nulla - Niall sospirò - quasi non ha parlato -
- dov'è adesso? - chiese Jace.
- dorme, ma non preoccuparti per lei. Piuttosto, raccontaci cosa è successo - disse Mary con la sua solita voce dolce.
Jace raccontò molto brevemente cos'era successo, cercando di non tralasciare nulla. Gli faceva bene parlare, sentiva come un fiume che gli usciva dalla bocca e che lo faceva sentire meglio ad ogni parola.
Quando terminò calò per alcuni istanti il silenzio.
- facci capire bene - disse Niall gesticolando come un matto - tu hai avuto la possibilità di uccidere l'elfa, che ti voleva morto, ma l'hai invece aiutata a non cadere -
Jace annuì - non... Ho visto il terrore nei suoi occhi -
- certo! - esclamò Thea - perché stava per morire -
Jace strinse le spalle - non so cosa mi sia accaduto, ma sentivo di non poterla lasciare morire. Non sono un assassino -
- ragazzo - disse Fhort con la barba che tremava - un assassino uccide gli innocenti. Lei era un'assassina, tu ti stavi solo difendendo. Avevi il diritto di lasciarla cadere -
Jace abbassò lo sguardo - ma neanche lei mi ha ucciso, dopo. Credo anzi che mi abbia spostato al riparo dell'albero dove mi sono svegliato -
Di nuovo un momento di silenzio.
- tornerà a cercare May - sussurrò Thea - e forse non sarà sola -
Fu l'ultima cosa che Jace riuscì ad ascoltare prima di perdere interesse nella conversazione. In ogni caso, qualunque cosa decidessero, lui voleva e doveva partire. Non avrebbe lasciato che il villaggio venisse distrutto e neanche che May venisse presa.
E soprattutto doveva trovare Yur. Non aveva intenzione di lasciare andare neanche lei.
Così distrattamente lasciò che parlassero tutta la notte, fino alle prime luci dell'alba.
Allora, e solo allora, si alzò, salutò tutti e uscì all'aria aperta. Aveva bisogno di stare un po' da solo per calmarsi e decidere dove andare. Quando partire. E soprattutto come fare a non farsi prendere dagli elfi.
C'era un unico modo, o meglio un'unica persona, che potesse aiutarlo.
Scese dal porticato della casa e si diresse lentamente, trascinando un piede dopo l'altro nel fango, verso il centro del villaggio, dove abitava la vecchia Fere, l'unica che possedeva dei libri nell'intero paese.
Salutò qualche ragazzino che già giocava nelle strade. Probabilmente nessuno aveva dormito, quella notte. L'ansia e la paura doveva aver tenuto tutti svegli.
Arrivò nel centro, alla piccola e fangosa piazza, circondata dagli edifici più vecchi. Erano case come le altre, ma invece di essere basse e larghe, con grandi giardini per il pollame, erano alte e strette, una attaccata all'altra. Jace sapeva che erano state costruite così durante le Grandi Guerre, cinquecento anni prima. In quel modo, costruendo case in muratura, i villaggi riuscivano a difendersi meglio. Le uniche entrate della piazza erano due, strette e le case non avevano finestre nei muri che davano dalla parte opposta della piazza. Erano come delle mura.
Jace si diresse verso quella che sembrava la più vecchia delle case. Era costruita con un materiale scuro, e anche le ante delle finestre erano di legno quasi nero.
Bussò alla porticina, quasi più bassa di lui. Non ottenne risposta. Bussò ancora, ma di nuovo nessuno rispose.
Jace era sicuro che Fere fosse sveglia, si diceva che la vecchia non dormisse da decenni. Certe volte, di notte, la si vedeva vagare per le strade al chiaro di luna, come uno scheletrico e pallido fantasma.
Alzò il pugno per colpire ancora, ma la porta si spalancò all'improvviso, riversando un cono di luce all'esterno e accecandolo per qualche istante.
- signora Fere? - chiese Jace quando vide la chioma di capelli ricci e candidi spuntare da sotto l'alto colletto del vestito.
- chi mi vuole? - gracchiò lei facendo tremare gli occhiali appoggiati sul naso adunco. Le rughe ormai rendevano il suo viso simile alla pergamena vecchia di secoli.
Jace si chinò per raggiungere la sua altezza - sono Jace, signora Fere -
Lei strinse gli occhi fino a ridurli ad una linea sottile - oh, il ragazzo che vive nei boschi... - farfugliò - entra, entra -
Jace la seguì all'interno, piegando la testa per passare dalla porta troppo bassa.
Purtroppo all'interno il soffitto non si alzava. Sembrava che la casa fosse stata costruita su misura per la signora Fere. Bassa, piccola, buia.
L'unica luce proveniva dalle candele sparse senza un ordine apparente. Fogli di pergamena e libri antichi occupavano ogni angolo disponibile, fatta eccezione per un piccolo tavolo e una seggiola.
La signora Fere si sedette proprio su quest'ultima e afferrò la pipa che giaceva ancora accesa sul tavolo, prendendo una grande boccata.
Ecco spiegato l'odore di bruciato.
- signora Fere - cominciò Jace accovanciandosi e cercando di non schiacciare nessun libro - sono venuto per chiederle un consiglio -
Lei aspirò di nuovo dalla pipa. Le luci tremolanti delle candele giocavano con le rughe del suo volto, creando strane ombre sul viso - so perché sei qui, ragazzo - disse lei senza più nessuna nota di fragilità nella voce - tutti vengono da me solo per un motivo -
- perché è saggia? - chiese Jace un po' a disagio.
- perché sono vecchia - rispose lei facendo una piccola risata - ma mi fa piacere che provi ad essere gentile -
- se sa perché sono qui allora saprà già cosa dirmi - disse Jace.
Lei tolse la pipa dalla bocca e la alzò in alto, guardandola con attenzione - vuoi sapere la verità? Non ho idea di cosa dirti. Non so mai le risposte, ma le persone credono di sì e questo basta per farle uscire da quella porta soddisfatte di ciò che ho detto loro -
Jace era confuso - quindi lei non è una... Veggente? -
Questa volta la signora Fere rise davvero, facendo tremare tutte le sue rughe - una veggente, hai veramente una bella fantasia -
Jace si accigliò - ma allora perché ogni volta che qualcuno viene qui esce con la risposta ai suoi problemi? -
- esattamente come stai per fare tu, ragazzo - rispose lei sogghignando - perché non c'è bisogno che io ti dica cosa devi fare. Sai, chiunque chieda un consiglio sa già cosa vuole fare, nel profondo. Chiedono ad altri di prendere le proprie decisioni solo per paura di ciò che hanno deciso, per paura di sbagliare. Se non sai cosa fare non chiedi consiglio ad altri, perché non hai pensato abbastanza ad una soluzione -
Jace rimase in silenzio per diversi secondi - non credo di aver capito, signora Fere - disse dopo un po', sincero.
- certo che no! - disse lei sventolando la pipa - poche cose che dico hanno un senso -
Jace scosse la testa. Quella vecchia era completamente pazza e sapeva di esserlo.
- la ringrazio, signora Fere - disse alzandosi - ma adesso devo andare -
- sai dov'è la porta, ragazzo -
Jace annuì e raggiunse la piccola porta in due passi, ma la vecchia lo fermò prima che potesse uscire.
- hai un gran cuore, Jace, non dimenticarlo mai - disse con lo sguardo addolcito - accadrà che tu perda fiducia in te stesso, ma non permettere a niente e nessuno di cambiarti qui dentro - con la mano indicò il cuore.
Jace sussurrò un grazie uscendo di fretta. Forse la vecchia Fere aveva ragione, forse sapeva già cosa doveva fare. Ma non sapeva se aveva il coraggio di farlo.
Jace prese una boccata di aria fresca, ispirando a pieni polmoni. Dentro la casa della vecchia Fere c'era un odore insopportabile, quasi peggio di quello della locanda.
- Jace! - la voce di Thea ruppe il silenzio della notte - ma dov'eri andato?! -
Jace sospirò - sono uscito per prendere un po' d'aria, iniziavo a sentirmi soffocare -
Lei gli lanciò uno sguardo pieno di comprensione - non devi farci più preoccupare in questo modo - gli poggiò una mano sulla guancia - non sparire più all'improvviso -
Jace fece un passo indietro per allontanarsi. Non riusciva neanche a guardarla in faccia - non lo farò, non preoccuparti. Starò bene -
Il sorriso tirato di Thea lo colpì dritto al cuore. Non gli piaceva mentire, sopratutto a lei. Ma non poteva fare altro, se avesse detto la verità gli avrebbe impedito di fare ciò che era giusto.
