12

756 70 75
                                    

Terminai di leggere "Il ritratto di Dorian Gray".

Il finale descrive i servi che trovano il corpo esanime di Dorian con un pugnale conficcato nel cuore, irriconoscibile e precocemente avvizzito, ai piedi del ritratto, ritornato meravigliosamente giovane e bello.

Beh, c'era da aspettarselo.

«Perché quella faccia?» Giselle doveva essersi accorta della mia espressione appagata mentre chiudevo il libro e lo poggiavo sul tavolo in noce, di fianco alla sedia in vimini, dove mi trovavo seduto.

Quella sera era particolarmente calda. Una di quelle sere di fine estate dove le temperature sembrano dare di matto prima dell'arrivo dell'autunno. Così avevamo cenato nella veranda sul retro.

Dopo mi era venuta nostalgia di casa, e stare in veranda mi ricordava le serate con la mia famiglia sul terrazzo che da sul mare, dove Nonno Stè non la smetteva di prendere in giro mamma sul cibo troppo salato. Diceva che era nata con un numero inferiore di papille gustative rispetto al resto della popolazione.
Io non credo nemmeno sia possibile, ma mi faceva ridere il fatto che lei fosse così permalosa da arrivare al punto di non condire più nessuna portata, e di apparecchiare il ménage in tavola così che ognuno avesse potuto condire il proprio cibo a crudo.

Allora dopo cena ero rimasto lì, a finire di leggere il romanzo, mentre Giselle annaffiava le piante che coprivano l'intera parete alla mia destra.

«Perché immaginavo andasse a finire così. Se nella vita non si fa altro che commettere atti ingiusti, non capisco cosa ci si possa aspettare.»Risposi.

«È vero. Ma al tempo stesso dovresti renderti conto delle fragilità di Dorian.»

«Non mi sembra poi un tipo così fragile.»

«Ne sei sicuro? Se non fosse stato per Lord Wotton, a convincere Dorian che la giovinezza e il piacere sono tutto nella vita, forse sarebbe andata diversamente.»

«Non intendo giustificare Dorian, per essersi fatto abbindolare.»

«Non devi. Ma devi prendere coscienza del fatto che a volte una persona è il risultato di quello che gli viene fatto.»

Come sempre le parole di Giselle mi facevano vedere le cose da un'altra prospettiva. Ma non sarebbe cambiato il fatto che avessi deciso di non parlare più con Daniel. Dopo quello che era successo a scuola, avevo deciso di farmi da parte e lasciarlo in pace.

Ero un illuso a pensare che tra noi ci fosse stato qualcosa.

Che poi, cosa esattamente?

Il pianto liberatorio in cui sprofondai quella mattina nei bagni dopo la prima ora fu rivelatore.
Non potevo più permettere a Daniel di trattarmi male, e non dovevo più ficcare il naso nei suoi affari.

Il primo giorno di scuola non era andato poi cosi male, sopratutto considerando il modo in cui era cominciato. Il momento critico fu quando dovetti rientrare in classe mentre la lezione era già cominciata.

Bussai alla porta e quando entrai nell'aula trovai il professor Robin, un uomo robusto dai pochi capelli, scrivere alla lavagna. Mi chiese il cognome, e mi costrinse a ripeterlo per ben due volte a voce alta, prima di averlo trovato sul registro di classe.

Parlare in pubblico, per me, era una violenza psicologica.

Per grazia divina, non mi fece presentare ai miei nuovi compagni di classe.

Presi posto nell'unico banco libero rimasto in fondo all'aula, in ultima fila.

Mentre mi sedevo sentivo gli occhi di tutti puntati su di me.

L'ora di algebra andò meglio. Cominciavo ad ambientarmi e qualcuno venne a presentarsi con me, mentre i più audaci si lasciavano andare anche a qualche domanda.

Avevo ricevuto i complimenti dalla Signora Price, la professoressa di letteratura. A fine lezione mi aveva chiamato alla cattedra dicendomi che la mia preparazione era invidiabile, e che era felicissima di avermi nella sua classe.

In mensa, durante l'ora di pranzo, Charlie, si venne a sedere vicino a me.

Avevamo scambiato qualche chiacchiera già durante la lezione di algebra, e sembrava un tipo molto gentile.

Era più basso di me, molto paffuto e alcune ciocche di capelli ricci gli sbucavano fuori dal cappello da baseball che indossava.

Sorridevo e annuivo mentre lui non faceva altro che parlarmi della scuola, dei professori e dei suoi compagni.

Non incontrai più Daniel, nemmeno durante il tragitto che feci verso casa da scuola a fine giornata. Cominciavo a detestare il fatto che lui avesse quel potere su di me. Che bastava soltanto un suo sguardo o una sua parola per farmi sprofondare nello sconforto.

Non gliel'avrei più permesso, e quando prima di andare a dormire ci incrociammo per caso nel corridoio al piano di sopra sembrò come se lui si fosse aspettato qualcosa da me.
Una parola, uno sguardo.

Io feci di tutto per non guardarlo, o i suoi occhi, le sue labbra e i suoi capelli mi avrebbero estorto la parola.

Ero sicuro che se avesse continuato a trattare male le persone, avrebbe fatto la stessa fine di Dorian. Metaforicamente. Ma pur sempre una brutta fine.

AMORE89Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora