Capitolo 32 - Reyla: L'inferno

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Reyla sentiva un caldo insopportabile. Goccioline di sudore bollente le scorrevano sulla schiena quasi nuda sotto agli stracci strappati che indossava. Aveva la fronte in fiamme e le numerose ferite sulle mani e sui piedi nudi gridavano per essere guarite.
Era sdraiata, almeno questo riusciva a capirlo. Tremante per la febbre si alzò a sedere sul duro pavimento di pietra.
Non era stato un incubo. Era in una prigione, così piccola che riusciva a malapena a stare in piedi e stretta tanto da permetterle di sdraiarsi solo se si posizionava in obliquo rispetto ai lati.
Una piccola finestrella in alto faceva entrare l'aria rovente dall'esterno, che andava ad aggiungersi a quella già calda e viziata che c'era lì dentro.
Reyla aveva la bocca secca, la gola riarsa e un dolore pulsante al ventre. Non beveva da tre giorni e non mangiava da cinque, così indicavano le tracce che aveva inciso con le unghie nei mattoni della parete.
Le unghie... Reyla guardò l'ultima unghia, che le era rimasta fedele fino a quel momento, sul pavimento. Le era caduta la sera prima, quando aveva provato ad aprire la serratura della porta con un dito. Ora al posto delle unghie aveva dieci fosse sanguinanti. Mossa inutile quanto stupida, ma le era rimasta solo quella.
Era in condizioni disastrose. I primi giorni, quando era arrivata alla prigione, aveva cercato di tenere alto il suo onore e la sua dignità ma in poche settimane l'orrore di quel luogo l'aveva sopraffatta.
Non era una prigione, era un centro di tortura, fisica e mentale.
Reyla di accasciò di nuovo a terra. Non aveva le forze necessarie per reggersi in piedi, non in quel momento.
Almeno la testa ancora le funzionava bene.
- penso che tu stia mentendo a te stessa - disse una voce famigliare.
Jace era seduto in un angolo della prigione, proprio vicino ai suoi piedi. Reyla lo guardò attraverso le fessure delle dita - non sei reale - sussurrò.
- come fai a saperlo? - chiese Jace appoggiando una mano sulle sue caviglie - eppure riesci a sentire il mio tocco -
Reyla sospirò - sei frutto della mia mente, ovvio che posso sentire il tuo tocco -
- che ragionamento arguto. Ma sei sicura che sia proprio così, o sei solo pazza? -
Reyla grugnì qualcosa che non ebbe senso nemmeno per lei. Infuriata si passò le mani sopra gli occhi, ma quando li riaprì lui era ancora lì, con un sorriso maligno fuori dal normale.
Non ne poteva più. Erano giorni che aveva iniziato a parlare con l'immagine di Jace - sparisci... -
Jace iniziò a ticchettare con un dito sulle sbarre della piccola porticina - sparire? Come potrei, l'ho già fatto una volta. Laggiù, sulla nave, quando i banditi ti hanno catturata, ricordi? -
Reyla ricordava benissimo ogni singolo particolare di quel giorno.
La nave, loro che salivano a bordo. Le speranze di raggiungere finalmente la salvezza, distrutte quando fu messa in prigione. Dopo la rivelazione ancora peggiore. Era stato Jace a consegnarla per salvarsi.
- vai via - sussurrò Reyla tenendosi la testa tra le mani.
- no... Non è quello che vuoi, mia cara Reyla - sogghignò Jace.
Reyla aprì gli occhi e gridò spaventata. Il volto di Jace era a pochi centimetri dal suo, distorto in un'orribile e crudele espressione divertita - tu vuoi che io stia qui con te, non puoi mentirmi. Vorresti che non ti avessi mai tradita -
Un rumore di passi interruppe Jace e quando Reyla lo cercò con lo sguardo era ormai svanito.
Il sollievo durò poco. La porticina si spalancò bruscamente, cigolando e sferragliando. Una guardia armata con un tubo metallico entrò nella cella e prima che Reyla potesse fare alcunché iniziò a colpirla ripetutamente.
