Capitolo 13 - Jace: Il Cammino

7 2 0
                                    

Jace non sapeva perché ma sentiva che non era il posto giusto per lui. Erano ormai tre ore che se ne stava in disparte, tra le ombre dei bassi tetti e le verande dei negozi della viuzza principale del paese, cercando di confondersi nell'oscurità, inquieto.
A differenza di May e Reyla, che giravano di mercante in mercante alla ricerca di cibo e, a quanto era riuscito a capire, di qualsiasi cosa saltasse loro alla vista. Erano come ammagliate da oggetti di cui Jace non capiva neanche la funzione.
May prediligeva i vestiti, era rimasta per interi e interminabili minuti a fissarne uno blu cobalto, con delle appariscenti spalline a sbuffo prima che Reyla la trascinante lontana. Ma anche L'elfa aveva ceduto al fascino delle compere, anche se tentava di nasconderlo. Mentre le osservava da lontano, infatti, a Jace non era sfuggito che più volte lo sguardo di Reyla cadeva su uno gioiello in esposizione, un sottile bracciale argentato che si intrecciava su se stesso in complicate spirali, come le spire di un serpente.
Ma quello che più lo stupì fu il modo in cui le due discussero sulla merce, e soprattutto con i mercanti. Riuscirono a strappare prezzi così bassi che Jace non aveva idea di come ci riuscissero. In due, nonostante May fosse piccola, aggredivano i venditori fino a far abbassare loro la guardia e li finivano con complicati giochi di parole. Acquistarono tanto cibo a prezzo bassissimo, ma anche ricambi di vestiti, utensili, e molto, troppo altro.
- finalmente - osservò Reyla mentre addentava un pezzo di carne succosa - finalmente qualcosa di decente -
Erano in un'osteria, un piccolo locale fiocamente illuminato, pieno di tavoli in legno stipati uno accanto all'altro. Il fumo dei sigari delle persone, che a prima vista non sembravano molto raccomandabili, invadeva come nebbia la stanza, creando un'atmosfera spiacevole a prima vista.
- Non rimaniamo qui più del necessario - disse Jace abbassando la testa sotto un vassoio di passaggio. La cameriera lo ringraziò con un gesto - Non è molto sicuro -
May annuì con la bocca piena, ingozzandosi di cibo e acqua, un'acqua molto sporca.
- Non c'è problema, se qualcuno ci da fastidio ci penso io - rassicurò Reyla da sotto il cappuccio, facendo spuntare una lama luccicante dalla manica.
- ritirala! - sussurrò Jace coprendole la mano.
Lei sbuffò, ma abbassò il braccio sotto il tavolo - finiamo di mangiare e andiamo, non preoccuparti -
L'elfa diede un altro morso alla costine che teneva tra le dita, con evidente soddisfazione.
Jace aveva già finito il proprio piatto, non aveva mangiato molto, un po' perché era ancora preoccupato, un po' perché voleva risparmiare ciò che era rimasto. E ancora non di fidava di Reyla, non completamente. Li teneva prigionieri e la sua apparente gentilezza non lo ingannava.
Ancora pochi minuti e già si erano lasciati alle spalle la porticina della locanda, immersi nella penombra del tramonto. Erano d'accordo nel lasciare il paese appena sceso il buio, sotto le insistenze di Reyla. Così erano in marcia, di nuovo.
Uscire dal paese non fu difficile, anzi, trovarono la stessa guardia che li aveva fatti entrare e poterono saltare i controlli di routine. Il poveretto non sapeva che erano stati loro a rubargli quella che lui stesso definì la paga di due mesi, e li trattò davvero con tutti i riguardi, tanto che Jace si sentì un po' in colpa. Però quei soldi avevano salvato loro la vita, era inutile pensarci.
- che ingenuo - sentenziò Reyla quando non furono più a portata d'orecchio.
Jace suo malgrado annuì, trovandosi perfettamente d'accordo e May fece lo stesso.
- da che parte, ora? - chiese Jace fermandosi a un bivio, oltre il fiume. Una strada proseguiva dritta verso una spaccatura che attraversava verticalmente la montagna dinnanzi a loro, mentre l'altra svoltava a sinistra, verso la più grossa e alta punta, la Cima degli Angeli, il Monte più alto e più esterno della catena montuosa.
- di là, ovviamente - rispose Reyla imboccando il sentiero di sinistra - il passaggio nascosto passa per la montagna -
Certo, doveva per forza essere difficile. Jace non poteva credere che stessero davvero per arrampicarsi sull'ennesimo, ripido, infinito versante.
Mente camminava a fianco di May, che era più silenziosa del solito, alzò lo sguardo verso la loro meta, così in alto da superare perfino le nuvole. Lassù la neve non si era ancora sciolta, e ricopriva quasi metà dell'altezza della montagna. Jace stimò che dovesse essere alta almeno diecimila metri, una quota veramente impressionante.
- Non pensarci troppo, umano - disse Reyla continuando a camminare - Non dobbiamo salire fin lassù. Neanche a metà, a dire il vero -
Jace sobbalzò sorpreso - mi leggi nella mente, ora? -
- può darsi, umano, può darsi - rispose lei - ma non c'era bisogno di farlo per capire cosa pensavi, sei così... aperto -
Jace non rispose. Era da molto che glielo dicevano, ma non pensava che anche Reyla se ne fosse accorta. Il problema era che proprio non riusciva a nascondere i propri sentimenti e le intenzioni, gli si leggeva tutto a un primo sguardo.
Camminarono ancora per un bel po', con l'oscurità che li proteggeva dall'essere visti, fino a quando entrarono nel fitto di un bosco di betulle, alla base del Monte. Lì la luce della luna filtrava raramente tra le chiome, e diventava pericoloso camminare senza vedere dove si mettevano i piedi. Ma neanche quello li fermò. Erano tutti e tre ben rifocillati, avevano finalmente ristorato le forze perdute nei giorni precedenti e avevano intenzione di sfruttare al meglio quel temporaneo senso di pienezza e tranquillità.
Così proseguirono tutta la notte, senza un lamento, iniziando a salire lungo il versante, seguendo un sentiero poco battuto e serpeggiante, che si arrampicava con grandi deviazioni tra le rocce e il terreno troppo scosceso per permettere di salire in linea retta.
Ai primi albori si trovavano nell'ultimo tratto coperto dalla vegetazione prima del terreno brullo tipico delle alte quote. Si fermarono vicino a un ruscello per far riposare May, che non riusciva più a tenere il passo.
La bambina si addormentò in pochi istanti, cadendo in un sonno profondo.
Jace si sedette al suo fianco e stiracchiò le membra indolenzite - certo che è proprio una bella vista - commentò quando il sole fece capolino da dietro l'orizzonte. Avevano fatto metà giro intorno alla montagna, così ora si trovavano sul versante est, da cui si godeva di un'ampia vista sulle valli sottostanti.
- perché non possiamo semplicemente scendere da qui? - chiese a Reyla, che era sdraiata poco lontano su un masso circolare.
Lei non rispose. O almeno, non subito.
- sarebbe più semplice, certo - disse dopo un po' - ma non più sicuro. Là in fondo c'è una delle più grandi città militari dell'impero. È impossibile non passarci seguendo questa via -
Jace riflettè per un attimo, assorto.
- ti ho già detto di non pensarci troppo, umano - lo rassicurò Reyla.
Jace si alzò per guardarla negli occhi, ma li aveva chiusi - ho un nome, sai? -
Le disse scocciato di essere chiamato "umano" - potresti anche usarlo, ogni tanto -
Lei sorrise - ti piacerebbe, umano. Ma non servirebbe, sei solo un mio prigioniero, ricordi? -
Jace non si lasciò abbattere, aveva un argomento per la mente da un po', e non aveva intenzione di farla arrabbiare proprio ora - senti, Reyla - disse dopo un po' sedendosi sul bordo della roccia dove lei era sdraiata, dandole le spalle. Reyla non disse nulla - volevo chiederti una cosa soltanto -
- una sola? - chiese lei alzandosi a sedere.
- una sola, davvero -
- allora dimmela, tanto lo avresti fatto comunque -
Jace prese un gran respiro prima di cominciare - voglio imparare a usare la magia - disse stupito da quanto veramente era convinto in quello che stava dicendo - è da quando me ne hai parlato che ci ragiono, e se posso usarla vuol dire che dovrei usarla -
- io non ti insegnerò nulla, te l'ho già detto... -
- lo so, lo so - la interruppe Jace alzando le mani - Non ti sto chiedendo di insegnarmi, ma solo di parlarmene, di spiegarmi come funziona, nulla di più -
- Non cambia molto, umano. Non posso e non voglio insegnare a uno come te - disse allontanandosi a grandi passi.
