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Settembre

Sarà stato per l'effetto che gli faceva quella Sarah, o perché stava per la maggior parte del tempo fuori casa, o chiuso nella sua stanza, che Daniel mi sembrava essere un'altra persona dopo il giorno in cui eravamo andati a prendere i libri insieme alla London Books.
Avevo l'impressione che fosse diventato più calmo, più sereno, o per lo meno, non avevo più sentito sbraitare né lui né il padre dal corridoio all'esterno della porta della mia stanza.

Durante la settimana Giselle si era offerta di accompagnarmi a visitare Buckingham Palace, la residenza ufficiale della regina d'Inghilterra. Eravamo andati per assistere alla cerimonia del cambio della guarda di sua maestà. Giselle era una guida turistica eccezionale e mi aveva spiegato che si trattava di una tradizione che si rinnovava dal lontano 1660. Era curioso il fatto che avessi trovato in Giselle una compagnia eccezionale. Aveva quarantasette anni ma l'entusiasmo di un adolescente. Quel pomeriggio eravamo andati a prendere il tè delle cinque e mentre mi raccontava senza sosta della sua vita, avevo mangiato diciassette pastìccini alla panna senza neanche accorgermene. Era nata in Inghilterra, a Brighton, una città balneare situata a circa un'ora di treno a sud di Londra. Si era poi trasferita all'età di ventidue anni e aveva cambiato mestiere per ben sette volte, prima di lavorare per i signori Fox. Giovanissima aveva fatto la tata per agiate famiglie inglesi, poi era riuscita a trovare un posto da cameriera in un rinomato ristorante e aveva lavorato in diverse fabbriche prima di diventare la governante della famiglia Fox. Durante il tè, trovai il coraggio di chiedere di Daniel, e quando lo feci il suo sguardo si incupì non poco.

«Daniel, dopotutto è un bravo ragazzo...» Giselle restò immobile a guardare la sua tazza di tè e non smise più di girarci dentro, in senso antiorario, il cucchiaino in argento.

«È un bravo ragazzo, ma...» La invitai a continuare, scorgendo nel tono della sua voce qualcosa che voleva, ma non poteva, raccontarmi.

«Non dovrei fare l'impicciona, ma posso solo dirti che Daniel sta soffrendo. Vedi, i suoi genitori hanno divorziato quando lui aveva soltanto tredici anni. Dopo il divorzio, la madre si era trasferita a Parigi e aveva deciso di portare Daniel con sé. Purtroppo, due anni fa, è venuta a mancare e Daniel, essendo ancora minorenne, è dovuto tornare a vivere con il padre biologico, Robert, e la sua compagna, Caren appunto. Da quando ha messo piede a casa dei Fox però, è diventato ingestibile. Una volta è addirittura scappato di casa per due interi giorni.» Bisbigliò afferrando il manico della tazza tra il pollice e l'indice e bevendone un sorso. Poi continuò. «Robert e Caren erano distrutti, ed è stata la Polizia poi, a ritrovarlo. In questi due anni, i Fox avevano smesso di ospitare ragazzi per il programma di studi, per dedicarsi completamente a lui. Ma è rimasto sempre lo stesso, in due anni non è cambiato di una virgola. Continui sbalzi d'umore, cattive frequentazioni, non la smette di essere ribelle, scontroso e solitario. Quest'anno hanno deciso di ricominciare con il programma di studi nella speranza che la presenza di un altro ragazzo in casa potesse farlo sentire meno solo.» Quando finì di parlare, scosse la testa e posò la tazza di tè sopra al piccolo tavolo rotondo in legno a cui eravamo seduti. «Non dovrei dirti queste cose. Robert è molto protettivo nei confronti di Daniel, e queste, dopotutto, sono cose molto personali. Ti prego di tenere le mie confidenze per te, Mattia.»La sua mano mi accarezzò il viso, ma il passato di Daniel mi colpì come un dardo dritto al cuore.

Quella sera a cena lasciai tutto nel piatto. Mi si chiuse lo stomaco quando davanti a me lo vidi mangiare senza spiccicare una parola, e il racconto di Giselle mi tornò in mente.

Mi sentii invece una carogna, quando Domenica sera, mentre ero intento a preparare lo zaino per il primo giorno di scuola, spiai Daniel dalla finestra della mia stanza. Dopo cena mi era sembrato più piacevole del solito. Aveva riso ad una battuta di Giselle, e dal nulla mi aveva chiesto se avessi avuto voglia di andare a scuola insieme a lui. Quando me lo aveva proposto, sotto gli occhi esterrefatti di Robert, Caren e Giselle, ero arrossito un'altra volta come un peperone. Odiavo che quella cosa stesse diventando più frequente del solito. Quando capitava a tavola, cercavo sempre di nascondere il viso abbassando la testa sul piatto per qualche secondo. Quando quella sera lo avevo fatto, anche la minestra che mi ritrovavo di fronte aveva provato pietà per me. Ovviamente avevo risposto di sì. Precisamente avevo biascicato un "Mm..mm" semplicemente annuendo. Fingevo di essere disinteressato, ma in realtà gli avrei voluto dire che lo avrei persino portato in spalla fino a scuola, o a quattro zampe sulla schiena se fosse stato quello che desiderava. Gli avrei voluto dire che se avesse voluto avrei passato con lui interi pomeriggi, ed anche intere notti, forse. Ma tutto questo era troppo da dire e persino da pensare, e quando avevo sollevato il viso dalla minestra, a tavola si era già cambiato discorso e Daniel si era dileguato dicendo di avere un impegno.

L'impegno di cui parlava, adesso si trovava davanti ai miei occhi. Lui era poggiato sull'albero che si trovava proprio sotto la finestra della mia stanza, e Sarah, come una piovra, si era praticamente sdraiata sopra di lui. Riuscii ad intravedere le loro lingue che si staccavano per intrecciarsi di nuovo dopo pochi secondi. Lui portò le mani dietro la sua schiena e poi le fece scendere lentamente giù, fino a palparle il sedere. Quanto avrei voluto che quelle mani sul fondoschiena di Sarah si fossero trovate invece sopra il mio corpo, che gli occhi verdi di Daniel avessero potuto guardare i miei e che fossero state le nostre bocche ad incontrarsi più e più volte.

Nel momento in cui lui la salutò con un bacio a stampo, tirai la tenda di fretta coprendo il vetro della finestra. Sentii il rumore dei suoi passi fare le scale di corsa fino a precipitarsi in bagno chiudendo la porta a chiave. La vigliaccheria che fino a quel momento pensavo di non possedere, mi portò ad avvicinarmi silenzioso al corridoio, e ad infilare l'occhio nel buco della serratura della porta del bagno.

Se prima di adesso avevo paragonato Daniel a Dorian Gray, in quel momento io dovevo rispecchiare il suo ritratto, ossia la rappresentazione dell'indecenza.

Quello che riuscii a vedere, mentre cercai invano di calmare il mio fiato che diventava sempre più corto, fu la spalla nuda di Daniel seguita dal bicipite tatuato che si muoveva sempre più velocemente. Spostando lo sguardo verso destra riuscii ad intravedere metà del suo volto, quella dov'era presente il piccolo neo sotto l'occhio. Mi sentii ancora più disgustoso, quando per istinto, dal suo viso spostai lo sguardo verso il basso, in cerca di qualcosa che non avrei dovuto desiderare di vedere. Il buco della serratura, che troppo stretto (e senza dubbio con più dignità della mia) non mi permise di guardare oltre, così ritornai sul suo volto, e lo vidi ansimare, mordendosi il labbro inferiore.

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