Jace non ricordava cosa fosse successo. Non aveva idea del perché si trovasse sdraiato su qualcosa di comodo, seppure leggermente rigido, e perché avesse anche un cuscino sotto la testa e una coperta ruvida a coprirlo.
La testa gli pulsava incessantemente, provava così tanto dolore che non riusciva a pensare lucidamente. L'unica cosa di cui era certo era il sogno. Sempre lo stesso, inquietante sogno del castello e della voce, ma questa volta qualcosa in più era apparso. Appena attraversato il ponte si era accorto che qualcuno lo stava osservando da lontano, una figura indistinta, nera, senza una forma ben precisa che...
- l'elfo! - gridò alzandosi di scatto.
Il dolore lancinante che lo colpì alla testa lo fece raggomitolare su se stesso in posizione fetale.
Gli era tornato alla mente quello che era accaduto. La scalata della caldera, il fumo tossico e infine la caverna, dove l'elfo li stava aspettando e...
- dovresti stare più calmo, hai respirato un po' troppa di quella robaccia - disse una voce calda alla sua sinistra.
Jace si voltò per trovarsi davanti a un uomo, così incappucciato che non si riusciva a vedere nulla di lui se non le mani. Stava attizzando un fuocherello vivace con un bastoncino e si dondolava piano sui talloni, accovacciato.
- tu chi sei? - chiese Jace ancora spaesato - cosa ci faccio qui? -
Non rispose subito, attese qualche secondo - quante domande, ma nessuna è quella giusta - disse calmo senza guardarlo - chi sono io non ti è dato saperlo, e dove siamo... penso tu lo sappia già -
Jace lo sapeva, sì, ma non credeva ai suoi occhi. Si trovava ancora nella caverna dove era svenuto, ma non ricordava altro che l'elfo e la ricerca di Sora. Già, Sora... ormai non sapeva più neanche dove andare a cercarlo se non sul fondo di una caldera.
- tu sei un elfo... - disse e contemporaneamente si allontanò più che poté fino a toccare qualcosa di caldo e morbido sul pavimento. Con uno scatto si ritrasse verso la parete, appoggiandosi con la schiena alla fredda roccia.
Il fiato reso corto dalla paura lo stava soffocando, ma l'uomo rimase fermo dov'era, senza fare neanche un passo per bloccarlo.
- Non sono un elfo, Jace - disse voltando appena la testa, cosicché Jace riuscì a vedere solo un luccichio sotto al cappuccio e qualcosa di simile a un sorriso - ma non sono neanche umano, se è quello che intendi -
Si alzò e con pochi passi raggiunse un stuoia dove qualcuno giaceva come fino a un attimo prima aveva fatto anche jace.
Al suo passaggio il ragazzo si ritrasse istintivamente, provando lo stesso terrore inspiegabile che lo aveva assalito sul ponte. quell'individuo aveva qualcosa che metteva paura in Jace, qualcosa che neanche lui sapeva spiegarsi. Era come se anche solo guardandolo ogni cellula del suo corpo gli urlasse di scappare, di nascondersi il più lontano possibile.
- Non ho intenzione di farti del male -
Disse notando la paura di Jace - Non ti avrei aiutato, in caso contrario -
Jace non era convinto, ma annuì. Dopotutto quel misterioso individuo lo aveva curato dal fumo, su quello non c'erano dubbi.
- posso sapere come ti chiami? - chiese titubante - così posso ringraziarti come si deve -
L'uomo prese uno straccio bagnato e lo pose sulla fronte della persona sdraiata sulla stuoia con delicatezza, poi tornò al fuoco facendo segno a Jace di seguirlo.
Jace si sedette con lui, allungando le mani per scaldarle.
- come mi chiamo? - disse dopo un po' - diciamo che puoi chiamarmi Luthen, se ti fa piacere. Non do importanza a cose come questa, per me un nome è nulla -
Jace annuì - allora ti ringrazio, Luthen, per avermi salvato -
Luthen fece un segno di assenso con la testa, rimanendo in silenzio.
- il tuo amico è ridotto piuttosto male, Jace -
- come fai a conoscere il mio nome? - chiese lui, accorgendosi che non si era mai presentato da quando si era svegliato pochi minuti prima.
- so molte cose -
- questo non spiega perché tu mi conosca -
- io mi preoccuperei di più per Sora, se fossi in te - ribattè guardandolo negli occhi - Non si è ancora ripreso, stare qui non gli fa bene -
Jace era ancora più confuso - come fai a sapere di Sora? -
- è l'unico oltre a te che ha avuto la brillante idea di venire quassù, quindi... -
A un tratto Jace comprese le sue parole. Con un piccolo scatto raggiunse il corpo esanime che aveva visto poco prima, scoprendogli gli occhi con mani tremanti.
La chioma bionda e i lineamenti duri di Sora spuntarono da sotto la coperta. Jace si lasciò cadere seduto al suo fianco, incredulo.
Allora la missione era compiuta, dopotutto. Forse non nel modo che aveva immaginato all'inizio, ma l'importante era che lo avesse trovato, e vivo per giunta.
- con lui c'era anche qualcun'altro, una bambina - disse Luthen senza guardarlo - ma a quanto pare ha paura di me e se ne sta nascosta in un angolino, laggiù -
Con la mano indicò il fondo della caverna, dove una piccola rientranza creava un nascondiglio per chiunque fosse abbastanza piccolo da entrarci.
- Non pensavo che si fosse portato dietro qualcuno - sussurrò Jace più a se stesso che a Luthen.
Lui si strinse nelle spalle.
Jace si avvicinò piano al buio anfratto, cercando di non fare nessun passo brusco e si piegò un poco per guardare dentro. Nonostante la penombra vide una sagoma piccolina in fondo, schiacciata sulla parete.
- ciao - disse Jace.
Due occhioni lucenti spuntarono da sotto una folta e lunga chioma di capelli.
- mi chiamo Jace. Tu chi sei? -
La ragazzina lo fissò in silenzio per alcuni secondi, senza aprire bocca o muoversi.
- May - disse piano, con una voce squillante.
- è il tuo nome? - chiese Jace.
Lei annuì.
- allora May, che ne dici di venire fuori da lì? Ti devi riscaldare un po' -
Jace allungò una mano, invitandola ad ad afferrarla.
Lei lo guardò con gli occhi spalancati, e titubante si sciolse dalla posizione raggomitolata che aveva assunto fino a quel momento per gattonare piano verso di lui.