Reyla si accovacciò in un angolo, facendosi il più piccola possibile sotto i colpi insistenti.
Dopo pochi secondi che le sembrarono ore il soldato si fermò. Reyla tremava, aveva nuove ferite su braccia e schiena e i lividi le procuravano un dolore pulsante.
- alzati, schifosa elfa! - ordinò l'uomo con la voce distorta attraverso la maschera che portava sul volto.
Reyla obbedì appoggiandosi al muro per sostenersi.
- più veloce! - il soldato la colpì sulle costole e senza lasciarle il tempo per cadere a terra la afferrò e la spinse di peso oltre la porta.
Reyla cadde a carponi ma si rialzò in fretta.
Il soldato le prese i polsi con forza e la ammanettò troppo stretta. Poi prese la catena attaccata alle manette e iniziò a tirarla.
Reyla dovette seguirlo cercando di tenere il passo, ma inciampava e cadeva molto spesso. Ogni volta doveva rialzarsi in fretta, perché il soldato non si fermava mai e strisciare sul pavimento ruvido era come farlo su una grattugia per il formaggio.
Percorsero gli stretti e bui cunicoli della torre-prigione, verso il basso. Erano all'interno di un gigantesco albero cavo, di questo era certa. Attraversarono intere file di celle vuote, scesero per innumerevoli scale a chiocciola così strette che ci poteva passare un solo uomo alla volta.
Reyla sapeva che la tenevano più in alto degli altri prigionieri.
Ma il peggio arrivò quando giunsero ai piani più bassi. Lì erano tenuti prigionieri la maggior parte dei detenuti. La base della torre era molto più larga, e concedeva anche spazi più ampi. Interi saloni con le pareti costellate da celle si innalazavano per più piani. Sembrava una caverna dell'orrore.
Al suo passaggio le sbarre delle celle iniziarono a tremare sotto i colpi dei prigionieri. Insulti di ogni tipo iniziarono a volare da ogni parte, tanto che il salone dove si trovavano sembrava ospitare un concerto in suo onore. La odiavano.
Reyla sapeva il perché, erano quasi tutti umani i detenuti lì dentro e lei era un'elfa, un nemico ancora peggiore dei carcerieri se era possibile.
Ma il soldato non si fermò neppure lì. La portò oltre le celle, oltre le scale che portavano ancora più in basso, fino all'uscita secondaria sul retro della torre. Reyla ci era già stata, lì era dove portavano i prigionieri per lavorare.
Non appena uscirono Reyla rimase accecata dalla luce abbagliante del sole.
Ma non ci volle molto per abituarsi e il vero orrore si mostrò ai suoi occhi.
Tre anelli, tre crepe circolari che giravano tutto intorno alla torre in cerchi concentrici, da cui fuoriusciva un calore scottante. Erano tre fossi che portavano dritti nelle viscere della terra. Tre pozzi bui di disperazione, dove centinaia di prigioneri lavoraravano per estrarre il metallo lucente.
Il soldato la liberò dalle manette e la spinse contro un bidone di attrezzi.
- prendine uno e vai al terzo anello, sbrigati - sbraitò - oggi è il tuo giorno fortunato, lavorerai con quella feccia dei tuoi simili -
Reyla prese un piccone troppo pesante per lei e , con il sudore che le colava negli occhi, camminò lentamente sulle passerelle d'acciaio rovente che sovrastavano gli immensi e profondi baratri.
Ogni passerella era controllata giorno e notte da un guardiano, un soldato con un armatura enorme. Reyla si chiese, per un istante, come potessero dei contrabbandieri essere così ben equipaggiati, ma si rispose subito. L'impero doveva in qualche modo supportarli.
Reyla si sentì gli occhi puntati addosso mentre raggiungeva con fatica il terzo anello.
