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Il mattino seguente mi svegliai molto presto. Per ordine del medico mi era stato permesso di poter andare a scuola, e quella mattina sarebbe stato ufficialmente il mio primo giorno.

Mi vestii, preparai lo zaino e scesi al piano di sotto. Caren e Robert dovevano già essere usciti di casa, mentre Giselle era indaffarata con le faccende domestiche. Giunto in sala da pranzo trovai Daniel seduto al tavolo, le sua labbra ad indugiare nella tazza di caffè mentre mi guardava con un'intimità a cui non ero per niente abituato.

«Buongiorno Mario.» Sul suo viso si formò un accenno di un sorriso, e il suo sguardo maledetto lasciava trapelare il piacere che provava nell'infastidirmi.

«È Mattia! Mattia!» Dissi irritato e alla mia risposta seguì il suo solito ghigno divertito. «Vuoi davvero che creda che tu non abbia ancora imparato il mio nome?»

«No, ma darti fastidio mi compiace.»

Non risposi. Arrossii soltanto.

Dopo quello che era successo la sera prima, durante il film, mi sentivo in imbarazzo pure a guardarlo negli occhi, mentre lui, al contrario, manteneva il suo usuale e sfacciato comportamento di sempre.

Dopo colazione poi, mi invitò a prendere le bici e ad andare a scuola insieme a lui.

«Sai che non accadrà più che marinerò la scuola vero?» Mi assicurai di dirgli prima di cominciare a pedalare.

«Se in cambio di un giorno scolastico ti offrissi l'opportunità di imbatterti nuovamente nelle mie labbra, credo fermamente che saresti capace di saltare l'intero trimestre.» Fu la sua risposta disinvolta mentre con gli occhi si soffermerò a guardare le mie labbra per un lungo istante. Io boccheggiai e lui sfrecciò via pedalando lasciandomi di stucco.

Arrivammo a scuola con largo anticipo, ma il cortile dell'istituto era già colmo di studenti. Nonostante fossi euforico all'idea di frequentare le lezioni e di conoscere i nuovi professori, quello che mi preoccupava di più era l'imbarazzo e l'indecisione che avrei provato entrando in una classe piena di sconosciuti e sentire i loro sguardi addosso e finire per avere un attacco di panico. Allora avevo deciso di giocare d'anticipo, Daniel mi salutò con il suo tipico "Ci si vede!" ed io mi affrettai ad entrare nell'aula ancora vuota così da poter subire passivamente eventuali presentazioni o saluti altrui.

Prima di prendere posto, cercai di valutare con estrema attenzione le diverse alternative. Non volevo certamente stare tra i primi banchi, o avrei fatto senza dubbio la figura del "sotuttoio" presuntuoso e ostinato. Al tempo stesso non mi andava nemmeno di sedermi tra gli ultimi o avrebbero pensato di me che non ero altro che un introverso, esitante e insicuro, e io non volevo dare quell'impressione, anche se a dirla tutta era la descrizione che tra tutte più mi apparteneva. Così avevo scelto un posto abbastanza neutrale, in una via di mezzo tra le due definizioni. Era un banco nella fila centrale, attaccato alla parete e adiacente alla finestra che dava sul cortile, nel caso avessi avuto l'urgenza o il bisogno di prendere un po' d'aria.

Tirai fuori dallo zaino Dorian Gray e cominciai a leggere.

Ad entrare dopo di me, passati alcuni minuti, furono due ragazze. Una castana dalla pelle color porcellana, l'altra invece bionda e riccioluta, che riconobbi essere Sarah.

Incrociammo gli sguardi, io mi costrinsi a sollevare una mano, e lei ricambiò il mio timido tentativo di saluto con un sorriso a trentadue denti. Poi le vidi avvicinarsi alla finestra che si trovava alle mie spalle e cominciarono a ridacchiare fastidiosamente, una sopra l'altra, più e più volte.