Man mano che la luce la illuminava Jace poté notare il colore rosso intenso dei suoi capelli e il faccino a cuore, grazioso ma allo stesso tempo deciso.
Quando si alzò arrivava a malapena alla cintola di Jace, che per parlarle si accovacciò.
- è un piacere vederti in faccia, May. La dentro mi sembravi un folletto della notte - disse sorridendo.
Per un momento May non reagì, poi un timido sorrisetto le incurvò gli angoli della bocca.
- uhm, allora solo di me hai paura, ragazzina - disse Luthen pensieroso.
Lei si nascose dietro a Jace, spiando attraverso una fessura tra il braccio e il corpo del ragazzo.
Jace non si fidava di quell'uomo, non ne aveva motivo. Ma altrettanto vero era che non aveva ragione di essere sospettoso, aveva salvato tutti loro da morte certa.
- devo andare via da qui, Luthen - disse Jace tenendo la mano della bambina - devo tornare al villaggio, e Sora viene con me -
Lui annuì come se non gli importasse, probabilmente era così - si sveglierà a momenti, poi avrete qualche ora prima che perda di nuovo sensi -
Era strano, sembrava che Sora fosse completamente fuori gioco, Jace non capiva come fosse possibile che avrebbe potuto riprendersi abbastanza per camminare.
- Non preoccuparti, non è malato. Il suo corpo sta smaltendo il veleno, è un processo irregolare. E lungo - gli rispose Luthen come se avesse capito le sue preoccupazioni.
Jace annuì e si sedette a terra, invitando May a fare lo stesso. Voleva chiederle spiegazioni su quello che era successo al suo amico e perché lei fosse con lui.
- May - disse guardandola negli occhi - puoi rispondere a qualche domanda, per favore? -
Nonostante fosse evidente il suo turbamento, annuì piano.
Jace si sfregò le mani, cercando le parole giuste - non sei obbligata a rispondere a tutto, se non vuoi - lei non reagì - Ti farò solo questa domanda, per ora. Perché tu e Sora siete finiti qui insieme? -
May guardò di sottecchi il corpo sotto la coperta, poi di nuovo li fissò in quelli di Jace. Di solito i bambini tendevano a non guardare direttamente una persona più grande, per paura o rispetto, ma lei invece sembrava cercare di proposito quel contatto - Con te posso parlare - disse composta, posando le mani nel grembo e lanciando un'occhiata a Luthen.
- tante grazie, piccola ingrata - bofonchiò Luthen dal suo angolo.
Lei lo ignorò - ho incontrato Sora due settimane fa, più o meno. Anche lui è buono, come te -
Jace non capiva cosa intendesse con buono, ma la lasciò continuare.
- mi ha aiutata a scappare, per questo gli sono grata - disse ancora con una nota di disappunto nella voce - ma poi siamo giunti qui, e i fumi ci hanno avvelenati. Sora ha cercato di coprirmi con uno straccio, ma lui è rimasto più esposto, e... -
- e poi li ho trovati io - concluse Luthen - e li portati qui. Fine della storia. Li ho nutriti e curati per due giorni interi -
Jace sussultò. Avevano passato giorni nei fumi velenosi...
Il fastidio di May era lampante ma annuì.
Jace però ancora non era soddisfatto. Quello che gli aveva detto non aveva nulla di nuovo, lo aveva già immaginato, a grandi linee. Una cosa voleva sapere più di tutte, un tarlo che gli rodeva il pensiero da quando era partito.
- da chi siete scappati, May? - chiese ancora.
Lei abbassò lo sguardo e intrecciò le dita, nervosa. Sembrava non volesse rispondere.
- Non importa se non vuoi dirmelo - disse Jace intenerito - prendi il tuo tempo, dopotutto sei ancora una bambina, scusami se ho insistito -
Scosse la testa - No, non sono una bambina. Ho nove anni - disse convinta.
Jace annuì e si alzò, dirigendosi verso il fuoco.
- gli elfi - disse May alle sue spalle - gli elfi mi cercano -
Jace si immobilizzò. Se lo era aspettato, ma sentirlo dire a voce alta era peggio di quanto pensasse.
- grazie - rispose con un sorriso forzato.
- dovresti tu darmi qualche spiegazione, Jace - disse dopo qualche attimo Luthen - siediti -
Jace obbedì senza discutere, anche se non sapeva cosa avesse potuto volere quel tipo da lui.
Luthen attizzò tranquillo con un bastoncino il fuoco, prima di parlare - quel simbolo che hai sulla mano - lo indicò con un gesto del mento - dove te lo sei procurato? -
Jace alzò la mano sinistra. Dopo così tanti giorni in cui lo aveva tenuto fasciato si era quasi scordato della bruciatura. Ma ora, alla luce del fuoco, qualcosa era cambiato. Sembrava che sulla nocca dell'indice si fosse formato un simbolo scuro, come un tatuaggio.
- Non lo so, sinceramente - disse osservandolo - ma non voglio scoprirlo, questo è certo -
Luthen sorrise, Jace riuscì a capirlo dal luccichio che giunse da sotto il cappuccio. Gli lanciò una involto, e il ragazzo lo prese al volo.
- aprilo, ti servirà -
Jace lo aprì con il fiato in gola, ma quello che trovò dentro lo lasciò piuttosto deluso. Tirò fuori una lunga benda, nera come l'inchiostro, di un materiale resistente ma flessibile tra le dita.
- mettila, scoprirai che può essere molto più utile di una normale fasciatura -
Jace iniziò a legarla, a partire dal polso per arrivare fino alle nocche.
- anche le dita, e ti conviene arrivare quasi al gomito - lo incitò Luthen.
Dopo un attimo di esitazione Jace fece come gli era stato detto. Si aspettava di dover tagliare il nastro, invece finì proprio nel momento in cui fece l'ultimo giro intorno al braccio.
Mosse un po' le dita per vedere quanto gli impedisse i movimenti, ma sembrava come una seconda pelle, morbida e comoda, non sentiva neanche il solito prurito dato dalla stoffa. Sembrava che non l'avesse neanche.
- ti ringrazio -
Lui mosse una mano in uno sfarfallio svogliato - No, non c'è ne bisogno, a me non serviva a nulla -
Un gemito li interruppe. Sora era sveglio, ma sembrava estremamente dolorante. May accorse al suo fianco e Jace la seguì a ruota.