Un supervisore le si avvicinò - tu devi essere quella nuova, che seccatura... - sussurrò mentre appuntava velocemente qualcosa su un tacquino - scenderai... Vediamo... Cento gironi -
Reyla boccheggiò. I gironi erano numerati dal più vicino alla superficie fino a quello più basso, il centoventesimo. Nonostante ci fossero degli schermi per impedire a chi scendeva là sotto di bruciare vivo il calore saliva man mano che si passava da girone a girone. Il centesimo era uno dei più bassi, dei più pericolosi.
Ma Reyla non protestò. Non disse una parola e in silenzio salì sul carrello che veniva usato come ascensore, grande abbastanza per una decina di persone.
Il supervisore azionò una leva e le porte del carrello si chiusero, sigillandola all'interno. Poi con qualche scatto e beccheggio iniziò la discesa.
Era lento, tremante e cigolante. Ogni minuto che passava dentro quello spazio angusto la portava verso la follia, con il caldo soffocante e il pensiero del lavoro imminente a favorire la sua discesa.
Ma purtroppo non successe nulla. L'ascensore arrivò in fondo, al centesimo piano.
Reyla aspettò che le porte si aprissero per trascinare il pesante piccone nel cunicolo di pietra dove avrebbe passato le prossime ore.
Non c'erano soldati. Reyla si fermò non appena varcata la porta del carrello, che subito partì verso l'alto.
La poca luce proveniva da torce sulle pareti e Reyla non aveva idea di cosa fare. Rimase immobile a fissare il lungo corridoio dritto davanti a sé che si perdeva nel ventre della terra fino a quando una voce la riscosse dalla paralisi.
Una donna le si scagliò addosso da dietro un angolo che aveva usato come riparo. Impugnava una specie di coltello rudimentale.
Reyla rimase immobile fino a qualche istante prima di essere colpita, quando con un movimento fluido, che non credeva sarebbe riuscita a fare nelle sue condizioni, prese il polso dell'avversaria, lo torse fino a farle perdere la presa sul coltello e con un movimento del bacino la scaraventò a terra.
Ancor prima che cadesse Reyla afferrò il coltello al volo e lo puntò alla gola della donna.
Stava per ucciderla quando notò le orecchie sotto ai capelli arruffati. Era un'elfa.
- basta così - ordinò una voce alle loro spalle - lasciala andare, chiunque tu sia -
Reyla sbirciò oltre le spalle. Un folto gruppo di prigionieri si era raccolto, tutti armati con attrezzi da lavoro.
Riluttante, sapendo di non poter affrontare tutte quelle persone da sola, Reyla lasciò andare la donna che, tenendosi la gola andò a ripararsi dietro ai suoi compagni.
Reyla rimase accovacciata vicino al muro, pronta a difendersi.
- ne hanno mandata un'altra... - disse un uomo a quella che sembrava il capo del gruppo - non possiamo tenere anche lei -
Avevano tutti la testa coperta da cappucci fatti di stracci, ma Reyla poteva dire con certezza che alcuni erano umani e altri invece no.
- aspetterei a dirlo, Korav - disse la donna avvicinandosi a Reyla - hai visto come ha sconfitto Julia con facilità? -
Reyla rimase in silenzio.
- come ti chiami - chiese la donna avvicinandosi - hai un nome? -
Reyla alzò gli occhi offuscati per vedere il viso della donna. La verità era che mettere a terra quella donna le era costata l'ultima briciola di forza che le era rimasta e ora non sentiva altro che dolore e stanchezza. Non avrebbe potuto difendersi neanche volendo.
- per tutti gli dei, non è possibile - sussurrò la donna non appena la vide - non... -
Un mormorio si alzò dal gruppo. Reyla cercava di capire il perché di tutta quell'agitazione, ma non riusciva a ragionare lucidamente.
- Reyla? - chiese la donna togliendosi il cappuccio.
Reyla rimase un attimo senza parole - Yara? -
Si guardarono un momento, poi Reyla si slanciò in avanti per abbracciarla.
Yara rimase immobile - come puoi essere qui? - le chiese incredula.
Reyla sciolse l'abbraccio - tu come puoi essere qui! Eri sparita -
Yara continuava a guardarla come se non fosse reale. Anche gli altri elfi avevano lo stesso sguardo stralunato - ho sentito che dei compagni erano finiti qui e sono venuta per liberarmi - spiegò Yara - ma tu... Dovresti essere al sicuro nella foresta -
Reyla scosse la testa - ero stanca di quel posto, di mia madre che mi trattava come se fossi fatta di carta -
- e aveva ragione se sei finita qui - disse dura Yara.
Reyla ebbe l'impressione di tornare indietro nel tempo, quando aveva quattro anni e Yara era la sua maestra e tutrice. Era stata come una seconda madre per lei - io... Non è come pensi -
Yara le asciugò lacrime che Reyla non credeva neanche di aver perso - sono certa di no, devi raccontarmi tutto -
Reyla stava per farlo ma poi si accorse che tra loro c'erano anche degli umani. E tra loro riconobbe due volti - perché loro sono qui, Yara? -
Yara si guardò un momento alle spalle - non sono nemici, Reyla -
- sono umani - affermò Reyla come se spiegasse tutto.
- sono umani, sì. Ma non tutti gli umani sono nostri nemici -
Reyla emise un verso di sdegno - lo credevo anch'io finché uno di loro mi ha consegnata ai soldati dell'impero per salvarsi. E quei due... loro hanno cercato di rapirmi - Reyla indicò Layra E Lannis, che la fissarono in silenzio.
Yara la fece sedere a terra con cautela - ho detto che non lo sono tutti, non che tutti sono buoni -
Reyla rise - parli sempre per enigmi, non è cambiato -
Decise di ignorare per il momento i due traditori che l'avevano ingannata e intrappolata con l'aiuto di... Non voleva pensarci.
Anche Yara sorrise - anche se questo posto sta riuscendo a farmi smettere -
- è L'inferno - disse Reyla.
- lo è, a suo modo - disse la ragazza che prima Reyla aveva quasi ucciso - io sono Julia, è un piacere conoscerti -
- è un piacere anche per me - rispose Reyla cercando di sorridere - scusa per... Prima -
Julia annuì - forse dovrei essere io a scusarmi, ma accetto le tue scuse -
Yara intervenne - non era il momento giusto per il tuo arrivo, le cose qui sono... Tese -
- da quando c'è stata quella guerriglia una settimana fa - confermò un elfo - non ci fanno uscire da allora -
Reyla ne aveva sentito parlare, le guardie erano preoccupate - non uscite da qua sotto da una settimana? -
- ci portano da mangiare e passano ogni tanto per controllarci, ma sì - disse Yara. Sembrava preoccupata - c'è uno strano sentore nell'aria, i soldato sono tesi, così tanto che basta guardarli storto per venire puniti -
- io pensavo fosse normale che picchiassero i prgionieri senza motivo - sussurrò Reyla.
Yara le accarezzò la fronte - oh, piccolina. Non avrei mai voluto incontrarti in queste condizioni, avevo sperato in un momento più felice per rivederti, mi sei mancata -
Reyla si godette quel momento così familiare - dove sei stata? - chiese.
- tutto a suo tempo. Verrà il momento in cui ti spiegherò tutto, ma non adesso -
Reyla non fece più domande. Si accorse ben presto che non si lavorava lì sotto, piuttosto si parlava e si pianificava su come avrebbero fatto un giorno per uscire. Yara spiegò a Reyla come avevano fatto a farsi assegnare il centesimo girone, l'unico senza troppi controlli. Verso la superficie, anche solo al piano superiore, i controlli erano frequenti, in quelli invece più bassi il calore era insopportabile.
Scoprì anche che in quella prigione loro erano gli unici prigionieri, oltre a un gruppetto in cima alla torre, che avevano ancora la mente intatta. Tutti gli altri, anche quelli che aveva sentito nelle celle, altro non erano che Dimenticati, una volta umani o elfi che avevano perso la ragione per la violenza e i trattamenti magici subiti in prigione. Non erano semplici contrabbandieri, quelli che li tenevano prigionieri. Erano affiliati dell'impero, che li aiutava e finanziava per catturare i nemici più pericolosi.
Passarono giorni e giorni, il tempo veniva segnato ritmicamente dal ticchettio di un enorme orologio che si trasmetteva attraverso la terra. Secondo Yara si trovava da qualche parte verso il trentesimo piano, dove avevano trovato antiche rovine.
Le guardie scendevano in gruppi da tre ogni due giorni per portare il cibo.
Ma questo accadde per primi quattro giorni. Poi ci fu uno scatto di tre e ancora dopo per un'intera settimana non si fece vedere nessuno.
Reyla stava morendo di fame. Doveva essere domenica ed erano passate quasi due settimane da quando si trovava lì sotto. Le ferite, con l'aiuto di tutti i suoi compagni, avevano iniziato a guarire, lentamente ma con un effetto immediato di sollievo.
Aveva affrontato Lannis e Layra, qualche giorno prima, per finire col essere curata proprio da quest'ultima che si intendeva più di chiunque li dentro di medicina.
All'inizio era stato imbarazzante e complicato per Reyla farsi toccare dalle abili mani dell'umana, ma dopo qualche ora si era abbandonata al sollievo che le davano e aveva permesso persino a Lannis di fare qualche stupida e scialba battuta.
Ma poi qualcosa cambiò.
Come ogni giorno stava facendo il suo turno di ronda davanti all'ingresso del carrello con Julia, che si era rivelata essere una ragazza di ottima compagnia, e dei due traditori, come li chiamava lei.
- potresti sorridere, ogni tanto - disse Lannis annoiato.
Reyla lo guardò di sottecchi - solo perché non ti ho ancora ucciso non vuol dire che puoi parlarmi quando vuoi -
Layra, di fianco a lei, sogghignò. Reyla era restia a minacciarla, lei era stata l'unica che era sembrata un po' contrita per averla imprigionata, e le aveva salvato la vita.
- proprio come hai fatto con quel ragazzo... Jace, giusto? -
Reyla perse tutta la sua boria - giusto... -
- l'hai accoltellato in un occhio e buttato in mare, senza pietà - continuò lui, ma non sembrava volerla prendere in giro.
- potremmo non parlare di Ja... Lui? - lo fermò Reyla alzando di qualche tono la voce. Non avrebbe voluto, ma le era difficile parlare di Jace.
- poveretto - disse Layra allungando le gambe sulla dura roccia.
Reyla sentì indistintamente i passi leggeri di Yara arrivare alle sue spalle.
- poveretto? Mi ha tradita. Jace meritava di morire - Reyla si alzò in piedi - e anche voi, devo essere sincera -
Ma prima che potesse continuare Yara la prese per le spalle. Aveva gli occhi stretti in due sottili fessure e lo sguardo penetrante - ripeti quello che hai detto - intimò con la voce a metà tra il preoccupato e l'arrabbiato - chi hai ucciso? -
Reyla strinse le spalle - un umano che mi ha tradita -
- il suo nome - sussurrò Yara - dimmi come si chiamava -
- non c'è ne bisogno, Yara - la rassicurò Reyla - mi ricordo i tuoi insegnamenti, ma lui se lo meritava e... -
- il nome, Reyla! - esclamò Yara stringendola forte.
Reyla rimase per un istante sorpresa e rispose senza pensarci - Jace -
Yara fece un passo indietro e si prese la testa tra le mani - no... No, no, no -
- Yara, ma cosa?... -
Lei le infilò una mano in tasca e tirò fuori la collana che era nascosta dentro. Reyla l'aveva strappata dal collo di Jace prima che cadesse in mare e per qualche motivo l'aveva tenuta con sé.
- mi era stata famigliare quando l'ho vista qualche giorno fa, ma con il buio... - sussurrò Yara stringendola tra le dita.
- ma... Non capisco - disse Reyla confusa - tu conosci Jace? -
- l'ho conosco, sì. Lo conoscevo - una lacrima scese solitaria sulla sua guancia - dovevo aspettarmelo, non mi ha ascoltata -
- ma, Yara, lui chi era per te? -
- era... Quello che eri tu anni fa - rispose lei sedendosi su un masso - un allievo, ma anche come... -
- un figlio - rispose Reyla per lei - lo dicevi sempre quando ero piccola -
Yara annuì - dimmi com'è morto - disse con lo sguardo fisso a terra.
- ma, Yara -
- dimmelo Reyla. Non mi arrabbierò - la bloccò lei - voglio solo sapere -
Così Reyla le raccontò come erano andate le cose.
Alla fine, dopo qualche minuto, Lannis si avvicinò. Lui e Layra si erano tenuti in rispettoso silenzio fino a quel momento.
- quel ragazzo era davvero un ingenuo, ma aveva anche un buon cuore - disse con le mani incrociate - mi rammarica dire che hai fatto un errore, Reyla -
Yara lo fulminò con lo sguardo, ma fu Reyla a parlare - mi ha tradita -
Lannis scosse la testa - no, non l'ha fatto. Stava solo fingendo di tradirti, l'ho capito subito, ancora prima che me lo dicesse il capo -
Layra annuì per confermare le sue parole.
Un peso d'acciaio cadde sulle spalle di Reyla. Il peso di ciò che aveva fatto. Il peso di essere, come sempre, un mostro.
Guardò Yara, che capì all'istante - non è colpa tua, Reyla - disse lei cercando di sembrare convincente, ma stava piangendo - ha sempre fatto di tutto per le persone a cui voleva bene -
Reyla aprì bocca, ma fu interrotta da un rumore improvviso. Il cubicolo dell'ascensore iniziò a tremare. Yara aveva spiegato che succedeva solo quando il carrello superava il novantanovesimo piano e il centesimo era il capolinea.
Reyla corse via. Forse per chiamare gli altri prigionieri, come ogni volta che l'ascensore scendeva, o forse solo per scappare. Ma non perse tempo.
Usavano come base una caverna poco lontano da lì, appena qualche curva per confondere le guardie in caso di uno scontro.
Reyla raggiunse affannata la caverna, solo per scoprire che si erano già tutti mossi, allertati dal tremore della pietra.
Il gruppo la trascinò indietro. Reyla lì seguì cercando di scorgere Yara tra la folla ma non la trovò.
Quando riuscì finalmente a farsi largo tra i compagni erano giunti davanti al carrello e le porte si erano già richiuse.
Un prigioniero giaceva sotto Julia, che gli puntava il coltello alla gola, come aveva provato a fare con lei.
- questo è troppo - sussurrò un ragazzo - mandarci un altro prigioniero e pergiunta un ragazzino... -
- è svenuto, non... Sembra un pericolo - disse Julia.
Reyla fece un passo avanti ma ebbe appena il tempo di appoggiare il piede quando il ragazzo si alzò da terra di scatto e schiacciò Julia contro la parete, strappandole di mano il coltello.
Poi con una spinta la scaraventò nel gruppo e si mise in posizione di difesa, con le braccia davanti al volto e il coltello ben in vista. Animava e non per la stanchezza. Era pieno di sangue, molto probabilmente il suo.
- state fermi! - gridò con la voce impastata dal sangue.
Il ragazzo si avvicinò a Reyla. Aveva il cappuccio che gli copriva il volto e sembrava pericoloso, ma Reyla rimase immobile.
Giunto a un passo da lei il ragazzo si fermò e lasciò cadere il coltello che tintinnò a terra.
Poi le cadde addosso. Reyla rimase così stupita che non reagì subito. Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata.
Non appena si riprese spinse indietro il ragazzo, che cadde seduto per terra.
Il cappuccio gli scivolò sulle spalle.
Reyla rimase un momento senza aria. Tutte le sue paure erano venute a galla. I sentimenti, la rabbia che aveva soggiogato in quei giorni venne fuori in un colpo solo, facendole tremare le mani.
Yara si frappose tra lei e il ragazzo.
La donna aveva un'espressione che Reyla non le aveva mai visto fare. Era sorpresa, spaventata ma allo stesso tempo pareva anche... Felice.
- Jace? - sussurrò Yara con la voce che tremava - non può essere vero... -
Invece lo era. Jace era davanti a loro, coperto di sangue e ferite, ma con un'espressione fiera in volto.
Indossava un lungo mantello strappato in più punti e un'armatura appena abbozzata ma era lui. Capelli rossi, occhi verdi e un sorriso sornione che di allargava da orecchio a orecchio, che però scomparve subito.
- Yur? - sussurrò socchiudendo gli occhi - ma come puoi essere qui? E... Sei un'elfa -
Sembrava così frastornato che Reyla ebbe quasi l'intenzione di ridere, ma non lo fece. Non né aveva la forza e anche lei era un po' confusa.
- Jace, tu non dovresti essere qui, com'è possibile? Perché? - chiese Yara avvicinandosi a lui e abbracciandolo.
Reyla rimase impietrita - come... Ma... Tu sei morto. Ti ho colpito - fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Fu solo in quel momento che lo sguardo di Jace la trovò e uscì dall'ombra, entrando nel cono di luce della torcia.
Yara fece un passo indietro, spaventata. Reyla quasi cadde per lo sgomento.
- mi hai colpito, infatti - rispose facendo un passo avanti, con la voce atona - ma non sono morto -
Reyla era immobile. Lui la guardava tranquillo, ma lei non poteva fare altro che fissare la cicatrice rosata che scorreva dalla guancia alla fronte, deturpando i suoi lineamenti sottili. L'occhio destro era di un colore diverso dall'altro, un azzurro chiarissimo, quasi bianco.
- io... - Reyla balbettò senza riuscire a dire qualcosa di compiuto. Aveva immaginato cosa avrebbe fatto se l'avesse ritrovato, ma solo prima che sapesse che lui non l'aveva tradita, che lei lo aveva aggredito senza motivo.
Stava che ci fossero solo loro due e nessun'altro. Il silenzio era sceso tea i prigionieri, che si fondevano con le ombre delle pareti. Persino Yara sbraca solo un'esile figura al margine del suo campo visivo.
Ma poi il silenzio immobile si spezzò e Jace si diresse verso di lei a grandi passi, che rimbombarono nel tunnel. Aveva un'espressione indecifrabile, con le labbra tese in una linea sottile e gli occhi socchiusi.
Reyla non fece nulla. Aspettò ferma, mentre lui la raggiungeva, ciò che le avrebbe fatto. La sua vendetta. Sentì Yara esclamare qualcosa, ma non fece caso alle sue parole.
Jace arrivò proprio davanti a lei. Li dividevano pochi centimetri. Reyla poteva sentire il respiro del ragazzo, ansimante di rabbia.
Jace alzò una mano e Reyla chiuse gli occhi.
Ma quello che successe dopo proprio non poteva aspettarselo.
Sentì le braccia di Jace circondarla e, quando aprì gli occhi, si trovò avvolta in un abbraccio.
Rimase così spiazzata che non riuscì a fare nulla.
- mi dispiace - sussurrò Jace nel suo orecchio prima di affondare la testa nei suoi capelli - mi dispiace tanto -
Oltre la sua spalla Reyla poté vedere l'espressione di Yara passare dalla paura al sollievo. Era quello che stava provando anche lei e non riuscì più a trattenersi.
Ricambiò l'abbraccio, aggrappandosi a Jace con forza e nascondendo il volto nella sua spalla. Forse non l'avrebbe mai fatto, in altre circostanze, ma in quel momento sembrava la cosa più naturale e giusta del mondo.
Reyla non sapeva da quanto fossero abbracciati, ma a un certo punto, con suo grande disappunto, Jace la allontanò dolcemente.
Con le sue mani ancora sulle spalle Reyla boccheggiò per riprendersi - perché sei qui? - chiese con la voce così bassa che solo lui riuscì a sentirla.
Lui sorrise, il suo tipico sorriso contagioso - per portarti via da questo inferno, ovviamente -

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