Capitolo 10 - Jace: Fuori dalla Valle

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Erano tre giorni che giravano in tondo, tre lunghissimi giorni. Jace non pensava che ci sarebbe voluto così tanto per uscire dalla valle, ma cercando di sfuggire dalle pattuglie avevano perso completamente la speranza nel passare inosservati. E con gli elfi sulle loro tracce...
- cosa ci facciamo di nuovo qui? - chiese stanca May, quando per l'ennesima volta si appostarono sulla grande roccia sporgente che dava sul passo ovest della Valle - i soldati sono sempre di guardia, Jace -
- ma quante persone ti stanno cercando... - sussurrò Jace più a se stesso che a qualcuno in particolare.
Non capiva perché tutti cercassero di catturare una bambina, a meno che lei non fosse importante, o qualcosa del genere.
- Non mi stanno cercando. Cercano solo di bloccare tutti i rivoluzionari che possono - gli rispose, cortese come sempre.
Jace sbuffò. Poi si alzò e si diresse nuovamente verso la loro tenda, approntata con coperte e teli tesi tra tre piante. Per fortuna non aveva piovuto in quei giorni, altrimenti sarebbero bagnati fino al midollo.
- sarà, ma se continua così dubito che riusciremo anche solo a portarti fuori di qui, figuriamoci scappare dagli elfi... -
- Non preoccuparti, ci stai provando, almeno - lo consolò lei sedendosi a terra.
Era qualche giorno che leggeva un vecchio libro, uno di quelli di Yur. A giudicare dalla velocità con cui scorreva le pagine doveva essere proprio brava, nonostante la sua giovane età.
Quasi quasi si sentiva in imbarazzo a guardarla, lui non sapeva praticamente scrivere se non poche parole, e leggere... Era molto, molto complicato. Yur gli aveva insegnato a contare, ma la lettura era stata facoltativa nei suoi insegnamenti. Solo qualche nozione qua e là, giusto lo stretto necessario per capire un contratto o un'indicazione.
- di cosa parla? - le chiese, veramente interessato.
- magia - rispose May senza staccare gli occhi dalle parole - sono tutti appunti di magia -
Jace fischiò di ammirazione. Non pensava che Yur avesse appunti di quel genere.
La lasciò al suo passatempo mentre preparava il pranzo. Finché rimanevano all'interno della Valle potevano permettersi di mangiare in abbondanza, il cibo lì sapeva dove procurarselo.
Mentre la pappa d'avena cuoceva sul fuocherello Jace iniziò a far scorrere la mente, libera.
Tutto quello, la situazione in cui si trovavano, gli ricordava gli anni passati a viaggiare con Yur, che non si erano interrotti neanche quando erano giunti al villaggio. Facevano sempre escursioni in montagna che duravano anche settimane. La tenda montata con ciò che si trovava nel bosco, il cibo procurato con la caccia e la raccolta e, più di tutto, l'allenamento sfiancante a cui l'aveva sottoposto.
L'allenamento... Era cominciato tutto quando aveva circa cinque anni. In un paese altri bambini l'avevano picchiato e bastonato semplicemente perché era un vagabondo. Lui in lacrime l'aveva raccontato a Yur e lei gli aveva detto che l'unico modo per non farlo accadere di nuovo era quello di allenarsi duramente nell'arte del combattimento.
Jace non aveva idea di dove avesse imparato Yur a combattere in quel modo, era assurdamente brava sia a mano nude che con il bastone, o per meglio dire la spada, e aveva cercato di trasmettere tutto a Jace.
Sei ore al giorno di allenamento con un bastone, sempre più pesante, anche mentre camminavano, fino ad utilizzare un'asta di ferro che a suo dire era più pesante di qualsiasi normale spada. I primi scontri uno contro uno erano finiti con lui pieno di lividi e tagli, ma man mano che proseguivano gli anni la situazione si era bilanciata sempre più, anche se mai abbastanza.