Jace la seguì - solo una piccola spiegazione, nulla di più -
- No -
- perché no? - chiese Jace disperato - cosa ti impedisce di insegnarmelo? -
Lei si fermò sul ciglio di una scarpata, con le mani sui fianchi - Non è una buona idea, credimi - disse voltata di spalle - voi umani non... Non siete adatti alla magia, ecco tutto. Potresti farti male se esageri. E poi non voglio, non tirare troppo la corda. Se non ho legato te e la bambina è solo perché sarebbe scomoda camminare -
Jace le si affiancò - non la userò contro di te -
Lei si voltò a guardarlo, e per la prima volta Jace non vide odio o disprezzo sul suo viso - perché? - chiese sottovoce - perché vuoi che sia io a insegnarti? Perché vuoi imparare a usare la magia? -
Jace stava per rispondere prontamente, ma Reyla non aveva ancora finito - perché ti ostini a proteggere quella ragazzina? Perché sei partito? Perché quel giorno non mi hai lasciata cadere? - si interruppe con il fiato corto. A ogni domanda si era avvicinata sempre più al ragazzo, tanto che ora si trovavano uno attaccato all'altra - perché non mi disprezzi dopo che ti ho mostrato cosa sono veramente? -
Jace si ritrasse e si sedette con le ginocchia piegate - se ti rispondo mi insegnerai a usare la magia? - chiese guardando fisso davanti a sé.
Reyla annuì, anche se non sembrava del tutto convinta - se mi dirai la verità, e se le tue parole avranno un senso allora sì, ti insegnerò la magia, umano -
- siediti, ci vorrà un po' - disse Jace indicandole il masso di fianco a lui. Lei obbedì riluttante.
Il ragazzo attese diversi minuti prima di cominciare. Non sapeva neanche cosa dire - devo cominciare dicendoti che in fondo sono uno stolto, e me ne accorgo anch'io, ma sono fatto così - disse Jace sorridendo - e questo è il motivo per cui quel giorno non ti ho lasciata cadere nel burrone -
Lei appoggiò la testa alle mani, giunte sopra le ginocchia - Non ha senso - disse, senza guardarlo.
- No, non ne ha. Però è così. Credimi, ho pensato di lasciarti morire, ero terrorizzato da te - disse Jace quasi ridendo - ma quando mi sono accorto che tra noi eri tu quella più spaventata dalla situazione... Non sono riuscito a farlo, è molto semplice -
- no, non lo è. Avrei potuto ucciderti una volta in cima - puntualizzò Reyla grave.
- ma non l'hai fatto, è questo che importa. Non avevo idea di cosa sarebbe successo, così ho scommesso sulla fortuna -
- una scommessa pericolosa -
Jace rise - ma ha funzionato -
Reyla sospirò - continuo a non capire, ma vai avanti, rispondi alle altre domande -
- giusto - rispose Jace annuendo - perché sono partito, mi hai chiesto. May è stata solo una scusa, se si può dire così -
Reyla lo guardò storto - in che senso una scusa? -
Jace si appoggiò sui gomiti, quasi sdraiandosi - ti ho già parlato di Yur, la mia maestra - Reyla annuì - vedi, lei è partita, se n'è andata. E io intendo trovarla. May è stata solo l'ancora che mi ha permesso di trovare il coraggio di partire, ecco tutto -
Questa volta fu Reyla a ridere - un'ancora che si porta dietro elfi, soldati e chissà cos'altro ma tu l'hai scelta lo stesso per partire! -
- sembra stupido, lo so - sorrise Jace.
- ma perché non hai paura di me? - chiese ancora Reyla, questa volta seria - dopo quello che ho detto e fatto... -
Jace alzò lo sguardo al cielo, chiudendo gli occhi - all'inizio avevo paura, ma poi ho capito una cosa di te - disse lentamente, ponderando ogni parola - sei stata tu dall'inizio a cercare di sembrare un nemico ai miei occhi, me ne sono accorto la prima volta che ti ho chiesto di insegnarmi la magia. Ti sei data del mostro da sola, e dopo, sotto il salice, hai cercato di dimostrarmi che lo eri davvero -
Reyla sbuffò - hai una bella fantasia, umano. Quella era la mia vera essenza, ecco tutto. Quando perdo il controllo sui miei istinti... - si bloccò, accorgendosi di aver detto fin troppo.
Jace tornò a sedersi per guardarla più da vicino - può darsi che tu abbia ragione, ma allora perché tieni nascosto quel tuo lato? Se sei veramente così dovresti farlo vedere a tutti -
- e confermare di essere un mostro? - chiese ironica lei.
