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«Daniel! Daniel, fermati per favore!» Urlai, prima ancora di essere riuscito a raggiungerlo a fatica fino ad affiancarlo, mentre a grandi passi continuava a camminare con i pugni serrati, la testa dritta davanti a sé e in viso un espressione furibonda.

«Perché continui a litigare in questo modo con tuo padre?» Riuscii a chiedere nonostante il respiro affannoso.

«Per favore Mattia, non mi serve che provi a fare il diplomatico. Mio padre è semplicemente un coglione. Fine della storia.»

«Ma ti vuole bene! Gli si legge nello sguardo...»

«Gliene voglio anch'io purtroppo, ma non è questo il punto. Mattia, qualsiasi cosa dirai, non mi farà cambiare idea su di lui. Dovresti fartene una ragione!»

«Io vorrei soltanto che voi riusciste ad avere un rapporto normale.»

«Ed io vorrei che tu ti facessi gli affari tuoi per una buona volta!»

Mi fermai di scatto e mi piantai in mezzo alla strada. «È così che mi vedi? Come un impiccione?»

Smise anche lui di camminare. «Scusami, non volevo dire questo...»

«È chiaro. Io mi preoccupo per te, cerco di capirti, di aiutarti, e tu vieni a dirmi di farmi gli affari miei?»

«Quello che volevo dire è che se continuerai a prendere le sue difese finiremo per litigare!»

«Non sto prendendo le sue difese, e stiamo già litigando, visto il modo in cui mi urli contro.»

«Non ti sto urlando contro!»

«Continui a farlo.»

«Mattia, per favore. Non ho voglia di litigare con te per colpa sua. Non parliamone più e torniamo a casa." Abbassò lo sguardo, il tono della voce, e voltandosi di spalle riprese a camminare, mentre io iniziai a seguirlo senza dire una parola.

Restammo in religioso silenzio per tutto il tragitto. Una volta entrati in casa sua però, la tensione sembrò essersi stemperata.

Si tolse le scarpe, la camicia e si sfilò i pantaloni, restando in mutande prima di fiondarsi direttamente sul letto. Poi, «Spero non l'avrai macchiata di sangue quando ti sei fatto venire l'epistassi.»

«Vorrai dire quando mi hai messo una mano nelle mutande dentro un ristorante pieno di gente? Beh, no! Sono stato molto attento. Non vorrei mai che la tua bellissima camicia si macchiasse, altrimenti come faresti a vivere senza?»

«Senti chi parla, mister nontoccatemiilibrialtrimentihounesaurimentonervoso.» Mi canzonò. Per fortuna il litigio era durato meno del previsto.

«Sicuramente è molto più importante un libro di una stupida camicia.»

«Se è così stupida perché non te la togli di dosso e mi vieni a parlare del tuo barbagianni?» Balzò fuori dal letto, si avvicinò a me e mi posò il palmo della mano sul cavallo dei pantaloni, mentre con l'altra cominciò a sbottonarmi la camicia. «Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Stamattina non la smettevi più di straparlare.»Aggiunse.

Ero già a petto nudo, e non ero riuscito a spiccicare una parola. Poi Daniel mi afferrò per un polso e mi trascinò sul letto. Io immobile, a fissare il soffitto, lui steso su un lato poggiato su un gomito, con la mano che gli reggeva la testa e sul volto il suo maledetto sguardo arrogante.

«Il punto è che piacerebbe anche a me se...», citò le parole che avevo pronunciato quella stessa mattina e sfacciato accennò un sorriso e mi invitò a continuare la frase, senza staccarmi gli occhi di dosso.

Ero a dir poco a disagio. Mentre la mattina avevo avuto l'impressione di essere deciso e di aver trovato il coraggio, in quel momento non riuscivo più a spiegare quello che avevo intenzione di dirgli. Poi feci un imbarazzante tentativo. «Ehm... vedi, piacerebbe anche a me se...» Cominciai a balbettare sotto il suo sguardo divertito.

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