Dopo qualche minuto in cui gli occhi del ragazzo li fissarono senza però riconoscerli, il suo volto si illuminò.
- Jace? - chiese cercando di alzarsi a sedere - Non è possibile... -
Jace lo aiutò con una mano dietro la schiena - - sono io, invece, sono venuto a prenderti, ragazzone -
Era un nomignolo che usava fin da quando era piccolo, e sapeva che a Sora faceva piacere sentirsi chiamare a quel modo.
Infatti sorrise - che stupido che sei, dovevi stare al villaggio. È pericoloso, gli elfi... -
- Non preoccuparti per loro, qui non ci troveranno. E quando partiremo non riusciranno a raggiungerci, vedrai -
Lo sguardo che gli lanciò May era poco convinto, ma non ribattè.
- partiremo? -
- si, Sora. Partiremo non appena potrai alzarti -
- allora non aspettiamo altro, non voglio immaginare quanto siano preoccupati al villaggio -
- Non ne hai idea, Sora. Thea stava impazzendo, e il matrimonio... -
Lui abbassò il capo, pieno di sconforto.
- se volete partire vi consiglio di farlo in fretta. I fumi velenosi si alzeranno presto - consigliò svogliatamente Luthen fissando le fiamme, sempre più intense.
Jace acconsentì e iniziò a raccogliere le sue cose. Era improvviso, inaspettato, ma dovevano per forza andare. Non potevano permettersi di respirare quei fumi un'altra volta e ora Sora era sveglio... Anche se barcollante.
Per fortuna la bisaccia di Jace era rimasta intoccata, mentre Sora e la ragazzina non avevano nulla da portarsi dietro.
In men che non si dica erano pronti a partire, tutti e tre in piedi di fronte all'apertura della grotta.
Sora spinse May all'interno della spaccatura e, tenendosi alla roccia scura, strisciò dentro anche lui, subito dopo aver ringraziato Luthen, che non rispose.
Jace stava per seguirli quando l'altro gli prese la spalla. Ora che era in piedi Jace si accorse che era davvero molto basso, e non era più tanto sicuro che fosse un uomo.
- ti consiglio di stare attento, Jace - gli disse da sotto il cappuccio.
Jace annuì e con un gesto del capo lo salutò, senza parole. Nonostante fosse un estraneo in tutto e per tutto gli aveva salvato la vita e per questo Jace gli era estremamente grato.
Poi si lasciò alle spalle l'antro scuro, uscendo dalle viscere della terra per spuntare fuori, alla luce morente del sole, filtrata attraverso lo strato di sottile nebbia che precedeva il tramonto.
Sora e May lo aspettavano fuori, appoggiati a un grosso masso. Sora sembrava davvero spossato, Jace guardandolo si sentì in colpa per averlo scombussolato così all'improvviso, ma non poteva fare altro, era la possibilità migliore.
Di lì a poco sarebbe sceso il buio e con il favore della notte sarebbero riusciti a passare inosservati nel bosco, magari con un po' di fortuna fino al villaggio.
- appoggiati a me, Sora - lo invitò Jace porgendo la spalla - dobbiamo andare, ora -
Lui sbuffò per lo sforzo di rimettersi in piedi, ma non lo contraddisse.
- May, tu vai avanti, così non ti perdo di vista -
Lei restò ferma.
- May, dobbiamo fare in fretta - la incitò ancora Jace.
Lei scosse la testa - No, io non vengo con voi -
- ma cosa stai dicendo? Certo che vieni con noi - questa volta fu Sora a parlare - dove vorresti andare? -
- gli elfi seguono me, non voglio che voi due veniate coinvolti -
- Non dire stupidaggini, non ti lasciamo in balia di assassini, vai avanti - disse perentorio Jace
- ma... -
- niente ma, vai e basta -
Lei tentennò ancora per qualche istante, poi si tirò il cappuccio sopra a testa, coprendosi il volto, e iniziò a camminare lungo l'indistinto sentiero.
Jace scorse un luccichio sulla guancia della bambina, come una lacrima.
- chissà com'è cresciuta quella poveretta se è disposta a morire così giovane... - disse Sora mentre la seguivano a ruota, qualche metro dietro di lei.
- già, chissà - concordò Jace pensieroso.
La notte scese prima che raggiungessero il ponte sospeso sulla caldera minore e solo quando il buio li avvolse completamente il senso di ansia li lasciò andare.
Ora camminavano molto più speditamente. Vennero rallentati solo dal dover attraversare uno alla volta lo stretto attraversamento in legno, ma per il resto tennero un passo svelto, accelerato dalla consapevolezza di star raggiungendo la sicurezza del villaggio.
Solo Jace, mentre sosteneva il peso di Sora, iniziò a farsi delle domande sulla sorte di Luthen.
Non gli avevano neanche chiesto se voleva venire con loro, ma ora che ci pensava meglio capiva anche che quell'individuo era piuttosto strano.
Viveva da solo nella caldera, senza cibo e apparentemente senza acqua, immerso nei fumi velenosi e con una bestia terribile appena fuori dal suo nascondiglio. Una vita piuttosto singolare.
Ma in ogni caso non l'avrebbero mai più rivisto, quindi quelle domande sarebbero rimaste senza risposta.
Passarono tre ore, poi quattro e ancora cinque.
Ormai erano quasi a valle, i pendii che fino a quel momento avevano dato loro filo da torcere si stavano facendo più dolci e il terreno da roccioso era diventato soffice e regolare, con una bassa erbetta fresca che rendeva il cammino molto più piacevole.
Fecero solo tre pause per far riposare Sora, ognuna delle quali durò sempre meno, spinti dalla paura che si leggeva negli occhi di May e, anche se cercava di nasconderlo, in quelli di Sora. Avevano visto in prima persona cosa fossero capaci di fare gli elfi, e ora non volevano per nessun motivo trovarseli davanti.
Finalmente, dopo sei lunghe ore a guardarsi le spalle temendo di vedere comparire uno di quegli assassini da dietro un albero, scorsero tra le fronde le fioche luci delle case, ben visibili in mezzo al buio.
Forse anche troppo visibili, pensò Jace, ma meglio così, potevano scegliere la via più corta per raggiungerlo.
Il sollievo fu ancora più evidente nell'espressione stanca di Sora, che si illuminò in volto.
- Non pensavo di rivederlo... - disse sottovoce.