Incuriosito, distolsi gli occhi dalla mia lettura per un istante e con la coda dell'occhio decisi di spiare attraverso il vetro della finestra per cercare di comprendere la causa scatenante di tanto schiamazzo.

Quello che vidi furono le sue spalle poggiate sul tronco di un albero, una mano dentro la tasca dei jeans, le dita dell'altra che stringevano una sigaretta bagnata dalle sue labbra fumanti color porpora. Le ciocche pesanti dei suoi capelli che coprivano i suoi occhi semiaperti ed ero riuscito senza alcuno sforzo a capire il motivo della loro agitazione.

Sarah non faceva altro che parlare di lui, con quella maledetta voce squillante, alla sua amica. Si vantava di essere la sua ragazza, di piacergli, e di averlo baciato sulle labbra più di una volta.

Mi sarebbe piaciuto poterla informare di non essere stata l'unica a farlo, ma mi limitai a restare in silenzio e a godermi la vista che a sua insaputa Daniel ci stava regalando.

Quando poi un ragazzo si avvicinò a lui e io vidi Daniel sfilare dalla sua tasca una bustina di plastica per poi infilarla nel suo palmo della mano con assoluta discrezione, capii chiaramente di cosa si stesse trattando. Mi alzai di scatto, afferrai il mio zaino e uscii dalla classe dirigendomi in cortile.

«Ti sei per caso bevuto il cervello? Spacci a scuola? Ti metterai nei guai!" Lo colsi in fragrante.

«E questo moccioso chi sarebbe?» Chiese il ragazzo a cui Daniel stava passato dell'erba.

Lui mi fulminò con lo sguardo, «Lascialo stare!»Disse «È soltanto un idiota! Non parlerà. I miei lo ospitano per quella stupida storia del programma di studio all'estero.»

«Daniel, non dovresti fare cose del genere. Per di più nel cortile della scuola. Sono sicuro che tuo padre non sarebbe orgoglioso di questo!»

I suoi occhi diventarono minacciosi, serrò la mascella e strinse i pugni.

«Ma che piccioncini! Vuole proprio prendersi cura di te!» Cantilenò il ragazzo con una voce smielata. Poi tornò serio «Dì alla tua ragazza di non preoccupasi troppo, non è mai successo niente per un po' di erba! Non divertitevi troppo, finocch...» Non riuscì a finire la frase che Daniel lo sorprese colpendolo in pieno viso.

In pochi minuti gli studenti presenti nel cortile ci accerchiarono mentre Daniel e quella canaglia non la smettevano di prendersi a pugni. Era diventato praticamente impossibile mettersi in mezzo, e a mettere fine alla lite fu il custode della scuola che ordinò ad entrambi di andare nell'ufficio del preside.

Prima di vederlo andare via, sentii la mano di Daniel stringere il colletto della mia maglia e sollevarlo. Avevo il suo viso ad un centimetro dal mio.

«Non provare mai più a fare qualcosa di così stupido un'altra volta. È un attimo che diventiamo lo zimbello di questa scuola ragazzino. Lo capisci? Sei... Noioso!» Mi sussurrò all'orecchio a denti stretti, e quando finì di pronunciare quelle parole, lasciò la presa e mi strattonò facendomi cadere sul prato.

Mi sentivo ferito, patetico e il senso di colpa mi aveva preso allo stomaco. Se non fossi intervenuto, forse, tutto quello che era successo non sarebbe accaduto.

Quando realizzai che la campanella della prima ora aveva terminato di squillare già da un po', cercai di tornare in classe il più velocemente possibile. La porta era chiusa, e la lezione doveva già essere iniziata perché riuscivo a sentire la voce del professore continuare a parlare senza sosta. Era successo tutto quello che non avrei mai e poi mai desiderato.

Avevo le lacrime agli occhi, l'orgoglio ferito e il colletto della maglia sgualcito ma non più della mia dignità.

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