Era durato tutto fino all'anno precedente, quando Yur gli aveva detto di smettere con la spada e cominciare la meditazione, importante per lo spirito o qualcosa del genere. E lui aveva obbedito, ovviamente. Lei era la sua maestra, e non si discute il metodo di insegnamento dei propri maestri.
- perché sorridi? - chiese May risvegliandolo dal circolo di sogni a occhi aperti.
- stavo solo ricordando dei bei momenti, tutto qua - le rispose Jace, spegnendo il fuoco - è pronto, vieni a mangiare -
Consumarono l'abbondante ma spoglio pasto in silenzio, facendo lavorare le mandibole.
Mentre masticare l'ultimo boccone Jace sentì un ronzio provenire dal bosco, una specie di melodia metallica, incoerente.
Subito si alzò in piedi, spaventato.
- che c'è, Jace? - chiese May tranquilla.
Jace la fissò - Non lo senti? C'è qualcosa nel bosco -
May tese l'orecchio, ma poi scosse la testa - Non c'è nulla -
L'ansia non lasciò il ragazzo per altri dieci minuti, ma effettivamente il suono non si ripeté più. Probabilmente la tensione di essere trovati gli aveva giocato un brutto scherzo, tutto qui.
- hai ragione, non è niente - disse tranquillazzando May che si era preoccupata.
Dopo qualche istante gli venne in mente un'idea, una stramba idea.
- May, per caso sai tirare di spada? - chiese inginocchiandosi davanti a lei - hai mai provato? -
Lei sorprendentemente annuì, seria
- sì, qualcosa ho già imparato -
Jace sorrise - allora alzati, dai, facciamo un po' di pratica, potrebbe servirti -
Lei si alzò un po' intimorita, seguendolo fino a una radura poco distante dal campo.
Jace raccolse due bastoni più o meno dritti, senza nodi, e ne porse una alla bambina, che lo prese titubante.
- bene, ora mettiti in posizione - disse Jace assumendo la tipica postura di inizio combattimento, con la guardia alta.
May lo imitò, poi tese in avanti il bastone, tenendolo con una mano sola.
Era una posizione per l'uso delle spade sottili, a una mano, veloci e letali, ma poco resistenti. Poco importava, ognuno dopotutto poteva scegliere il tipo di arma che più gli si addiceva.
- ora vediamo cosa sai fare, May. Avanti, colpiscimi -
Non se lo fece ripetere due volte. Scattò in avanti, più veloce di quanto Jace avesse immaginato, e colpì di punta, con un lungo e preciso affondo, diretto al cuore. Jace parò deviando dal basso la traiettoria della punta, poi lanciò un fendente verso il petto, ma lei lo evitò con un passo all'indietro e tornò alla carica, muovendosi leggera e scattante sui piedini.
Mentre si scambiavano una serie di colpi Jace capì che ne sapeva più di un pochino quella bambina, anzi, era molto brava. Riusciva a capire in precedenza dove sarebbero arrivati i colpi, li schivava e mirava sotto la guardia dell'avversario, precisa verso i punti vitali. Nonostante fosse una bambina sembrava un soldato abituato a uccidere.
Dopo parecchi minuti Jace fece un segno con la mano e entrambi si fermarono, ansimanti e sudati.
- Non male, May. Sei più brava di qualsiasi altro io abbia mai incontrato, davvero - si congratulò Jace sorridendo - cresci un po' e diventerai una macchina da guerra -
Lei sorrise a sua volta, il primo sincero sorriso che Jace vedeva sul suo volto - ci sei andato piano con me. La tua maestra doveva essere eccezionale se è riuscita a insegnarti tanto bene -
- lo era - disse Jace sovrappensiero.
Tornarono alla tenda per cambiarsi e mangiare. Dopo un po' May si sdraiò e nel giro di qualche minuto si addormentò profondamente. Jace poteva capirla, erano stati giorni intensi, si meritava un po' di riposo.
D'altro canto lui invece doveva continuare a cercare una via per attraversare i blocchi dei soldati.
