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Tutto quello che si susseguì, tra le mura dell'antibagno, durante la festa di compleanno di Caren, segnò una particolare forma di chiarimento, non del tutto verbale.

Qui e ora: il luogo in cui mi ero assicurato di vivere dando ascolto, per la prima volta, forse, ai miei più primitivi impulsi che non mi facevano più interessare al prezzo che più tardi il mio cuore avrebbe dovuto pagare per essermi abbandonato totalmente ad essi.

Pendevo dalle sue labbra e non ne fui mai così tanto consapevole come in quel momento.

Lo supplicai più volte di non smettere di fermarsi, perché volevo più di ogni altra cosa continuare a sentire il suo corpo spingere dentro al mio.

Quando ci rivestimmo, mi sentii però nuovamente spoglio, come un albero d'inverno privo delle sue foglie. A digiuno, subito dopo un abbondante pasto.

Fuori dalla porta del bagno, ci catapultammo all'istante in una dimensione parallela, tenuta in piedi da stupide regole sociali e laceranti omissioni. Lui che torna da Joe, io che lo spio con la coda dell'occhio fingendo noncuranza.

La consapevolezza di vivere gli sgoccioli del mio tempo a disposizione in Inghilterra mi portò a pensare che i suoi subdoli atteggiamenti non avrebbero avuto più importanza finché, almeno il suo cuore, mi sarebbe rimasto fedele.

Quando fummo di ritorno a casa ed io rientrai nella mia stanza, sopra il letto trovai parte della mia roba che Giselle aveva lavato e ripiegato con cura. Infilai tutto nel borsone, tranne la felpa, che da quando Daniel me l'aveva data, l'avevo lasciata ben in vista, agganciata per il cappuccio all'impugnatura dell'armadio.

«Sei pronto alla partenza?» La sua voce, accompagnata dal colpire delle nocche della sua mano contro la porta già aperta, mi fece sussultare cogliendomi di sorpresa.

«Non credo di esserlo veramente.»

«Potresti sempre restare.» Fece un sorriso timido, un espressione che era totalmente nuova da vedere formarsi sul viso di Daniel.

Io mi strinsi nelle spalle e guardai malinconico altrove mentre lui entrò in camera accostando la porta silenziosamente.

«Quello che è successo prima...»

«Non rimpiango nulla.» Lo interruppi senza pensarci due volte.

Ne seguì un lungo e imbarazzante silenzio.

«Così, è la tua ultima notte qui.» Sospirò vagando per la stanza, soffermandosi a scrutare tra gli scaffali ormai privi delle pile dei miei libri. «Mi mancherà non averti più tra i piedi.»

«Già.» Pronunciai sedendomi sul letto «È passato tutto così in fretta.»

Daniel si fermò davanti a me. Chinò la schiena in avanti, fino ad affondare i pugni sul piumone del letto, ai lati dei miei fianchi. Lasciò che le nostre guance si sfiorassero per un istante e portò la testa al mio orecchio.

«Mattia...» Sentire il suo accento britannico bisbigliare il mio nome era stato per me un dono del cielo. Poi continuò sottovoce mentre il suo alito caldo si posava sulla mia pelle, come fa la brina che si forma la notte quando l'aria umida vicina al terreno si raffredda raggiungendo il suo punto di rugiada «Mi permetteresti di rimediare?»

«C-che vuoi dire?»

«Devi solo darmi questa possibilità.»

«C-certo.» Risposi balbettante senza realmente capire cosa avesse in mente.

Immediatamente sentii afferrarmi per il polso e fui trascinato al piano di sotto in un batter di ciglia. Mentre ci mettevamo i cappotti, Daniel mi invitò a non fare troppo rumore così da sgattaiolare silenziosamente fuori.

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