CAPITOLO V.

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Quando Keishin entrò nella sala da pranzo, dopo il pasto, sapeva già che parlare sarebbe stato difficile. Quei ragazzi vivevano tutti insieme, ma in condizioni diverse; scrivere un discorso che non facesse venire attacchi di panico a nessuno ma che allo stesso tempo fosse abbastanza forte era stata dura, ma confidava di esserci riuscito.
Ittetsu aveva chiesto apposta ai ragazzi di fermarsi di più in sala da pranzo perché Ukai voleva parlare con loro; su richiesta del dottore, anche lui era andato a sentire, posizionandosi vicino all'entrata della stanza insieme al biondo.
Sugawara gli offrì di sedersi con un sorriso, ma l'uomo preferí rimanere in piedi. Si sentiva agitato, non sapeva cosa sarebbe successo e sedersi lo avrebbe fatto solo stare peggio.
- Buongiorno a tutti- salutó Keishin, mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Si preparò mentalmente a parlare mentre i ragazzi lo salutavano a loro volta.
- Come ben sapete, ieri ho parlato con ognuno di voi. I vostri casi sono diversi, ma ci sono delle cose che tutti e ventidue avete in comune- mentre parlava cercava di non guardare nessuno in particolare; sapeva già quali sarebbero state le loro reazioni.
- Voi qui vi siete costruiti una specie di vostro mondo, dove vivete solo voi. Vi siete abituati a non andare mai in giro da soli, ad aiutarvi a vicenda e come comportarvi con gli altri. Questo è ammirevole, ma così facendo vi state completamente dimenticando del fatto che avete già un mondo in cui vivere, e si chiama Terra. Nessuno vi vieta di stare bene qui; ma se volete davvero guarire, dovete riprendere i contatti con il mondo esterno- vide qualche espressione perplessa, ma non ci fece caso.
- L'impressione che date, è quella di esservi abituati a questa vita e di non voler più tornare a quella fuori dall'istituto. TUTTAVIA - alzò leggermente la voce, in modo da bloccare il chiacchiericcio che si stava diffondendo nella stanza - io sono qui per aiutarvi proprio in questo. Ma non posso essere d'aiuto a qualcuno che non vuole essere aiutato. Per cui, voglio lasciare a voi questa decisione: se verrete da me, preparatevi ad una vita più dura qui dentro. Non perché cambierà qualcosa in essa, ma perché cambierà il vostro modo di vederla. Sarà dura, ma vi aiuterò a guarire ed andare via da qui. Se invece riconoscete di voler rimanere, allora non dovete fare altro che ignorare la mia presenza. Vi lascio la giornata per pensarci: vi chiedo di decidere entro domani- detto questo, si voltò ed uscì dalla stanza.
Sentì il caos esplodere dietro di lui, ma lo ignorò e continuó a camminare. Sentì la porta aprirsi e qualcuno corrergli dietro.
- Aspetti!-. Rallentò leggermente il passo in modo che Ittetsu potesse raggiungerlo.
- Ascolti, è vero che le avevo dato carta bianca e che l'ho chiamata proprio per i suoi metodi diversi. Ma non pensa di essere stato un po' troppo estremo?- gli chiese il moro.
- Il primo passo per guarire è ammettere si essere malati. Nel loro caso non si tratta solo delle loro malattie, ma anche della convinzione che hanno sviluppato di poter vivere qui per sempre. Cosa che possono fare, ma non se vogliono guarire- si fermò e si voltò verso il direttore, che si arrestó a sua volta.
- Mi ha chiamato perchè aveva bisogno di qualcuno come me. Perciò si fidi delle mie parole: entro domani sera, quei ragazzi verranno tutti da me-.

- Cosa farete?- Daichi si avvicinò ai suoi amici. Quando il dottore era uscito dalla stanza, era quasi scoppiato il caos: per fortuna, dato che persone come Yamaguchi e Kyoko non sopportavano i rumori forti, alla fine i ragazzi si erano divisi per andare a sfogare la loro frustrazione altrove.
Daichi era rimasto con Suga, Asahi, Nishinoya, Kyoko e Yachi.
- Non ne ho idea- ammise Asahi, lanciando uno sguardo anche a Nishinoya, che non stava prestando attenzione al discorso e si era messo a camminare per la stanza.
- Credo che il pensiero di tutti sia uguale. Guarire sarebbe bello ma... Ci accetteranno una volta usciti da qui?- mormoró Koushi, con un sorriso triste. Tutti quanti loro sapevano che non potevano vivere una vita normale per le loro malattie, e ne soffrivano; ma in loro si era insinuata la paura che anche se fossero riusciti ad uscirne, non si sarebbero mai trovati a proprio agio fuori. Ciò valeva soprattutto per persone come Asahi e Nishinoya: i loro disturbi non gli impedivano di vivere, ma le relazioni con gli altri erano diventate pressocchè impossibili dato il modo in cui tutti li giudicavano.
Sia Kyoko che Yachi da quando erano lì vivevano in una situazione molto più tranquilla, e per quanto avrebbero preferito non dover convivere con attacchi continui, l'idea di uscire da quella bolla sicura le spaventava.
Koushi dal canto suo avrebbe voluto smettere di vivere con la paura di dimenticarsi continuamente i nomi dei suoi amici, ma al tempo stesso aveva paura che andandosene li avrebbe persi. Lì aveva acquisito un ruolo quasi da madre, voleva bene a quei ragazzi, mentre all'esterno sentiva di non essere nessuno.
Daichi guardava tutti i suoi amici, capendo perfettamente come si sentissero. Lui era il primo a non riuscire a prendere una decisione. Sapeva che, se fosse uscito da lì, sarebbe stato perché non aveva più nulla da temere; ed allo stesso tempo, gli faceva paura pensare di andarsene e dover cambiare nuovamente la sua vita.
- Siamo grandi, ma siamo ancora dei ragazzi-. Era raro che Kyoko parlasse, per cui gli altri lasciarono che quelle parole riempissero la stanza. Anche Nishinoya la ascoltó, smettendo per un attimo di muoversi e fermandosi di fianco ad Asahi.
Lì dentro avevano tutti dai diciannove ai ventun anni; ma le loro vite si erano come fermate tre anni prima, quando erano entrati in quel luogo. A conti fatti, era come se per il mondo esterno loro fossero ancora degli adolescenti. E nessuno di loro sapeva se fosse pronto a riprendere a crescere.

HAIKYU:LA MIA CURADove le storie prendono vita. Scoprilo ora