Jace scosse la testa - No, confermare che sei tu, e non una falsa versione di te stessa -
Reyla aspettò un po' per rispondere - Non so perché ne sto parlando con te, comunque. Non mi interessa la tua opinione. Dei solo un mio progioniero, devo ricordarmelo -
Jace sorrise divertito. Aveva avuto il sospetto che non fosse il mostro che voleva sembrare fin da quando si erano incontrati, ma ora ne aveva la conferma - allora rispondi tu a una domanda - disse serio - perché non ci hai già uccisi? Se sei un mostro... -
- Non mi rimangio la parola data -
- lo immaginavo. Per questo non ho creduto neanche un momento in quello che stavi facendo quando eravamo sotto il salice, tu non sei così -
Reyla si alzò in piedi ma, con grande sorpresa di Jace, scoppiò a ridere così forte da tremare tutta - sei proprio strano, tu! -
Jace capiva che non era una vera risata, più che altro era lo sfogo dell'irritazione che aveva accumulato in quei giorni, ma non potè fare a meno di ridere a sua volta.
Ancora ridendo, ma consci che la conversazione era ormai finita, tornarono indietro per svegliare May e ripartire.
Mentre si rimettevano in marcia Reyla, in capo alla fila, disse, a voce bassa - ti insegnerò quello che so, umano. Ma non aspettarti di più e non credere che ti aiuterò a i parare incantesimi che possano essere una minaccia per me -
Jace rimase così sorpreso che non ebbe il tempo di rispondere prima che Reyla partisse e mettesse un bel po' di distanza tra loro.
Proseguirono così per ore, con L'elfa davanti di qualche metro, seguita da Jace e May che cercavano di non rimanere indietro. Ma man mano che salivano l'aria diventava più rarefatta e la fatica sempre maggiore. In più la stanchezza dei giorni passati non era ancora del tutto scomparsa e non rendeva le cose facili. L'unica che sembrava non sentisse nulla era Reyla, che camminava imperterrita tra le rocce e i pendii sabbiosi a grandi passi, senza mai rallentare.
Erano così in alto che le nuvole, quando riuscivano a scorgere qualcosa attraverso la fitta nebbia che li avvolgeva, si trovavano sotto di loro, come un immenso mare candido che inghiottiva ogni cosa, facendoli sembrare in capo al mondo.
Jace ormai avanzava, un passo dopo l'altro, solo per inerzia, come se il suo corpo, nonostante sfinito, sapesse che non si doveva fermare.
Si voltò verso May, che era in condizioni ancora peggiori. Camminava a testa bassa, fissando il terreno, appoggiandosi ad un bastone che aveva raccolto prima che lasciassero i boschi. Era uno spettacolo a dir poco penoso, ma nessuno dei due aveva intenzione di lamentarsi. Dopotutto Reyla li aveva portati fin lì, forse come prigionieri, ma almeno sano vivi. Rallentarla non era una buona idea.
Ma svoltata una stretta curva del sentiero appena tracciato, che passava proprio vicino al ciglio di uno strapiombo vertiginoso, Jace vide che Reyla ormai era troppo avanti rispetto a loro. Vedeva solo un puntino muoversi in mezzo al grigiore della nebbia, così lontano da essere quasi indistinguibile.
Provò a chiamarla più volte, ma solo alla settima, quando per poco non si strappò le corde vocali nello sforzo di far uscire un suono riuscì a sentirlo e si fermò
- Non manca molto, dobbiamo proseguire - disse una volta che l'ebbero raggiunta.
Jace, con il fiato corto, rispose - noi non possiamo andare avanti, Reyla -
- io non c'è la faccio più - sussurrò May, seduta poco distante. Ansimava e il viso pallido aveva un'espressione stremata.
- mancano solo pochi minuti... -
- No, Reyla, non riusciamo. May non può continuare così - la bloccò Jace - fermiamoci qua per oggi -
Reyla si guardò attorno inquieta - Non è una buona idea, e io dico di continuare. Non stiamo facendo una passeggiata - sotto la manica scintillò una lama.
Jace non perde il sangue freddo.
- forse, ma è l'unica opzione che abbiamo -
Reyla ringhiò, alzò le mani al cielo, ma alla fine, controvoglia, posò lo zaino contro un arbusto così tenace da crescere lassù, poi si allontanò da loro per andarsi a sedere su una grossa sporgenza rocciosa, quasi come se fosse una specie di vedetta.
Jace scosse la testa esasperato dal comportamento altalenante dell'elfa.
Ma dopo pochi minuti ogni preoccupazione scomparve lasciando il posto alla stanchezza. Ogni emozione, la rabbia verso Reyla, la frustrazione per aver lasciato il villaggio e aver intrapreso quel viaggio, la paura di essere inseguito, tutto affogò nel mare infinito che si stava aprendo nella sua mente, un mare di pensieri e sogni che pian piano lo trascinò lungo la corrente dell'oblio.

La Rosa Cremisi - Il Destino Di Un RegnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora