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Robert si era scusato più di una volta, per il comportamento di Daniel, durante il torneo di Scarabeo che avevamo istituito su due piedi. Avevo vinto con poche difficoltà, ma tra me e Caren non c'era stata partita. Era stata lei la vincitrice della serata. Avevo giurato però che un giorno, prima del mio ritorno definitivo in Italia, sarei riuscito a batterla.

«Scusalo per i suoi modi.» Mi aveva detto nuovamente Robert.

Io mi ero limitato a non fare domande e a dire che non aveva importanza, ma in realtà avrei voluto conoscere il motivo per il quale il suo comportamento era stato così sgarbato.

Chi si credeva di essere? E dire che pensavo di poter avere un amico in casa con cui passare del tempo... Che illuso!

Tornai al piano di sopra e mi chiusi in camera.
Prima di usare il bagno, mi tuffai sul letto aspettando che non ci fosse più nessuno e che Daniel fosse rientrato nella sua stanza così da evitare qualsiasi tipo di incontro ravvicinato con l'ostilità infinita di quel ragazzo.

A darmi il via libera fu il rumore della porta di camera sua che sbatté chiudendosi (per la seconda volta nel giro di poche ore) violentemente.

Pensai che non doveva possedere la capacità dell'autocontrollo.

Se al mio arrivo il bagno di casa Fox brillava e sembrava avere le sembianze di un centro benessere, nel momento in cui ero entrato, sembrava esserci esplosa dentro una granata.
Lo specchio era annebbiato dal vapore causato dalla doccia che Daniel aveva fatto probabilmente ustionandosi la pelle. I vestiti erano sparsi ovunque. A partire dalla t-shirt verde che indossava poco fa, finita per terra, fino ai boxer grigi poggiati sul bordo del lavandino.
Le cose che, appena ero arrivato, avevo sistemato con cura e in ordine sugli scaffali, adesso si trovavano ammucchiate alla rinfusa in una mensola vicino allo specchio.

Desideravo scappare via da lì all'istante.
Daniel stava trasformando il mio sogno in un incubo, e lo aveva fatto nel giro di poche ore. Chissà che cosa avrebbe combinato da quel momento fino alla fine del mio soggiorno.

Prima di farmi rovinare la vita da lui però, cercai di darmi una calmata. Svuotai i polmoni e cominciai a mettere in ordine le mie cose. Dopo averlo fatto, provai a dare una sistemata anche al bagno. Con una mano afferrai i vestiti da terra, e, con la punta delle dita dell'altra, presi i boxer sul bordo del lavandino e infilai tutto nel cesto dei panni sporchi. Odiavo il disordine e, se quel bagno dovevamo condividerlo, speravo che mettendo a posto la sua roba lo avrei fatto sentire così tanto a disagio che da quel momento in poi, forse, avrebbe cercato di essere più ordinato.

Cominciai a lavarmi i denti, ma non passarono neanche due secondi dal momento in cui avevo infilato lo spazzolino in bocca che Daniel mi sorprese sul ciglio della porta.

I capelli bagnati gli cadevano sul viso, e con frequenti scatti di testa, li spostava da sopra i suoi occhi ogni volta che finiva di parlare. Era a torso nudo e indossava soltanto dei pantaloni di flanella quadrettati. Il tono della sua pelle era chiaro, ma tendente al caldo. Il suo fisico era slanciato e asciutto, ben definito, e ad essere sincero, provavo un pizzico di invidia per quegli addominali incisi sul suo stomaco e per la forma dei pettorali pronunciata appena. Non che io avessi un corpo sgradevole. L'epiteto di cui mi aveva fatto dono mia madre era "tuttoossa" ed ero decisamente un tipo meno allenato di lui. Avendo poggiato il braccio sul cornicione della porta, ero riuscito a vedere il tatuaggio che si trovava nascosto all'interno del suo bicipite.
La forma di una faccia di un extraterrestre, grande soltanto qualche centimetro, rappresentata da un ovale appuntito verso il basso con due grandi occhi neri all'interno.

«Senti... Mario, non ho ancora finito qui. Potresti, ad esempio, dileguarti?» Il suo sguardo era impenetrabile. Continuava a guardarmi con aria di sufficienza, quasi come se non fossi alla sua altezza. Come se nessuno, fosse MAI alla sua altezza. Usava il pollice facendomi segno di uscire indicando il corridoio dietro di lui e scandiva ogni parola, come se pensasse che io avessi qualche problema a comprendere l'inglese.

«Mi chiamo Mattia!» Alzai un po' la voce, ma il mio nome suonò poco chiaro a causa della schiuma di dentifricio che riempiva la mia bocca.

«Si certo... Migliorerò senz'altro la pronuncia. Mario!» Questa volta pronunciò la "a" di "Mario" con un suono molto più aperto e fastidioso. All'improvviso mi sentii afferrare con forza le spalle e in un battibaleno mi ritrovai sul corridoio, con Daniel davanti a me, ora all'interno del bagno, che mi sbatté letteralmente la porta in faccia.

«Incivile!» Bisbigliai. 

«Hai detto qualcosa?» Ecco che la sua maledetta faccia sbucò nuovamente dalla fessura della porta che si aprì di qualche centimetro. Con ancora lo spazzolino in bocca, restai a fissarlo con gli occhi pieni di rabbia, senza però proferire parola.

«Se non vuoi sporcare la moquette di dentifricio...» Guardò con aria disgustata la schiuma che stava quasi per traboccare dalle mie labbra, «Ti consiglio di finire di lavarti i denti giù in cucina.» Concluse secco, richiudendo la porta.

Infuriato scesi le scale facendo attenzione a non macchiare il pavimento. Quando tornai in camera, prima della chiamata quotidiana alla mia famiglia (obbligo a cui non potevo sottrarmi, dato che era una delle condizioni principali per permettermi di stare lì) mi presi del tempo per calmarmi e cercare di ritrovare tutte quelle sensazioni positive che mi avevano trasmesso Robert, Caren e Giselle durante la giornata.

Non volevo minimamente che i miei avessero potuto pensare ci fosse qualche problema e, sopratutto, non volevo farli preoccupare inutilmente raccontando loro che il figlio della famiglia ospitante, era in realtà un diciassettenne teppista posseduto da Belzebù.

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