Jace sorrise. Dopotutto nonostante il pericolo corso per salvarlo ne era valsa la pena, anche solo per vedere il suo volto pieno di gioia, e non immaginava neanche quanto sarebbe stata contenta Thea...
Erano a poche decine di metri dalle prime case quando un fruscio allarmò Jace, che si liberò dal peso dell'amico per voltarsi. Ma l'unica cosa che vide fu un bagliore argenteo, poi un dolore bruciante alla spalla destra.
Si piegò in due, afferrandosi la manica della tunica, ma non c'era nulla. Nessun oggetto tagliente, nessun buco nel tessuto. Solo quel dolore fisso e pulsante, come un chiodo incandescente.
- tutto a posto, Jace? - chiese preoccupato Sora avvicinandosi.
Jace annuì e si alzò, confuso. Non voleva mettere in allarme quel poveretto, aveva già vissuto i suoi traumi.
- andiamo, mi era sembrato di sentire un rumore, ma non è niente -
Ripresero a camminare, questa volta in mezzo alle basse case in legno, ma qualcosa non andava. C'era troppo silenzio, era innaturale. Nonostante fosse passata mezzanotte da un pezzo, era tutto troppo fermo, troppo desolato.
- qualcosa non va, le luci sono accese - disse Sora.
Le luci erano una serie di torce, appese ad alti pali, che venivano accese solo in rare occasioni, come matrimoni, o funerali.
Camminarono ancora per pochi minuti fino a scorgere l'unica casa con tutte le luci accese e dalla quale proveniva un brusio concitato.
Sora e Jace si guardarono, consapevoli che forse sarebbe stato meglio non sapere cosa fosse successo.
May era altrettanto spaventata, camminava a fianco dei ragazzi tenendo la manica di Jace.
Lui poteva capirla, il villaggio così com'era metteva un po' di inquietudine, quasi come se fosse un paese fantasma.
Entrarono dalla porta aperta, era la casa dei Brook, una famiglia di contadini, che però possedevano un grande cortile posteriore, perfetto per eventi dove tante persone si riunivano.
I cardini cigolarono, arrugginiti. Appena entrati i versi indistinti di poco prima si trasformarono in una moltitudine di voci che si sovrapponevano in una discussione accesa.
Attraversarono le tre stanzette spoglie e buie, seguendo la calda luce che giungeva dal retro della costruzione, cercando di captare qualche parola, senza successo.
May era sempre più spaventata e ormai si nascondeva dietro a Jace, cercando di farsi piccola piccola.
Con mano tremante, più per la fatica che per altro, Jace aprì la porta in legno che li separava dal cortile.
Uscirono all'aperto solo per essere investiti da una forte puzza di fumo e da una cacofonia assordante.
Sotto tutto il porticato, dove normalmente giacevano gli animali, una massa di persone circondava un piccolo palco al centro, approntato con un carro rovesciato. Tutti, o quasi, parlavano contemporaneamente, discutendo di un argomento che sfuggiva a Jace.
Sul palco, in posizione sopraelevata, c'erano due uomini e una donna, Fohrt, Mastro Brooks e Mirta, la madre di Sora.
Proprio in quel momento Fohrt, che sembrava sfinito, invocò il silenzio.
Anche se lentamente la folla si calmò sotto al suo sguardo severo. Tutti avevano rispetto di quell'uomo, anche chi si dichiarava suo nemico nelle dispute di territorio. Era inevitabile, emanava un'aura di serietà e anche di paura.
- basta, basta! - disse alzando le mani - Non è in questo modo che riusciremo a trovare una soluzione. Dobbiamo discuterne con calma -
- tu dici così, ma due dei nostri ragazzi sono scomparsi sulla caldera, cosa dobbiamo aspettare!? - urlò qualcuno dalla folla
- quando si è trattato del figlio di Mirta siamo partiti subito, ora perché esitiamo? - aggiunse un altro.
Mirta si fece avanti - pensate che noi non vogliamo cercarli? Uno è mio figlio e l'altro è, ditemi ora se mi sbaglio, figlio di tutti noi, e Fohrt gli è più affezionato di chiunque! -
Tutti si zittirono.
- ora guardate quella ragazza - continuò indicando qualcuno - Il suo promesso è scomparso, uno dei suoi più cari amici anche, ma non sta pensando irresponsabilmente come voi altri! -
- hai ragione, Mirta, quando dici che il ragazzino è figlio di tutti noi, anche se non è nato qui. Qualcuno può negarlo? - chiese Mastro Brooks rivolgendosi ai presenti.
Ci fu un verso di assenso comune.
- Jace è partito da solo, per non coinvolgere nessuno di noi, e lo abbiamo lasciato fare senza dire nulla, nascondendoci nella nostra paura. E ora voi, come me, vi sentite in dovere di cercarlo, lo capisco -
Quell'uomo era un oratore molto abile. Jace rimase commosso da quelle parole, come vide riflesso negli occhi di Sora.
- ma non possiamo commettere pazzie! Volete che qualcun'altro scompaia solo perché siamo stati troppo spavaldi? Io no -
Un coro di "no" e "ha ragione" scoppiarono tra le fila di spettatori, appesi alle labbra dell'uomo.
- allora asoltatemi, gente. Gli elfi sono la fuori, in agguato, un nemico che dei campagnoli come noi, lo ammetto con dolore, badate, non possono fronteggiare né con la forza né con l'ingegno. L'unica cosa che possiamo fare ora è sperare -
Fohrt annuì e Mirta sembrò soddisfatta, anche se delle lacrime le scesero lungo le guance.
Il silenzio calò inesorabile mentre tutti digerivano la realtà delle parole appena sentite, per quanto dure e tristi esse fossero.
Anche Jace si trovò d'accordo con lui, la priorità doveva essere sempre quella di salvare il villaggio.
Menomale che loro erano lì.
- Non ci sarà bisogno di sperare molto a lungo! - disse ad alta voce Sora.
Il suo grido percorse tutto il cortile come una striscia di fuoco, che subito innescò un effetto eccessivo.
Centinaia di occhi si votarono verso di loro, fissandoli increduli.
Per alcuni istanti non volò una sola parola, tutti erano immobili.
Ma il grido di gioia di Thea sbloccò l'incredulità e il caos scoppiò in un attimo.
Una moltitudine di mani afferrarono il ragazzo per le spalle, strappandolo alla presa di Jace per abbracciarlo, o anche solo toccarlo.
Jace si fece da parte, strisciando verso il muro e sedendosi con la schiena dolorante appoggiata a una morbida balla di fieno. May fece lo stesso, aggrappandosi al ragazzo.
Jace osservò la scena, commosso nel profondo. C'era chi abbraciava Sora, chi gli dava pacche sulle spalle e chi non poteva credere che fosse davvero lui, come la madre e il padre, che lo toccavano in volto, quasi a volersi accertare anche con il tatto che non si trattasse di un'illusione.
Ma fu la reazione di Thea quella più soddisfacente. Lo abbracciò così stretto, con un impeto tale che per poco non caddero a terra.
Scoppiarono tutti in una sincera e liberatoria risata.
Jace si accorse di provare dolore nel ridere, una pulsazione profonda, palpitante. Anche la testa, ora che l'adrenalina si stava esaurendo, gli girava terribilmente.
- Jace - lo chiamò May tirandogli una manica - sei ferito -
Lui lo sapeva già, sentiva da quel momento nel bosco che qualcosa non andava, ma non aveva voluto dire nulla per non allarmare Sora.
Le scompigliò i capelli sotto al cappuccio - Non preoccuparti, sto bene. Non fa così male -
- Jace! - un urlo interruppe sul nascere la risposta della bambina. Un vortice di capelli biondi lo invase, buttandolo a terra, e due braccia lo strinsero in un abbraccio di ferro.
- ciao Thea - la salutò lui con un grugnito. Il dolore alla spalla aumentò ancora di più - cerca di non strozzarmi, va bene? -
Lei si svincolò dall'abbraccio e lo squadrò per bene - l'hai trovato, Jace. L'hai trovato davvero -
Lacrime di gioia le riempirono gli occhi, e un attimo dopo scoppiò a piangere.
Jace la consolò con delle pacche amichevoli sulle spalle. Un gruppetto si era stretto intorno a loro.
- ti dobbiamo ringraziare anche noi, ragazzo - disse il padre di Sora facendosi avanti abbracciato alla moglie - sei partito nonostante tutti credessero che nostro figlio fosse morto. Non so neanche cosa dire -
Thea si alzò di scatto, con un luccichio negli occhi, anche se ancora bagnati di lacrime - alzati Jace, vieni verso il palco, dobbiamo annunciare a tutti quello che hai fatto - disse sorridendo.
Poi iniziò a parlare concitatamente con tutti gli altri, organizzando una festa o qualcosa di simile.
Ma Jace non si alzò, rimase dov'era, quasi sdraiato a terra.
Dopo pochi minuti fu Mirta che si accorse per prima di May.
Si piegò e, nonostante lei si tirasse indietro, le scostò il cappuccio - e tu chi sei, piccolina? - le chiese con un tipico sorriso materno.
May non rispose, anzi, si nascose ancora di più, raggomitolandosi su se stessa.
- è May, una bambina che ha incontrato Sora - spiegò Jace con il fiato mozzo - Non c'era nessuno con lei così abbiamo deciso di portarla con noi -
- allora entrambi avete aiutato Sora. Alzatevi e andiamo - disse Mirta sorridendo a May.
Lei si alzò, ma piuttosto per assecondare la donna che per sua spontanea volontà.
- Jace, tu non vieni? - chiese Thea voltandosi - dopotutto sei tu il festeggiato, stanotte. Anche se ormai è quasi mattina -
Jace gemette, buttando fuori l'aria dai denti. Il bruciore alla spalla stava diventando molto più intenso e la stoffa bagnata del vestito indicava che stava perdendo sangue - mi sa che non posso, Thea - rispose con un filo di voce - ho un problema -
- cosa? - chiese lei confusa.
Prima che Jace potesse rassicurarla intervenne May, scatenando il panico - è ferito - disse, e anche se non parlò particolarmente forte la sua voce eccheggiò tra le persone riunite intorno.
Dopo pochi istanti di incertezza Mary, che prima osservava in disparte parlando a bassa voce con Fohrt e Niar, si precipitò al fianco del ragazzo, trafelata - dove, cosa ti sei fatto, Jace -
Lui spostò la mano dalla spalla che fino a quel momento aveva tenuto nascosta - Non è niente, davvero, non rendiamo una cosa così insignificante un problema -
- per gli dei, ragazzo - esclamò Fohrt nel vedere la ferita.
Thea si coprì la bocca con una mano, forse per non vomitare.
- è così brutta? - chiese Jace strisciando fino a mettersi seduto.
Guardò il piccolo foro sanguinante che spiccava un mezzo al pallore della pelle. Non gli sembrava nulla di particolarmente grave, anzi, era poco più che un taglio.
Però bruciava più di quanto non volesse ammettere, e la testa gli girava ogni volta che posava lo sguardo sul sangue, procurandogli un acuto senso di nausea.
Mary si piegò e dolcemente tastò la ferita.
Jace gemette mentre qualcosa di duro e freddo strisciava fuori, millimetro dopo millimetro, fino a cadere a terra con un tintinnio metallico.
- che diavolo era? - chiese ansimando a Mary, intenta a raccogliere l'oggetto.
Uno strano silenzio si era formato intorno a loro, quasi come se fossero tutti in attesa del verdetto della donna.
Mary gli mostrò il piccolo dardo, spesso poco più di mezzo centimetro e lungo due, affilato su un lato.
- questo - disse avvolgendolo in un panno di stoffa - è un dardo da balestra, ne ho visti di simili in passato - la voce le uscì in un soffio - Non è un'arma umana -
Il significato di quelle parole si stampò a fondo nella mente di Jace, che comprese la gravità della situazione.
- gli elfi - sussurrò Fohrt, ma tutti lo sentirono - sono arrivati gli elfi -
Mentre scoppiava il panico Jace afferrò la manica di Thea, trattenendola - dov'è Yur? - chiese alzandosi in piedi, movimento che gli costò una nuova serie di fitte di dolore.
Lei lo guardò negli occhi, ma il suo sguardo diceva tutto quello che Jace voleva sapere, e che già sapeva in fondo - è andata via, non è vero? -
Dopo un attimo di esitazione Thea annuì - poco prima di te. È passata da casa nostra per avvertirci, poi nessuno l'ha più vista -
Jace la lasciò andare, ma Thea non si allontanò. Anzi, lo abbracciò.
- mi dispiace, Jace, per quanto vale. Ma sono contenta che non ti abbia portato con sé. Non avrei avuto indietro Sora, anche se può sembrarti egoista -
- è importante eccome, Thea - Jace si divincolò dalle sue braccia - e non posso dire che sia una sorpresa, lo aveva sempre detto che un giorno sarebbe partita -
Era vero, Yur gli aveva sempre ripetuto che prima o poi si sarebbero divisi, ma non pensava così presto.
Thea annuì, poi si voltò verso gli altri, che di nuovo avevano iniziato a discutere sul da farsi, creando una confusione di voci e idee diverse.
C'era chi voleva combattere, chi voleva scappare e chi addirittura diceva di fare un sacrificio per placare l'ira degli elfi.
In un angolo May si faceva sempre più piccola, evitando lo sguardo e le attenzioni di Mary e Mirta, che stavano cercando di convincerla a farsi curare un taglietto sul braccio.
Jace non riusciva proprio a vedere quello sguardo di colpa in una bambina così piccola, come se tutto quello fosse colpa sua. Nessuno si meritava un tale peso, neanche un adulto, figuriamoci lei.
Il ragazzo incrociò il suo sguardo e con un mezzo sorriso cercò di tranquillizzarla, di farle capire che c'era una soluzione.
Poi si incamminò verso il palco, passando attraverso la moltitudine di corpi accalcati uno all'altro, fino a raggiungere il legno marcio della ruota, alta poco meno di lui.
Facendo leva sul braccio buono riuscì a issarsi sopra alla pedana e a mettersi in piedi.
Attese. Poco a poco, persona dopo persona, iniziarono a indicarlo e fissarlo, così che nel giro di dieci minuti ebbe la completa attenzione del pubblico.
Solo quando il brusio si ridusse a un rumore di fondo prese parola.
- so di non essere un adulto e di non avere il diritto di salire su questo palco, ma per favore asoltatemi - l'imbarazzo rendeva difficile ogni parola.
- dopo quello che hai fatto per Sora hai tutto il diritto di parlare - disse una donna dalla folla.
Altri annuirono.
- vi ringrazio - continuò Jace facendo un gesto di rispetto con il capo - perché è una questione urgente. Io so perché gli elfi sono al villaggio, so cosa cercano e come mandarli via -
Questa volta non furono pochi gli occhi che si spalancarono, a metà tra lo stupore e la scetticità.
- vai avanti - lo incitò Fohrt.
Jace cercò con lo sguardo May, che ora era aggrappata alla gonna di Mary, sempre più spaventata da come la situazione stava evolvendosi.
La rassicurò con un mezzo sorriso, poi riprese a parlare - vi prego di non reagire in modo esagerato - doveva ponderare bene le parole se voleva che il suo piano avesse successo - perché quello che sto per dirvi potrà sembrarvi strano - allungò un dito per indicare May - ma è lei il motivo, la stanno cercando. Sora può confermarlo -
Com'era ovvio dopo pochi istanti scoppiò l'inferno. Un urlo si sovrastava all'altro, le persone si spintonavano per arrivare più vicino al palco, per farsi sentire da tutti. Per fortuna nessuno prese di mira la bambina.
- consegnamola! - urlò qualcuno sovrastando gli altri - Non possiamo rischiare le nostre vite per un'estranea! -
- ne avete di coraggio! - li zittì subito Mirta - consegnare una bambina a degli elfi assassini, è assurdo. Mi vergogno di voi, di tutti voi! -
- Mirta ha ragione, noi non siamo così. Vedrete che tutti insieme potremo difendere sia il villaggio che quella quella bambina - disse il padre di Sora convinto - sono solo un piccolo gruppo, da quello che abbiamo potuto vedere -
- e noi siamo tanti - continuò per lui Fohrt - Non siamo guerrieri, ma possiamo farcela - stavano completamente contraddicendo ciò che fino a poco prima avevano affermato.
Jace non poteva più rimanere in silenzio davanti a tanta sconsideratezza. Non avrebbe permesso una tale pazzia. Si stavano contraddicendo, solo qualche minuto prima erano travolti dalla paura.
- No! - gridò. Tutti si votarono, aveva di nuovo la loro attenzione - Non faremo né una né l'altra cosa -
Fohrt si fece avanti - cosa stai dicendo, Jace? -
- sto dicendo che vi ammazzerebbero tutti se provaste a fermarli, sono elfi - rispose Jace sperando che lo avrebbero compreso.
- Non possiamo neanche fare nulla, ragazzino. Questo è il nostro villaggio e non lasceremo che quei mostri la passino liscia! - disse lo stesso individuo di prima, quello che gli aveva dato il permesso di parlare.
- Non sto dicendo questo - disse Jace, ma era sempre più stanco - io so cosa fare. Penso che sia venuto il momento per me di ringraziarvi per averci accolto tra voi, e posso ripagarvi in un solo modo -
Mary stava per interromperlo, ma lui alzò una mano - avete fatto così tanto per me e Yur che non so come sdebitarmi, non potrò farlo mai, ma posso ora impedire che facciate una pazzia -
- cosa proponi, ragazzo? - gli chiese Fohrt, avendo la delicatezza di non contraddirlo.
Jace lo guardò un poco prima di rispondere - l'unica soluzione possibile, la migliore. E non intendo sentire ragioni, ormai ho preso la mia decisione, ho quindici anni, posso farlo -
Sora e Thea, che fino a quel momento erano stati forse gli unici a stare in silenzio, intervennero - Non mi piace come lo stai dicendo, Jace -
Lui guardò le loro facce preoccupate, ma non lascio che la sua convinzione vacillasse - l'unica soluzione è che la bambina se ne vada - disse, trovando conferma tra il pubblico.
Lasciò che si sfogassero in urla e discussioni su come mandarla via, che durarono non poco.
- e sarò io ad accompagnarla -
Prima che si potessero ribellare scese in tutta fretta dal palco, e si fece largo a spintoni, ignorando il dolore della ferita. Non poteva più stare in mezzo a quella baraonda, voleva trovare un posto dove riposarsi, ne aveva bisogno.
Fece finta di non sentire i richiami di Thea e le urla di Fohrt, lasciandoli indietro quando la folla si richiuse alle sue spalle.
Raggiunse May, ancora avvinghiata alla gonna di Mirta e le porse la mano.
Lei la prese, senza fare domande. Jace era grato per quello, non poteva fermarsi a dare spiegazioni a quella poveretta, anche se aveva tutto il diritto di averne.
La accompagnò fuori, oltre la porta sul retro, oltre quella d'ingresso della piccola casetta, allontanandosi sempre più, fino a quando il rumore diventò un brusio lontano.
Ormai le fiaccole servivano a ben poco, l'alba era imminente, annunciata dalla striscia di cielo chiaro all'orizzonte, appena sopra la punta della caldera, dove tutto era cominciato.
- andiamo, ti porto a casa mia, May - disse Jace dopo un attimo in cui si godette il silenzio del villaggio abbandonato - abbiamo molto da fare, dobbiamo prepararci -
Lei però rimase ferma dov'era, lo sguardo a terra e le mani che si tormentavano l'un l'altra
- No - disse senza guardarlo - ho già detto che non voglio che nessuno... -
- Non è qualcosa che una bambina dovrebbe neanche pensare, non ti permetterò di fare di testa tua -
- perché? - chiese May dopo un attimo di esitazione - noi non ci conosciamo, non mi devi nulla -
- Non... Non è questione di dovere - le spiegò Jace - è normale che una persona più grande si prenda cura di una più piccola, anche se non la conosce -
- ma non hai paura? -
Jace si coprì il volto con una mano.
- certo che ho paura, May. Ma non... Non devo pensarci, io ti porterò via da qui, troveremo Yur, e lei saprà cosa fare. Ora andiamo -
Lo seguì ancora indecisa, era evidente che non si fidasse del tutto di lui. Come darle torto, dopotutto erano due sconosciuti.
Arrivarono dopo mezz'ora di silenzio completo nei pressi della radura, in mezzo al bosco, al centro della quale svettava beffarda la piccola casetta in legno, con la porta aperta, come l'aveva lasciata Jace l'ultima volta.
- vivi qui? - chiese May, con gli occhi sgranati.
- si, ci vivo. O ci vivevo, almeno - disse lui fissando l'orto, il cancello della recinzione e tutto quello che gli ricordava quasi otto anni della sua vita, gli anni più belli.
Si avvicinò piano all'entrata, scorrendo con la mano il legno ruvido della vecchia e cigolante porta, quasi caduta dai cardini per la foga con cui l'aveva aperta tre giorni prima.
Alla vista dell'interno sorrise. Il letto di Yur era ancora sfatto, con le coperte buttate alla rinfusa in un mucchio gigantesco e una pentola, ormai piena solo di brodo freddo, aspettava di essere aperta e pulita.
Peccato che Jace non aveva intenzione di rimanere lì ancora per molto. Doveva solo prendere quello che gli serviva, poi se ne sarebbe andato una volta per tutte.
Si avvicinò al piccolo giaciglio che d'estate metteva fuori per gli uccellini che volevano farvi il nido, appoggiato sullo stretto davanzale della finestra, in fondo. Tra la paglia trovò gli ultimi spiccioli che gli erano rimasti, qualche decina di Mol di rame, tredici Sir d'argento e un Vor d'oro, frutto della sua fatica. Un Vor valeva dieci Sir, un Sir quaranta Mol.
Non era molto, ma almeno era qualcosa.
Poi raccolse lo zaino che anni prima gli aveva preparato Yur con del resistente cuoio, arraffò tutto il cibo che poteva trovare e lo mise in una delle tasche. Nelle altre infilò erbe medicinali, sale e qualche benda malconcia e due pentole, una bassa e una alta.
Purtroppo non trovò nessuna pietra focaia, dovevano averle consumate tutte, ma non era un gran problema, in giro nella valle se ne trovavano in quantità, se si sapeva dove cercarle.
- cos'è quello? - chiese May curiosa, fissando un libro piuttosto grosso e appariscente.
- è il libro di Yur - rispose Jace prendendolo - Non l'ho mai letto, non me lo lasciava fare -
May lo guardò, preoccupata - grazie, Jace. Sei... Gentile - gli disse di punto in bianco.
Jace fu colto alla sprovvista dal complimento. O almeno sperava che lo fosse.
Mentre cercava altre cose indispensabili per il viaggio decise che era il momento di farle qualche domanda.
- senti, May, perché dici che sono buono o gentile? Anche alla caldera è stata la prima cosa che mi hai detto -
Lei, seduta su una seggiola, fece dondolare le gambe, concentrata sulle punte dei piedi - io... riesco a capire se qualcuno ha buone intenzioni, e tu hai sempre avuto buone intenzioni verso di me. È raro, sai -
Jace rise - Non è così raro, May. È normale che io abbia buone intenzioni verso una bambina, soprattutto se quest'ultima si trova in pericolo -
Lei scosse la testa - ti stupiresti nello scoprire quante persone la fuori sono malintenzionate -
Jace si zittì. Nonostante fosse più piccola di lui sembra a che May avesse già visto di tutto. Quegli occhi, così tristi e sospettosi, non erano occhi da bambina, piuttosto sembravano quelli di un vero e proprio adulto. Anche il suo modo di parlare, le maniere educate con cui si atteggiava, non erano proprie di qualcuno della sua età.
- capisco. Quindi ci stiamo per buttare in un'avventura pericolosa, eh? -
Lei annuì, seria - per questo non dovresti venire - disse tirandosi il cappuccio a coprirle il viso.
In quel momento, guardandola con la coda dell'occhio, Jace si accorse di una somiglianza strabiliante con qualcuno che aveva già incontrato, ma non sapeva dove. O forse sì, dopotutto.
- tu... noi ci siamo già conosciuti, prima della caldera, non è vero? -
May sobbalzò e si girò dall'altra parte per non guardarlo - ti stai sbagliando, Jace -
- invece no - rispose lui avvicinandosi, piegandosi sulle ginocchia per guardarla negli occhi - tu sei il bambino incappucciato del passo degli orsi! -
Il suo silenzio fu la conferma per Jace.
- potevi dirmelo subito che eri una bambina, quel giorno! - esclamò scoppiando a ridere.
- Non ce n'era bisogno, non ci saremmo mai più incontrati - rispose lei guardando confusa il suo sfogo di ilarità.
- Non hai tutti i torti. Invece guarda che ci siamo visti di nuovo, il destino è proprio strano, non trovi? -
- sì, lo è - rispose con un mezzo sorriso.
Jace si alzò e colpendosi le ginocchia con le mani esclamò, risoluto - ora che abbiamo fatto le presentazioni è ora di andare, May. Tutto è pronto per partire -
Lei annuì e si alzò a sua volta.
Jace la accompagnò fuori, alla luce del sole, ormai alto in cielo.
Prima di chiudere la porta di casa, però, si voltò un'ultima volta a guardare il piccolo ambiente in penombra. Un solo fascio di luce illuminava il tavolo al centro della stanza, rivelando i granelli di polvere che volavano, liberi di appoggiarsi ovunque.
Il suo sguardo passò prima sui letti, dove avevano dormito lui e Yur infinite volte, poi sul catino per lavarsi, infine sulla stufetta, in un angolo, che gli ricordava più di tutte la sua maestra, o forse per meglio dire quasi una zia per lui.
Yur infatti aveva detto mille volte che non poteva considerarla sua madre, e lui così aveva fatto. Ma ormai era parte della sua famiglia, non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente.
Chiuse la porta - andiamo - sospirò sorridendo a May, che lo guardava preoccupata.
Si incamminò davanti a lui, passando agilmente tra gli steccati dell'orto e del prato, entrando nel folto degli alberi.
Camminarono piano, con il peso di ciò che stavano per fare sulle spalle, un macigno silenzioso ma inesorabile.
- siamo quasi arrivati al villaggio, May, poi partiremo - informò la bambina, che non rispose - giusto il tempo di salutare -
Ma lei non parlò di nuovo. Anzi, solo in quel momento Jace si accorse che non era più davanti a lui, ma stava ferma immobile qualche metro addietro, fissando un punto oltre il ragazzo.
I suoi occhi erano spalancati, pieni di stupore e paura.
- cosa succede...? - chiese Jace ancora più spaventato di lei, forse.
May indicò con il dito tremante.
Jace si voltò, di scatto. All'inizio non vide nulla, solo il verde spento dei cespugli d'autunno, niente altro.
Ma poi un piccolo movimento, quasi indistinguibile tra la vegetazione, lo mise in allarme.
A pochi metri da loro una sagoma scura stava immobile, li fissava. Quella volta non c'era nessun fumo velenoso ad offuscare la mente, Jace era sicuro di ciò che gli stava davanti agli occhi.
Nonostante non vedesse il volto, capì subito che non si trattava di un uomo del villaggio, ne di un soldato dell'impero. Quindi...
- va via, May - sussurrò Jace - scappa -
Ma lei rimase immobile, pietrificata.
- ora! - disse più forte, scuotendola per le spalle.
Finalmente si riprese e dopo un attimo ancora di panico corse via, più velocemente possibile.
Nello stesso istante anche la figura misteriosa scattò in avanti, coprendo la decina di metri che li separavano balzando da un tronco a un altro, agile come una tigre.
Prima che Jace se ne rendesse conto si trovò faccia a faccia con l'elfo, una lama diretta verso la sua gola. Nell'attimo prima di buttarsi a terra la sua mente confusa notò che era piuttosto piccolo per essere un assassino.
Rotolò per due metri, poi si accovacciò girandosi a guardare il suo aggressore, che non perse tempo.
Con una giravolta tornò di nuovo all'attacco e solo il tronco di un grosso albero salvò il ragazzo dall'essere infilzato dal suo lungo coltello.
Continuò a scappare, usando diversi ripari per sfuggire agli attacchi dell'elfo. Ogni volta era sempre più vicino alla morte, ogni volta la lama andava più vicino al suo collo scoperto.
Ma la fortuna lo abbandonò. Doveva succedere, dopo dieci minuti di corsa disperata nel bosco.
Jace si trovò improvvisamente davanti al profondo burrone al fondo del quale scorreva impetuoso il fiume Mirter, il più grande della Valle.
Si fermò un attimo prima di cadere, ma l'altra opzione non era certo meglio.
Si girò lentamente. Come lentamente stava avanzando l'elfo, consapevole che non aveva più scampo. Rigirava il coltello sulla mano, pregustando la sua morte.
- dov'è la bambina? - sussurò l'elfo. Aveva una voce troppo dolce per essere un uomo, però.
Jace deglutì. Non le avrebbe detto nulla.
- sei coraggioso, ma non ti servirà a nulla se morirai - i coltelli luccicarono minacciosi - dimmi dov'è! -
Jace prese l'ultimo briciolo di forze che gli rimanevano - così puoi ucciderla? - ringhiò a denti stretti - non lo farò -
- ucciderò te, poi troverò lei - disse l'elfa scagliandosi in avanti.
Jace rotolò di lato, schivando il primo colpo e si
rialzò, iniziando a correre lungo il bordo del burrone.
Ma la ferita alla spalla era più grave di quanto avesse pensato. Il dolore tornò, più forte di prima, rallentandolo.
L'elfa invece era veloce come una lepre e l'avrebbe raggiunto di li a poco. Jace fece l'unica cosa che gli venne in mente. Sopravvivere in tutti i modi.
Non appena l'elfa provò a colpirlo di nuovo si lasciò cadere. Questa volta però le gambe non lo sostennero più e stava per morire sotto le lame dirette alla sua gola se non fosse stato che la terra cedette sotto ai piedi dell'elfa.
Lei lanciò un urlo sorpreso e cadde all'indietro.
Per qualche motivo sconosciuto il corpo di Jace si mosse, veloce, come se non fosse lui a guidarlo.
Afferrò la mano tesa della sua assassina un attimo prima che cadesse nel vuoto.
Ci fu un momento di silenzio, in cui l'unico rumore proveniva dal fiato ansimante dell'elfa.
- tirami su! - gridò lei afferandogli il braccio con entrambe le mani.
Jace rimase un attimo in sospeso. Perché avrebbe dovuto aiutarla? Sarebbe stato più semplice farla cadere in quel momento e liberarsi di lei. Avrebbe ucciso un elfo, un'impresa non da poco.
Ma poi vide il terrore scintillare negli occhi dell'elfa sotto al cappuccio.
Senza pensare a cosa stesse facendo tirò più forte che poté. Il braccio ferito cedette, ma riuscì comunque a issare l'elfa in salvo.
Si sdraiò sul ciglio del burrone, ansimante, con l'elfa di fianco. Purtroppo proprio in quel momento la stanchezza dei giorni appena passati e il veleno ancora in circolo bel suo corpo lo sorpresero e, senza un lamento, svenne.
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La Rosa Cremisi - Il Destino Di Un Regno
FantasyDurante una guerra che perdura da secoli, con il nemico sempre più potente, sempre più vicino, le ormai uniche delle cinque razze in grado di opporsi all'impero sono gli elfi e gli umani, ultimi superstiti dell'antica resistenza, di un regno ormai p...