Lasciarla lì non gli piaceva, ma era più al sicuro nascosta su quel dirupo che con lui nei pressi degli accampamenti militari. Per qualche strana ragione anche l'impero la stava cercando, forse era la figlia di un importante signore o cose simili. Altrimenti Jace non si spiegava tutto l'interesse che ci trovavano in lei.
Si alzò, coprì May con una coperta e allacciandosi la cintura con la spada si mise in cammino.
Il brusio che sentiva da prima non lo aveva ancora abbandonato, così per attenuare il fastidio si tirò il cappuccio fino sopra gli occhi, a nascondergli metà voltò. Ma non servì a nulla contro quel rumore di sottofondo.
Arrivò in pochi minuti si margini del bosco dove si erano nascosti, sopra una grande affiorazione rocciosa che impediva a chiunque non fosse capace di arrampicarsi di salire fin sopra, il nascondiglio perfetto.
Purtroppo non era molto comodo neanche per loro. Per scendere Jace impiegò non meno di mezz'ora, ma ne valeva la pena. Sapeva che lassù, anche lasciandola da sola, May non correva alcun pericolo.
Arrivato nella piana al fondo le cose iniziarono a farsi più difficili. Lì il bosco era rado, con bassi alberi, giovani, che non offrivano granché riparo da occhi indesiderati.
Jace avanzò con calma, facendo meno rumore possibile, e tenendosi alla sinistra della parete verticale raggiunse il punto esatto in cui si trovava l'accampamento dei soldati che bloccavano il passo. Era imponente la quantità di tende e fortificazioni che seppur in legno incutevano un certo timore.
Quel passaggio era molto più ampio del passo degli orsi, così era tenuto sotto controllo da molte più guardie.
Purtroppo passare dall'altro era fuori discussione in quanto la conoscevano già l'aspetto di May.
Jace si avvicinò tranquillamente, abbassandosi il cappuccio e facendo finta di essere interessato alla mercé che alcuni mercanti esponevano nei loro carretti. La folla, come al passo degli orsi, aveva costruito una specie di nuovo villaggio che li si componeva di almeno trenta casette senza contare le tende. Il via vai era immenso, e per Jace era un punto a favore. Poteva far finta di essere uno di quei poveracci in attesa dell'apertura e intanto osservare indisturbato i movimenti delle guardie.
Passò più di mezz'ora tra una bancarella e l'altra, lanciando furtivamente occhiate alle pattuglie che di tanto in tanto percorrevano le strade. Era davvero come essere tornati indietro al villaggio, almeno finché uno di quei nerboruti idioti in armatura non lo indicò sussurrando qualcosa all'orecchio di un suo compagno.
Jace si voltò e iniziò a camminare veloce cercando di confondersi tra la gente. Alle sue spalle sentiva i versi indignati di chi veniva spintonato dal gruppetto di soldati che lo seguivano. Come si erano accorti di lui proprio non se lo spiegava.
Ignorò ogni urlo di avvertimento che gli lanciarono, facendo finta di non sentirli o capirli.
Stava per essere raggiunto, non poteva mettersi a correre o sarebbero ricorsi alle armi, quando una mano spuntata da un piccolo vicolo fra due casette lo tirò via dalla strada.
Jace stava per gridare dalla sorpresa ma una lama gli si appoggiò alla gola.
- fai silenzio o... - disse in un sussurro una voce alle sue spalle.
Jace stette perfettamente immobile, senza neanche fiatare. Aveva il cuore in gola, ma non voleva che l'altro venisse a saperlo.
I soldati passarono davanti senza vederlo, e per ancora qualche minuto la situazione rimase invariata.
Sentiva un corpo molto più piccolo del suo schiacciato contro la schiena in quello spazio angusto.
- voltati - disse la voce.
Jace ubbidì con molte difficoltà.
Si trovò faccia a faccia con un cappuccio. Il suo aggressore era di due o tre centimetri più basso di lui e aveva un odore, o meglio un profumo, familiare, di aghi di pino misto all'aroma dolce delle rose.
Poi il misterioso aggressore alzò il capo.
Ci vollero diversi secondi prima che Jace capisse chi si trovava davanti.
Occhi argentati, capelli chiarissimi, quasi bianchi. Volto delicato all'inverosimile.
- tu? - disse Jace praticamente sotto shock.
- quindi ti ricordi di me, l'elfa a cui hai fatto una promessa? Pensavo ti fossi dimenticato... - disse lei puntandogli ancora di più il coltello tra le costole.
Jace rabbrividì - Non mi ero dimenticato, affatto. Se mai sei tu che non ti sei presentata al luogo previsto, elfa -
- L'elfa ha un nome - sussurrò lei tra i denti - e si, sono andata prima a prendere la mia roba, non volevo viaggiare con degli stracci addosso e senza armi -
- ti abbiamo aspettata due giorni! -
- fandonie - sbuffò lei voltandosi dall'altra parte, in imbarazzo.
- oh, capisco - sogghignò Jace - Non avevi idea di dove si trovassero gli stagni ma per orgoglio non hai detto nulla -
Reyla lo spinse via, facendolo ruzzolare fuori dal vicolo - continua a trovare scuse, la verità è che sei un umano come gli altri -
- è un tuo pensiero o tutti gli elfi usano la parola umano come dispregiativo? - le chiese Jace rialzandosi.
- pensa la come vuoi, umano - rispose lei calcando sull'ultima parola - ma ora abbiamo cose ben più importanti da fare. Per prima cosa andarcene da qui. Seguimi -
Jace le afferrò il braccio prima che potesse partire via - segui tu me, Reyla. Ho, abbiamo, un accampamento lassù - disse Jace indicando la rupe.
Reyla si voltò a guardarla - quindi un po' di buonsenso ce l'hai anche tu... -
Jace scosse la testa ma evitò di discutere, tanto era inutile.
- fai strada - lo invitò lei scostandosi.
Jace passò avanti e iniziò a correre per le viuzze, tenendosi sempre all'ombra di alberi e case per non essere visto. Non aveva voglia di capitare in mezzo alle guardie, neanche con Reyla dalla sua parte.
Era straordinario come si fossero incontrati di nuovo, un vero colpo di fortuna se tutto fosse andato bene.
Solo quando raggiunsero il limitare del bosco si permisero di correre, fino a quando il rumore della folla non scomparve del tutto, perso tra le fronde.
- di qua - disse Jace davanti allo sguardo interrogativo di Reyla che fissava la parete rocciosa - c'è un buono sentiero -
Il sentiero troppo non era che uno stretto affioramento di roccia che girava intorno alla parete, portando fino in punta. Era così stretto che bisognava strisciare, spalle alla parete, per non cadere.
Senza indugi Jace cominciò la lenta salita, seguito a ruota da Reyla, meno convinta della stabilità di quel passaggio.
Raggiunsero la cima senza troppi sforzi, rischiando a malapena tre volte di cadere, niente di preoccupante agli occhi di Jace. La prima volta lui e May per poco non si erano ammazzati in una decina di occasioni.
- finalmente - esclamò Reyla stiracchiandosi - hai scelto proprio un bel posto - disse poi guardandosi attorno.
In effetti i vecchi alberi e l'erbetta che cresceva sottile nel sottobosco creavano un'atmosfera di pace e serenità, accentuata da fatto che lassù erano al sicuro da quasi qualsiasi pericolo.
- vieni di qua, l'accampamento si trova più vicino alla rupe a nord, da sul passo - disse Jace con un gesto del braccio.
- pure uno stratega, vedo - lo prese in giro Reyla - dimmi, c'è altro che devo sapere di te? -
- nulla che ti riguarda - disse secco Jace, facendo il suo gioco.
- mi arrendo, umano -
Jace sbuffò infastidito - pensavo che gli elfi fossero più silenziosi -
- io pensavo che gli umani fossero intelligenti, ma ci sbagliavamo entrambi - rispose Reyla facendo spallucce.
Jace scosse la testa e per il resto del cammino non disse nulla. Dopo una decina di minuti arrivarono dove gli alberi lasciavano posto alla roccia brulla e all'accampamento.
May era sveglia, seduta a leggere su un tronco caduto.
Non appena lo vide gli corse incontro. La sua espressione era metà sollevata metà arrabbiata - come hai potuto lasciarmi qui? - chiese tutto d'un fiato - ero preoccupata e... - si interruppe non appena vide che avevamo compagnia. Sbiancò in volto e fece un passo indietro, terrorizzata.
- ascolta, May, non ti devi preoccupare, non è un nemico - cercò di tranquillizzarla Jace, senza successo - è la compagna che di cui ti avevo parlato, ricordi? Quella che dovevamo aspettare agli stagni -
- è... è un elfa... - ballettò lei indietreggiando ancora.
- sono un'elfa, sì - rispose imperiosa Reyla abbassandosi il cappuccio - ma tu ti sei dimenticata le buone maniere, bambina -
- senti, così non migliori la situazione, Reyla - la riprese Jace - è spaventata, non vedi? -
- Non capisco perché dovrebbe esserlo, non ho intenzione di farle del male - rispose Reyla incrociando le braccia.
- Non... - cominciò a dire May, ma poi chiuse gli occhi e prese un respiro profondo - Non abbiamo bisogno di un'elfa - disse risoluta, anche se le tremavano i pugni chiusi.
- oh, io penso che invece ne abbiate un disperato bisogno - disse Reyla andandosi a sedere vicino al fuoco spento - da quello che posso vedere se non fossi arrivata sareste stati in una brutta situazione -
May guardò con occhi speranzosi Jace, ma lui annuì a conferma delle parole di Reyla.
May strinse i pugni fino a sbiancarsi le bocche, ma poi non disse nulla.
Con piccoli ma rumorosi passi andò a rintanarsi nella tenda, da dove non smise per un attimo di fissare la nemica, che per tutta risposta la salutò sorridendo in modo inquietante.
- Non le piaccio - disse Reyla senza essere però triste.
- Non tutti sanno mettere da parte certi ricordi, come quando volevi ucciderla, qualche giorno fa - disse Jace sedendosi - è una bambina, dopotutto -
Reyla rise - evidentemente tu sì, umano -
- già, in tanti mi dicono che dovrei essere meno indulgente -
- verissimo - confermò Reyla - potrei uccidervi da un momento all'altro senza problemi -
- sì, ma spero non lo farai - disse Jace guardandola serio - almeno finché non saremo usciti dalla valle -
Lei annuì - sì, e dobbiamo escogitare un piano, se non vogliamo morire tutti qui -
Jace si trovò d'accordo e così iniziarono a discutere di tutte le possibili vie di fuga e punti ciechi nelle fortificazioni. Jace aveva studiato per tre giorni dall'alto le due mura che li dividevano dalla libertà, senza però trovare una soluzione. Troppe guardie, troppi controlli.
Neanche con l'aiuto di Reyla riuscirono a trovare un buon compromesso entro la fine della giornata, che arrivò fin troppo presto.
Non mancarono, nessuno di loro. May era troppo spaventata e arrabbiata, loro due invece avevano perso la fame tra un fallimento di un'idea e l'altro.
Così andarono a dormire, ognuno nel proprio giaciglio tranne Reyla che si sistemò sulla terra nuda. Per sicurezza Jace piazzò la propria coperta davanti all'entrata della tenda, cercando di farlo sembrare il più naturale possibile. Ma il gesto non sfuggì agli occhi dell'elfa, che si voltò dall'altra parte, senza dire nulla.
Jace sospirò, neanche a lui piaceva la tensione che c'era tra loro. Tra tutti loro, May compresa. Nessuno si fidava dell'altro, ed era comprensibile.
Era stato lui a unire quel gruppetto, ma non aveva tenuto conto che non si conoscevano affatto, che ovviamente la fiducia andava guadagnata.

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