Sora, appena dietro di lei, però, non sembrava convinto. Lo guardava accigliato, con un'ombra di preoccupazione sul volto pallido. Non disse nulla, ma il suo sguardo diceva tutto.
- torniamo a casa, vieni - disse Thea guidandolo con una mano sulla spalla - all'alba penseremo cosa fare -
Jace la seguì, fino a casa. Non parlarono, neanche la più piccola parola. Erano tutti e tre stanchi e soprattutto Jace sentiva la tensione tra lui e Sora.
Mary reagì esattamente come Thea, riempiendolo di domande e rassicurandosi che stesse bene. Jace dovette annuire così tante volte e rispondere che stava bene che quasi se n'è convinse.
Dopo più di un'ora davanti al camino però Mary e Thea crollarono.
- vieni Jace - disse Fohrt posando il boccale che teneva in mano - lasciamole dormire -
Jace lanciò uno sguardo veloce a May, che si era addormentata in un angolo della poltrona, raggomitolata su se stessa. Era così piccola.
Seguì Fohrt e Sora, che non aveva voluto tornare casa per la notte, nella cucina.
Fohrt si sedette sulla sua grossa sedia, che il falegname del villaggio, Trentif, aveva fatto su misura per lui. Suora invece si appoggiò al tavolo, con le braccia incrociate.
- so che dovete dirmi qualcosa - disse Jace dopo diversi minuti di silenzio - quindi non aspettate e ditela -
Fohrt era più tenebroso che mai. I suoi occhi erano così in ombra che sembravano fondersi con la barba scura - sei sempre stato sveglio, Jace, e mi piace - disse guardandolo dritto negli occhi - e ho imparato a considerarti come un figlio, in questi anni -
- ma? - chiese Jace.
- ma adesso devo chiederti di fare una cosa che non potrei mai chiedere ai miei figli, e spero che tu capisca perché lo sto facendo -
Jace non aveva mai visto Fohrt così cauto e.... Malinconico. Mai.
- e io ti voglio bene come se fossi mio fratello - disse Sora - mi hai salvato e sono in debito -
Fohrt lo fermò alzando una mano - no, non ora, Sora -
Il ragazzo era contrariato, ma annuì.
- sarò diretto, Jace - disse Fohrt piegandosi verso di lui - ti chiedo di partire e portare via la bambina con te -
Jace lo aveva immaginato, ma era comunque agghiacciante sentirlo dire.
- non posso correre il rischio che gli elfi attacchino il villaggio - continuò lui - perché nonostante ciò che abbiamo detto non saremmo in grado di resistere. Moriremmo tutti, capisci? -
- così moriranno solo lui e la bambina? - ringhiò Sora - è un comportamento da vigliacchi -
Fohrt sospirò - non voglio che muoia nessuno, ma non posso mettere in pericolo il villaggio per una sconosciuta, neanche se si tratta di una bambina, non posso -
- non sta a te decidere, il consiglio del villaggio ha votato perché rimanesse e... -
- e non sanno a cosa vanno incontro! - sbottò Fohrt senza più trattenersi.
- basta! - Jace colpì il tavolo - non c'è bisogno di discutere, ho già deciso -
- che cosa? - chiese Fohrt.
- sono d'accordo con te - Jace si sedette. Sentiva le gambe molli - devo andare -
Sora gli si avvicinò - non puoi dire sul serio, Jace! Ti uccideranno! -
- non lo faranno - Fohrt si appoggiò al tavolo. Sembrava stanco - se crederanno che May si trova ancora al villaggio saranno distratti abbastanza per permettere a Jace di scappare con lei -
- quando si accorgeranno del tranello sarà troppo tardi - concluse Jace - certo, è un buon piano -
- forse, ma Jace, sei sicuro di farlo? -
Jace prese un bel respiro - sì, lo sono -

La Rosa Cremisi - Il Destino Di Un RegnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora