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«Così vivi con i Fox...» Disse Charlie, subito dopo aver addentato l'enorme hamburger che si trovava di fronte.

Era la prima volta che uscivo con qualcuno, dopo le prime settimane in cui avevo cominciato ad andare a scuola.

Io e Daniel non ci eravamo rivolti la parola per diversi giorni e Charlie mi aveva proposto di uscire con lui nel weekend.

Così eravamo andati a mangiare da "Basement Burger", un posto stranissimo che si trovava in una specie di seminterrato, dove le uniche fonti di luci provenivano da diversi neon colorati sulle pareti.

«Esattamente.» Risposi a Charlie.

«Non è, tipo, insopportabile?» Chiese con aria retorica. Poi continuò «Insomma... A scuola fa il gradasso. L'anno scorso, a fine giornata, il Preside Jenkins ha trovato tutte le gomme della sua auto bucate. Dicono sia stato lui. Non fraintendere, nemmeno io sopporto il Preside Jenkins...Ma arrivare a tanto...»

«Già.» Feci spallucce e lasciai cadere il discorso.

Non volevo parlare di Daniel, mi bastava essere in prima linea nella guerra fredda che avevamo messo in atto in casa.

E poi cosa avrei potuto dire?

Era un gradasso. Charlie aveva ragione!

Dopo aver finito di mangiare andammo alla sala giochi che si trovava di fronte a "Basement Burger".

Era situata a qualche isolato da casa, ed era il ritrovo di molti ragazzi del quartiere.

Quando entrammo non ci misi molto a notare Daniel in compagnia della sua combriccola mentre prendeva a pugni il PunchBall.
Era il classico gioco che io odiavo. Non ne capivo il senso. Prendere a pugni una palla e vantarsi del valore numerico che appariva sullo schermo che simboleggiava il punteggio della forza ottenuto. Come se quel numero fosse in qualche modo davvero attendibile.

Spesi circa 23 sterline tra partite di flipper, Pac-Man e Air-hokey. Alle 21:30 circa, salutai Charlie, uscii dalla sala giochi e mi incamminai verso casa.

Per la strada c'era assoluto silenzio. Il viale era affiancato da alti pini, e le temperature estive si erano ormai lasciate andare all'autunno.

Chiusi tutti i bottoni della giacca di jeans che indossavo e infilai le mani in tasca.

Ad un tratto sentii fischiare alle mie spalle.

Mi voltai e scorsi Daniel che con il bacino sollevato dalla sella della propria bici, pedalava per raggiungermi.

«Torni a casa?» Rallentò una volta affiancatomi. La sigaretta fumante tra le labbra, la voce tranquilla. La sua bellezza scintillava come la luna piena nell'oscurità della sera, e attraeva il mio sguardo persino contro la mia volontà.

«Dove altrimenti?» Dissi scocciato con le mani ancora in tasca, spiandolo con la coda dell'occhio.

«Sali su.» Con la testa mi fece cenno di salire sulla bici dietro di lui.

Esitai. Scossi leggermente la testa, ma lui insistette.

«Se non lo fai, giuro che confesserò a Giselle quello che fai con il suo Jellied Eel!»

Il "Jellied Eel" era l'unico piatto della cucina di Giselle che mi disgustava. Si trattava di anguille bollite in un brodo speziato in gelatina. Non le avevo mai detto che detestavo quel piatto,  e quando non prestava attenzione alla tavola le alternative erano due: offrire a Daniel anche la mia porzione o sputarlo in un tovagliolo. La possibilità di essere sincero con lei era fuori discussione. Giselle era stata sempre gentile e cortese con me, e sapevo quanto tenesse alla sua cucina.

Non mi sarei mai permesso di procurargli tanta amarezza.

Così salii dietro di lui, che riprese a pedalare.

Posai le mani sulle sue spalle per reggermi e poggiai il mento nell'incavo del suo collo. Nonostante fossi ancora arrabbiato con lui, era il posto in cui sarei voluto rimanere per sempre.

Ad un passo dalle sua labbra, con il suo profumo che sfiorava i miei sensi.

Non parlammo per tutto il tragitto, finché feci una scomoda domanda a Daniel prima che aprisse il portone di casa.

Era una domanda che volevo fargli da tempo. La risposta avrebbe forse reso le mie giornate più leggere. Mi avrebbe aiutato a capire.

«Perché?» Pronunciai di scatto, come se quella parola avesse preso vita propria e avesse deciso di uscire di sua spontanea volontà dalle mie labbra. «Perché ti comporti in questo modo? Insomma..Noi... Sembra che passiamo dei bei momenti a volte, ma poi, come l'altra volta a scuola, mi minacci e mi dai del noioso e dell'idiota, e poi mi chiedi di salire sulla bici con te e io non ci capisco più nulla...» Cominciai a balbettare alla rinfusa.

«Shhhh!!!» Sussurrò Daniel facendomi segno di andare a parlare dentro al garage. «Non lo capisci?» Continuò a bassa voce mentre riponeva la bicicletta. «Non dovremo farle quelle cose. Lo sai. Non posso trattarti davanti agli altri nel modo in cui ti tratto quando stiamo da soli.»

Quelle parole mi procurarono una tristezza infinta. Quello che facevamo era peccaminoso e non c'era altro che io avrei potuto dire, contestare o obiettare. Non dissi nulla. Aveva ragione. Cosa pretendevo? Che il mondo intero ci prendesse per dei deviati?

«Ascolta. Prima di andare a dormire di solito resto sveglio per un po'. Quando Giselle spegnerà tutte le luci, vieni da me.» Mi bisbigliò all'orecchio prima di rientrare in casa.

La sensazione che avevo era come quella precedente ad un viaggio.

L'attesa mi stava divorando.

Avevo mangiato la cena di fretta e non aspettavo altro che si facessero le undici, così che sarei potuto andare in camera sua.

Cosa avremo fatto? Cosa sarebbe successo?

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